Cortázar Julio

Il giro del giorno in ottanta mondi

Pubblicato il: 14 Luglio 2008

Spuumeggiante! Direbbe così, credo, the Mask, per definire questo libro. Un libro da leggere prima di dormire (io ho fatto così) con l’eccezione (ce n’è sempre una) di “Per arrivare a Lezama Lima”, brano abbastanza lungo e che non si gusta a pieno in una lettura frammentata, anche se, d’altra parte, il tempo che passa tra una volta e l’altra in cui ti metti a leggerlo ti aiuta a riflettere su ciò che hai letto.
Mi accorgo di non aver detto che questo libro raccoglie vari scritti, di vario tempo, di questo scrittore di cui avevo solo sentito parlare, ma mai letto prima d’ora. Libro che contiene molte immagini, foto, disegni, il tutto rigorosamente in bianco e nero. Un’edizione molto curata dal punto di vista grafico, questa Alet padovana, che avevo già apprezzato per il buon Jack Black, e che. Ah, Gianfranco. Purtroppo c’è stato il problema dell’odore. Già. L’odore di questo libro. Quando ho cominciato a leggerlo ero in pieno periodo allergico, per cui non lo sentivo. Anzi. Ammetto che quando lo prendevo da terra, vicino al letto, mi sembrava sempre, alzandolo, di smuovere chilogrammi interi di tutto quello che al mio naso non andava giù, senza contare poi che quando lo aprivo le mie dita si impregnavano di quella finissima polvere d’inchiostro e carta che solo chi conosce conosce il fastidio che arriva quando poi ci si gratta il naso con le dita impregnate. Cosa che irrita il naso e che fa continuare a grattarti. Quindi ho letto circa metà libro con il naso rosso. Senza poter apprezzare in pieno l’odore, anzi quasi il contrario. Si sa quanto l’odore sia importante per i gusti, come la lingua e le papille gustative (la cui definizione non è casuale). Per fortuna so separare il fastidio allergico dal fastidio, cosa che mi ha permesso di gustarmi quella metà del libro (immaginandomi il sapore aldilà dell’allergia – un grazie grande alla traduttrice Eleonora Mogavero che permette a tutti i non cortázarofoni di avvicinarvisi in questa occasione). La seconda metà ha confermato la mia capacità di separare il giudizio dal fastidio. Cosa che mi ha reso particolarmente sereno e felice per almeno un paio di secondi, prima di farmi sentire un narcisista schifoso per l’autoelogio, prima di farmi sentire nuovamente sereno al pensiero dell’ironia sotterranea del precedente pensiero, prima di farmi sentire nuovamente narcisista, e inoltre falso-non-ipocrita-etc-etc.
Per finirla, questo libro l’ho letto nell’arco di un mesetto, con gli occhi quasi chiusi, o quasi aperti, ma giuro che riuscivo a distinguere benissimo i singoli caratteri, ma come essi formassero delle parole, frasi, interi brani, un libro! nella mia testa, questo non sono riuscito a comprenderlo, ma è probabile che l’abbia sognato qualche volta tra una pagina e l’altra. A volte avrò confuso una “i” con una “d”, una “z” con una “r”, ma sono sicuro di aver compreso il senso del tutto nonostante la possibilità di frasi del tipo “Ad vecchd vengono affddate le pdstole ad arda compressa con cud sd nebuldrra l’essenra dd serpente sulle foglde secche”. Almeno credo.
Ma leggete questo libro, e ditemi.
Comunque.
Si parla di libri, di galline, di invenzioni, di cronopios, famas, esperanzas, di Verne, di svitati, di Lezama Lima, di jazz, di Teodoro W. Adorno (il gatto di Cortázar), dell’Argentina, di Gardel (commerciale e non), di grammofoni, di Borges, di Kafka, di Jack lo Squartatore, del peso occidentale, di più o meno qualunque cosa in qualunque forma, di mani che ti vengono a trovare la sera, ma poi si offendono, e di scrittori che non vinceranno mai un concorso ma se lo meriterebbero, di mondi che si affacciano e fanno “bau!” e poi via, ma anche no.

