Palma ammazza Nunziata e questo lo sappiamo fin da subito. “Il primo settembre del 1980, alle nove e trenta, si trovava quindi in un’aula del tribunale di Foggia davanti al giudice Agostino Imparato. L’accusa che le veniva rivolta era stata da poco esposta dal pubblico ministero e riassunta nella comune definizione di omicidio volontario“. Sembrano non esserci dubbi in merito ai fatti avvenuti e Palma non nega niente. Ha ucciso Nunziata, la donna che otto anni prima aveva torturato e assassinato sua sorella Maria Rosaria. Possiamo chiamarla vendetta e possiamo chiamarla riparazione. Palma non ce l’ha fatta a sopportare una normalità a cui, col tempo, tutti erano tornati a sottomettersi e ad abituarsi. Sua sorella era stata rapita e uccisa, la bambina che aveva messo al mondo a forza era sparita, nessuno aveva pagato e tutti avevano scordato in fretta. Tutti tranne lei. Per questo quando in chiesa vede Nunziata incinta e felice, ormai dimentica di quanto aveva fatto a Maria Rosaria pochi anni prima, Palma si ritrova spezzata dal dolore e dalla rabbia: “Nominai dio invano e fu il diavolo a rispondermi. Fui assalita da una tristezza cupa e severa e dalla convinzione che qualcosa in me era incrinato per sempre. Non bastavano i lacci e i rattoppi a tenere insieme i miei organi, un anello dopo l’altro stava inesorabilmente scivolando via dalla colonna vertebrale […] ora chi aveva torturato Maria Rosaria, chi le aveva sottratto la neonata, mi si parava sul muso e mi schiaffeggiava con il turgore della sua pancia, come una che non si nasconde, non si vergogna e non arretra davanti a nessuno“.
Una storia meridionale, di donne silenti e sottomesse, tradite e abbandonate. Una storia che somiglia a molte altre. Donne vittime di uomini, o di altre donne, che possono però trasformarsi in carnefici. Gli uomini, come spesso capita sempre più spesso anche in letteratura, sono figure ambigue, sfuggenti, deboli per viltà o violenti per fragilità che temono di non saper nascondere. L’intreccio, a dire il vero, non è particolarmente originale ma a reggere il romanzo d’esordio della pugliese Carmen Totaro, c’è una straziante leggerezza, una scrittura asciutta, quasi spigolosa che rimanda l’immagine di un cosmo femminile che oscilla tra la brutalità e la compostezza, l’ingenuità e la perfidia. Perché le donne possono contenere tutto e il suo contrario come è sempre stato dal principio dei tempi.
Palma più volte ha suggerito a sua sorella di lasciar perdere Cosimo, il figlio del piccolo boss del paese. Maria Rosaria, però, di quel ragazzo è innamorata e crede ciecamente alle sue promesse. “Maria Rosaria non lo sa neppure lei. Non sa che ci ha trovato di speciale in Cosimo Logreco, un tipo belloccio, taciturno, ma chiuso in se stesso. Per anni ha ricevuto proposte amorose dagli uomini che portano il baldacchino in processione. Per anni l’hanno infastidita con richieste di grazia e rivolgendole sorrisi carichi di aspettative“. Maria Rosaria è una ragazza bellissima, così bella che ogni anno, per la processione, le fanno vestire i panni della Vergine e la mettono sul baldacchino per farla sfilare lungo le strade tra canti e preghiere. E Maria Rosaria su quel baldacchino c’è salita anche l’ultima volta, nonostante la sua maternità iniziasse a diventare evidente. Cosimo, che l’aveva messa incinta, le aveva detto di stare tranquilla. “Voglio andarmene, le aveva detto Cosimo. Va bene, aveva risposto lei, ti seguo. Un lavoro qualsiasi in una città qualsiasi, una casa con le toppe alle finestre. Lavorerò anch’io, finalmente“. Maria Rosaria il 4 novembre del 1972, alle tre del pomeriggio, si presenta a casa Logreco con dei soldi cuciti dentro i vestiti e il rossetto che le piace più degli altri. Cerca Cosimo ma trova sua sorella Nunziata e suo cugino Raffaele. I due le dicono che la porteranno da Cosimo ma, in realtà, la rinchiudono in una masseria fatiscente e lontana dal paese così come ha stabilito Savino Logreco, il padre di Cosimo e di Nunziata, abituato a rimediare a modo suo ai guai che combina il figlio. Maria Rosaria viene picchiata e maltrattata. La sua maternità è rinnegata e stritolata da persone che vogliono che quella creatura scompaia, “…lo sai che il padre non riconoscerà il bambino. Pensa alla sciagura, per te e per lui. Farlo crescere da qualcun altro è l’unica soluzione“.
Per i Logreco conta far sparire la creatura che deve nascere e mettere a tacere la ragazza che l’ha messa al mondo. Non importa come. Maria Rosaria però quella bambina vuole tenersela e quando Angela, l’ostetrica che dovrebbe aiutare lei a partorire e i Logreco a sistemare la questione senza clamori, capisce la volontà della ragazza, vorrebbe uscire dal pasticcio in cui si è cacciata. Ma il pasticcio è ancora più grave e più grande di quanto gli aguzzini di Maria Rosaria possano immaginare o volere.
Maria Rosaria viene disprezzata e derisa, lei bella come la Madonna eppure così stupida da non capire che Cosimo se ne è andato e l’ha abbandonata col ventre pieno e senza fare un fiato. Maria Grazia è vittima più volte. Per questo sua sorella, l’altra parte di lei, colei che ha chiesto giustizia senza ottenere nulla, otto anni dopo la morte di Maria Grazia, sceglie che quella giustizia se la deve costruire da sola. C’è amarezza e sconforto, c’è disperazione e amore nel gesto di una sorella che ne vendica un’altra. Un gesto che va oltre la legge degli uomini visto che tale legge non arriva a risanare né riesce a restituire equità. La vendetta va oltre il dominio delle leggi umane, oltre l’omertà di chi sa e tace, oltre l’oblio di chi si nasconde o fugge.
Edizione esaminata e brevi note
Carmen Totaro è nata a Monte Sant’Angelo, provincia di Foggia, nel 1974. Si è laureata in Lingue e Letterature straniere a Urbino. Il suo romanzo d’esordio, “Le piene di grazia”, è stato finalista al Premio Calvino nel 2013. Vive e lavora a Milano.
Carmen Totaro, “Le piene di grazia“, Rizzoli, Milano, 2015.
Follow Us