Davigo Piercamillo

«In Italia violare la legge conviene». Vero!

Pubblicato il: 1 Luglio 2018

“Noi siamo una cosa diversa. Sulla giustizia siamo per il garantismo, non per il giustizialismo. Quando sentiamo il nome di Davigo, rispondiamo con Beccaria ed Enzo Tortora”. Così parlò il 5 giugno 2018, giorno della fiducia al governo Conte, il “senatore semplice” Matteo Renzi. Pop corn a parte erano molti gli argomenti che potevano essere spesi per negare i voti ad una maggioranza a dir poco anomala, e quindi non tutti hanno compreso il riferimento a Piercamillo Davigo (e soprattutto l’accostamento con il filosofo e giurista italiano e la vittima di un errore giudiziario). In realtà chi conosce la storia di questi ultimi anni sa bene che il magistrato, già “mente giuridica” del pool mani pulite, è stato definito nell’ordine “toga rossa”, poi “reazionario”, “uomo di destra”, “espressione del giacobinismo giudiziario”, e così via. Per lo più colori – rosso, nero, verde, giallo – variabili a seconda delle maggioranze governative del momento. È evidente che le sue parole riguardo la corruzione in Italia e riguardo le storture che, secondo lui, caratterizzano il sistema giudiziario italiano, non sono mai piaciute a chi non tollera che i suoi politici – o compari – di riferimento possano venire inquisiti e condannati. Da qui la definizione, a dire il vero piuttosto disinvolta, di giustizialismo, corrente di pensiero e di azione di cui Davigo sarebbe appunto uno dei più feroci esponenti.

Visti questi precedenti è opportuno precisare che il lettore del libro edito da Laterza, “In Italia violare la legge conviene. Vero!”, difficilmente potrebbe cogliere un manifesto “giustizialista” e forcaiolo, se inteso come forzatura delle regole garantiste. Più facile vederci una disamina implacabile di tutto quello che produce impunità, non garanzie, in un paese in cui il settimo comandamento viene inteso in maniera piuttosto elastica: appannaggio sostanzialmente dei ladri di polli, mentre quando si tratta di grandi numeri non si parla più di furto ma di necessità, di rifiuto delle ipocrisie, di semplificazione, di supporto a chi produce. Peraltro questo breve pamphlet risulta una sorta di compendio di quanto già scritto in precedenza, ad esempio in  “La giubba del re”, “La corruzione in Italia”, “Processo all’italiana”, “Il sistema della corruzione”: analisi impietose che colpiscono un sistema giudiziario farraginoso, le rigidità burocratiche e amministrative, “lo scriteriato ricorso ai condoni, la mancanza di sanzioni efficaci e dissuasive per chi trasgredisce le regole”. Davigo con la consueta prosa sferzante, analizza la recente e meno recente produzione legislativa italiana, continua ad infierire poi con l’organizzazione giudiziaria del nostro paese, la confronta con quella europea ed americana, suggerisce dei possibili correttivi (ad esempio l’abolizione del divieto della reformatio in peius); e in ogni caso il panorama che ne viene fuori – non ne dubitavamo – appare molto scoraggiante: vengono presi “in considerazione diversi ambiti in cui l’insieme delle norme e il funzionamento (e spesso, purtroppo, il malfunzionamento) della giustizia sembrano premiare gli individui privi di scrupoli e quelli che credono di essere furbi” (pp.10).

Le frequenti citazioni tratte dalle relazioni della Corte dei Conti ci dicono molto sugli effetti di una normativa criminogena, tale che “invece di applicare il principio ‘pagare tutti per pagare meno’, in Italia si applica il principio pagare tanto per consentire una larga evasione”. Il tutto accompagnato da evidenti paradossi normativi, soprattutto quando si parla di corruzione: “Detto in termini più semplici: maggiore è l’emersione degli illeciti da corruzione e concussione, minore è il livello di severità nelle sanzioni” (pp.56). Parole polemiche anche riguardo il più recente codice appalti, frettolosamente pubblicato nell’aprile 2016, nel pieno della stagione del “passo dopo passo”: “Ora questo codice è in fase di revisione di fronte alle difficoltà che procura alle imprese oneste. Perché contro quelle disoneste non dispiega alcuna efficacia” (pp.81). Dobbiamo poi ricordare che, anche in virtù di iniziative oltretevere, recentemente si sono moltiplicate iniziative di studio e discussione sul rapporto cultura-corruzione  – pensiamo all’ottimo “Pane sporco” (Rizzoli, 2018) del filosofo V.V. Alberti – che nel nostro paese molto ha a che fare con la distorsione del linguaggio e dei concetti, con la superficialità dei giudizi; mentre una cultura rettamente intesa “fa libero un popolo, fa libera una persona perché le imprime filtri, capacità critica, decoro” (cit. VV. Alberti). Questo aspetto sembra ben presente anche in Davigo che, non a caso, nell’’introduzione del libro ricorda come in Italia esista “una subcultura diffusa secondo cui a violare le leggi sono i furbi, e a rispettarle sono i fessi” (pp.9).

Fatta questa necessaria premessa è però evidente come l’attenzione del magistrato Davigo si sia incentrata piuttosto sul dato normativo, di sistema, che in qualche modo riesce a condizionare quello che viene definito il carattere di un popolo, la sua cultura. Come in una sorta di circolo vizioso. Davigo infatti non ragiona in termini di genetica e di dna. Osserva che “gli italiani all’estero si comportano come i cittadini degli Stati in cui si trovano, mentre gli stranieri in Italia talvolta, dopo un iniziale smarrimento, ritengono che in questo paese sia più o meno consentito tutto”. Insomma, grazie allo sguardo professionale di magistrato si giunge alla conclusione che “il problema non è il carattere degli italiani, ma la sostanziale mancanza di sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive” (pp. 86). Probabile quindi che i detrattori di Piercamillo Davigo eviteranno di citare  le osservazioni e le analisi presenti nel libro “In Italia violare la legge conviene” per descriverlo ancora una volta come il “campione dei giustizialisti”. Basteranno le narrazioni come quelle del senatore semplice.

Edizione esaminata e brevi note

Piercamillo Davigo, attualmente presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, è presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione, in servizio alla Seconda Sezione penale dal 2005. Entrato in Magistratura nel 1978, è stato assegnato al Tribunale di Vigevano con funzioni di giudice, poi dal 1981 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano con funzioni di sostituto procuratore. Dal 1992 ha fatto parte del pool Mani pulite, trattando procedimenti relativi a reati di corruzione e concussione ascritti a politici, funzionari e imprenditori. Dal dicembre del 2000 è stato consigliere della Corte d’Appello di Milano. Tra le sue pubblicazioni, con Laterza ricordiamo: La giubba del Re (2004), La corruzione in Italia (2008), Processo all’italiana (2012), Il giudice (2015), Il pubblico ministero (2015), Il sistema della corruzione (2017).

Piercamillo Davigo, “In Italia violare la legge conviene. Vero!”, Laterza (collana “Idòla Laterza”), Roma 2018, pp. 100.

Luca Menichetti. Lankenauta, luglio 2018