Per dire
“Cado e mi rialzo” è un breve brano a pagina 63-63:
“Nessuno può mettere in dubbio che le cose ricadano. Un signore si ammala e, un mercoledì, all’improvviso ha una ricaduta. Una matita sul tavolo ricade di continuo. E le donne, come ricadono! In teoria a nulla o a nessuno verrebbe in mente di ricadere ma si è comunque soggetti a farlo, soprattutto perché si ricade senza averne coscienza, si ricade come se non fosse mai successo prima.
[…]
Contro tutto ciò si impone pazientemente la riabilitazione.
[…]
Come riabilitarci, dunque, se magari non siamo ancora ricaduti e la riabilitazione ci trova già riabilitati?”

ma anche, a pag. 192:
“Ogni scrittore europeo è ‘schiavo del proprio battesimo’, se è concesso parafrasare Rimbaud ; lo voglia o no, la sua decisione di scrivere comporta il fardello di un’immensa e quasi spaventosa tradizione; sia che l’accetti sia che la combatta, quella tradizione lo abita, è il suo demone benefico o il suo incubo”.

ed ecco un concerto di Louis (Armstrong), pag. 165:
“Ma tanto sudore dovrà pure uscire da qualche parte e di lì a poco Louis sente che si sta disidratando, così approfitta di un terribile corpo a corpo amoroso di Arvel Shaw con la sua dama bruna per estrarre dalla piattaforma di Giove uno straordinario e misterioso bicchiere rosso, stretto e altissimo, che somiglia a un bussolotto per dadi o al recipiente del Santo Graal, e per bere da questo un liquidio che suscita i dubbi e le ipotesi più disparate da parte dei cronopios presenti, visto che non manca chi sostiene che Louis beva latte, mentre altri ruggiscono indignati davanti a questa teoria e dichiarano che un bicchiere come quello può contenere solo sangue di toro o vino di Creta, che è poi la stessa cosa con nomi diversi.”

senza dimenticare l’Argentina, dio mio…
Da “1950 anno del Libertador, ecc.” pag. 273:
“E se il pianto ti viene a cercare
affrontalo, bevi fino in fondo
il calice di lacrime legittime.
Piangi, argentino, piangi finalmente un pianto
di verità, faccia a faccia con il tempo
che manipolavi amabilmente,
piangi le disgrazie che che credevi altrui,
la solitudine senza remissione ai piedi di un fiume,
la colpa della pace immeritata,
il riposo di pance piene di pandolce.
….”

E da “Patria” pag. 273-273-275
“….
Ti amo, paese buttato a mare, pesce a pancia in su,
povera ombra di paese, pieno di venti,
di monumenti e gigionate,
di orgoglio senza oggetto, soggetto ad assalti,
preso a sputi ubriaco inoffensivo che impreca e sventola bandierine,
distribuisce coccarde sotto la pioggia, e schizza
di bava e stupore campi di calcio e ring.

Poveri negri.

….
Ti amo, paese, fazzoletto sporco, con le tue vie
piene di manifesti peronisti, ti amo
senza speranza e senza rimedio, senza ritorno e senza diritto,
solo da lontano e amareggiato e di notte.”

FIN

14 luglio 2008 Lankelot

Edizione esaminata e brevi note

Julio Cortázar, nato a Bruxelles nel 1914, è morto a Parigi nel 1984.

Julio Cortázar, Il giro del giorno in ottanta mondi, traduzione di Eleonora Mogavero, Alet, Padova, 2006 (Da leggere la “Nota del traduttore” alla fine del libro!)

Il libro è stato ripubblicato dalle edizioni SUR il 12 ottobre 2017, con la traduzione rivista sempre da Eleonora Mogavero.