Giordano Paolo

La solitudine dei numeri primi

Pubblicato il: 18 Marzo 2008

“Alice gli sfiorò il mento con una mano e con delicatezza gli fece ruotare la testa. Fu solo un’ombra quella che Mattia vide protendersi verso di sé. D’istinto chiuse gli occhi e poi sentì la bocca calda di Alice sopra la sua, le sue lacrime sulle guance, o forse non erano le sue, e infine le mani, così leggere, che gli tenevano ferma la testa e riafferravano i suoi pensieri imprigionandoli tutti lì, nello spazio che ora mancava tra di loro” (p.154).

Uno dei momenti più intensi della narrazione, di vicinanza laddove la distanza l’aveva fatta sempre da padrona, è questa breve descrizione del primo, (in)atteso bacio tra Alice e Mattia. Due numeri primi, dei primi gemelli, cosi vicini da potersi (apparentemente) toccare eppure divisi da una sola, insormontabile cifra: un numero paro. La matematica c’entra, ma è umana più che umana nell’opera prima di un giovane fisico, Paolo Giordano, che sceglie un tema difficile e delicato per il suo esordio narrativo, una storia di solitudini e diversità che vanno incontro all’ineluttabile destino di chi è segnato da un evento decisivo. Ma è davvero cosi ineluttabile, il destino? Forse, quasi certamente. Che lo sia o meno, quello che emerge oltre la consapevolezza, in questo intenso debutto letterario, è una improbabile eppure solidissima disposizione alla speranza che si può cogliere soltanto se ci lascia vincere empaticamente da un testo che, comunque, restituisce un sorprendente equilibrio.

Giordano racconta la vicenda di Alice e Mattia, dall’evento nel quale, giovanissimi e ancora ignari della presenza dell’altro, hanno visto modificarsi tragicamente le loro vite, fino ai quasi quarant’anni, nel momento in cui la loro esistenza ha preso una piega determinata. Ma non voglio aggiungere altro della narrazione, perché poche volte come in questo caso sarebbe davvero un peccato svelarvi anche solo i motivi d’ingresso all’opera. È una grande storia di lacerazioni e di dubbi, di speranze sovente frustrate, di assenze reiterate, di vuoti incolmabili, di autoannientamento (si parla anche di anoressia e autolesionismo fisico): di inadeguatezza alla vita, di diversità. Molta carne al fuoco e temi importanti trattati con insolita levità di tocco, con la giusta empatia e con adesione totale a personaggi difficili e di complicata – sulla carta – immedesimazione. Eppure ci si immedesima come poche altre volte, trovando vicinanza con nature asociali e antisociali (le sfaccettature del carattere di Mattia vanno anche in questa direzione) vinte da un destino freddamente prevedibile. Mattia e Alice si sfiorano per l’intera durata del libro, eppure non si incontrano mai veramente: sono primi gemelli, come detto, sono un 11 e un 13 (“Mattia pensava che lui e Alice erano cosi, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l’aveva mai detto”). Ci fosse stata più distanza… Ci fosse stata più distanza la storia raccontata da Paolo Giordano non sarebbe cosi coinvolgente come risulta essere stata; e mi sorprendo davvero a tessere lodi ad un illustre sconosciuto del 1982 edito da Mondadori. Eh sì, perché i numeri contano anche oltre la narrazione, perché un ’82 edito da Mondadori deve avere santi in paradiso e anche di più. Devono avergli fatto un servizio di editing non indifferente, visti i risultati. E poi è un fisico, non un letterato. Eppure, credetemi, questo è un libro – peraltro anche il titolo è bellissimo – che si legge d’un fiato e nel totale coinvolgimento, è un testo di cui non ci si può non innamorare. Ecco che tutti i pregiudizi precedenti la lettura inevitabilmente crollano, e verrebbe immediatamente voglia di trovare una conferma, leggendo altro del nostro. Visto il successo che Giordano sta ottenendo immagino non dovremmo attendere molto per fare questa verifica.

Rendere universale la storia di Alice e Mattia (eroi-antieroi in cui può essere salutare immedesimarsi), una vicenda emblema del nostro tempo, non era per nulla semplice. Eppure La solitudine dei numeri primi parte da due solitudini per parlarci, sottotraccia, della solitudine-voragine del nostro tempo. Il disagio delle generazioni dei trentenni di oggi passa anche di qua, per questa storia minima dalla valenza universale. Una vicenda raccontata con estremo garbo e sensibilità, senza pietismi e con rara umanità. Doloroso, lirico, malinconico, essenziale, lucido, realistico e mai compiaciuto, La solitudine dei numeri primi è un esordio letterario destinato a lasciare il segno:

“Per la prima volta, avvertì tutto lo spazio che li separava come una distanza ridicola. Era sicura che lui si trovasse ancora là, dove gli aveva scritto alcune volte, molti anni prima. Se lui si fosse spostato, lei l’avrebbe percepito in qualche modo. Perché lei e Mattia erano uniti da un filo elastico e invisibile, sepolto sotto un mucchio di cose di poca importanza, un filo che poteva esistere soltanto fra due come loro: due che avevano riconosciuto la propria solitudine l’uno nell’altra” (p.272).

Federico Magi, marzo 2008.

Edizione esaminata e brevi note

Paolo Giordano è nato a Torino nel 1982. Si è laureato in fisica teorica e lavora presso l’Università con una borsa di dottorato. La solitudine dei numeri primi è il suo primo romanzo.
 
Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondadori Editore, 2008.