Un romanzo come “La ballata delle sette pietre”, che procede per interrogativi, apparenti metafore e volute incertezze, è facile si possa prestare alle più disparate considerazioni e interpretazioni; e nello stesso tempo è plausibile che soltanto pochi lettori vorranno classificare l’ultima opera di Antonio Messina semplicemente come letteratura fantasy o fantascienza. Quello che nell’introduzione di Ilaria Dazzi è definito come “tentativo di comprendere se sia possibile sacrificare il mondo della creatività, della speranza” (pp.7), davvero non consente di ricondurre il romanzo ad una delle categorie letterarie più ortodosse: è un’opera che racconta di sogni, di dimensioni oniriche che vengono monitorate, e forse sfruttate per fini perversi, in un apparente futuro e in un luogo altrettanto indefinito; e che poi termina con il ritorno (forse) ad una dimensione drammatica e del tutto terrena, probabilmente contemporanea.
Il susseguirsi di diverse prospettive fantastiche e il tentativo, almeno iniziale, di salvare il protagonista Ramon perso nei suoi sogni, potrà ricordarci qualcosa dell’Inception cinematografico (il sogno nel sogno), ma questa volta depurato degli ammennicoli fantascientifici, pressoché assenti, salvo il riferimento a due fantomatiche città e all’anno 2125: è presente l’idea della capacità umana di invadere le proprie e le altrui visioni; e il rischio poi di non comprendere la dimensione della propria esistenza. Da questo punto di vista le pagine di Messina, anche grazie a una sorta di monologo interiore che sempre si affianca alla più consueta terza persona, ci rappresentano una vicenda decisamente drammatica e il romanzo, pur criticabile per i troppi dubbi disseminati, rimane coerente con le sue premesse evitando che questa sorta di romanzo metaforico, come lo definisce la prefatrice Ilaria Dazzi, decada in una sorta di riproposizione farsesca del “del falstaffiano “è sogno o realtà”.
Pur nell’incertezza delle coordinate spazio-temporali alcuni passaggi del romanzo, quasi come una sorta di compendio, evidenziano i protagonisti che popolano la vicenda: “Quel sogno continuava a tormentarla, Ramon, lo stesso sognatore che si era perduto sotto il peso dell’esistenza, Nahid, la sua amica più cara che cercava di salvargli la vita, Santiago, quel Perlustratore così sensibile, disposto a perdere il lavoro pur di aiutare la collega, Alice l’esploratrice. E la piccola Sofia, una bambina deliziosa che cercava il padre […] Solo nell’altra realtà i sogni si materializzavano diventando vivi e in grado di condurre una vita propria. E così Ramon era salito sul primo Vascello per l’Area Oscura, pronto ad attraversare la Porta Rossa e liberare i suoi sogni” (pp.114-122). Si intuisce quindi di un mondo futuro in cui l’attività onirica è avversata, popolato di persone molto fragili, quelle che si rifugiano proprio nei sogni, che letteralmente si scollegano dal mondo sensibile e si rifugiano in realtà parallele: per questo motivo, forse, i cosiddetti esploratori sono incaricati di “inseguire i sognatori, scovarli per poi ricollegarli” (pp.105). Le atmosfere nebbiose e ambigue presenti nel mondo di Idiomago e di Ellesir non offuscano i temi fondanti del romanzo: la rinuncia ai sogni, la domanda se sia possibile privarsi della dimensione del sogno, cosa può provocare al singolo e alla società la privazione di un’immaginazione forse consolatoria e curatrice. Da qui il significato dello “smarrirsi” quale perdita di contatto con la realtà: “La ballata delle sette pietre” va intesa quando ogni pietra pesa come un macigno sull’esistenza e quando “i sognatori, essendo anime fragili e sensibili non riescono a sopportare tanto dolore e così dopo la settima pietra si perdono, allontanandosi dalla realtà” (pp.44).
Alla fine – ripetiamolo – apparentemente il racconto sembra approdare ad una dimensione molto più terrena, potremmo pure dire che si svela un “segreto” proprio come leggiamo in quarta di copertina, molti indizi disseminati di pagina in pagina acquistano un nuovo significato, ma un destino ormai segnato non fa recedere il protagonista – e il lettore – dall’impressione che nel suo mondo ritrovato ancora non vi siano autentiche certezze: “aveva immaginato, forse aveva sognato, o forse era pazzo, ma a lui non importava più nulla, niente di niente” (pp.170).
Edizione esaminata e brevi note
Antonio Messina,è nato a Partanna (TP). Ha pubblicato “L’Assurdo Respiro delle Cose Tremule” (2003), il fantasy filosofico “La Memoria dell’Acqua”, nuova edizione (Il Foglio 2010), “Le Vele di Astrabat”, nuova edizione (Il Foglio 2010), la silloge “Dissolvenze” (Il Foglio 2008), il fantasy ambientato nel mondo dei videogiochi “Ofelia e la Luna di Paglia” (Il Foglio 2009), il romanzo di fantascienza “Nebular” (Il Foglio 2011), la silloge “Mitologie Domestiche dell’Anima” (Il Foglio 2013), e il romanzo di fantascienza “Accenni D’autunno” (Il Foglio 2014). Alcune sue liriche sono state pubblicate in antologie poetiche. Vive a Padova.
Antonio Messina,“ La ballata delle sette pietre”, Associazione Culturale Il Foglio, (collana I tascabili), Piombino 2015, pp. 180. Prefazione di Ilaria Dazzi
Luca Menichetti. Lankelot, settembre 2015
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