Revelli Marco

Dentro e contro. Quando il populismo è di governo

Pubblicato il: 30 Gennaio 2016

“Dentro e contro”, malgrado non sia un vero e proprio pamphlet, è uno di quei libri destinati a contrapporre i lettori in modo netto, con poche vie di mezzo. Il saggio edito da Laterza è stato demolito dall’Unità del nuovo corso ultrarenziano, da Gianfranco Morra, da Mauro Calise e dai cosiddetti intellettuali organici al renzusconismo o comunque indulgenti nei confronti del potente di turno (Maurizio Viroli ci parlerebbe dei cortigiani nella storia d’Italia,) mentre secondo Civati: ” Il libro di Marco Revelli […] è il miglior documento sugli ultimi due anni e mezzo della politica italiana. Per questo è un libro terribile”. Giudizi condizionati dal proprio credo politico o dall’opportunismo del momento, ma tutto si spiega anche nella considerazione che Revelli, soprattutto nei confronti dell’attuale presidente del Consiglio, non ha usato mezzi termini: “Di Craxi ha l’arroganza e la presunzione, ma non il profilo politico di lungo corso e l’aura dell’Internazionale socialista intorno. Di Berlusconi ha lo stile da istrione e la ciarlataneria, ma non il capitale monetario e umano che Mediaset e Publitalia assicuravano. Dei precedenti leader non è neppur degno del confronto” (pp.62). Non soltanto un pamphlet, come dicevamo, perché il successo elettorale e mediatico del twittatore di Rignano viene interpretato, grazie anche a strumenti concettuali propri della scienza politica, come esito di un’involuzione morale, intellettuale, politica, che parte da lontano e che si alimenta con un populismo inedito, sicuramente pericoloso, emerso dal cuore stesso del potere costituito. Secondo Revelli il nostro premier ha saputo approfittare, con abilità di consumato venditore, di un sistema democratico in crisi già da anni, sostanzialmente post-democratico, trasformando problemi oggettivi (la crisi di fiducia verso la politica, la crisi dei partiti e del loro ceto politico, la crisi economica, un presidenzialismo ufficioso anche se non ufficiale, uno stato d’eccezione diventato normalità) in risorse personali: non solo uno stile comunicativo spregiudicato ma proprio una mutazione genetica dell’assetto istituzionale e dell’immaginario politico. Da qui il tentativo, in parte riuscito, di aggirare ogni mediazione con i cosiddetti corpi intermedi, la volontà di costruire un rapporto diretto capo-massa anche grazie a risibili strumenti informatici, la ricerca di un consenso fondato non su fatti concreti ma sul racconto di un fare. Il nostro autore ricorda quindi la figura di Callicle, personaggio che nell’Atene del V sec. a. C. militava nel partito oligarchico, e “che incarnava in sé un po’ di Renzi e un po’ di Berlusconi” (pp.69). Quel tanto per poi tornare all’Italia di oggi: “Ogni volta che il nostro paese riscopre il fascino cupo del carisma come extrema ratio, è lì che ritorna, alla velocità della luce: a quell’archetipo tossico che contrappone l’azione al pensiero. Il demiurgo al riflessivo. Il fare al pensare. E addita nell’intellettuale il nemico della Patria. Il podagroso posapiano che rallenta gli arditi” (pp.70). Insomma, una propaganda che infama l’intellettuale, gufo o professorone che sia, perché minaccia di “svelare il prestige”, di “svelare l’illusione” (pp.73). Il succo del discorso, al netto di tutte le considerazioni sul cosiddetto storytelling, sull’arroganza e ignoranza di chi ci governa (si pensi soltanto all’indecenza delle recenti riforme costituzionali), ci è sembrato condivisibile: siamo di fronte ad un populismo del tutto particolare “che permette di mettere in campo un’inedita capacità – polimorfa e perversa, fino a ora sconosciuta alle forze più legate all’establishment – di convertire la disperazione di massa in speranza tramite l’espediente dell’illusione, mutuando linguaggi ribellistici dentro un progetto di fatto reazionario” (pp.83).

Meno convincente semmai l’ultima parte del saggio di Revelli, dedicata allo stato comatoso dell’Unione Europa: “La breccia (Atene) e la gabbia (Roma)”. Se possiamo concordare su una Commissione e una Troika che hanno ridotto lo spazio europeo a una questione meramente burocratica, oltretutto mostrando miopia e un sostanziale autolesionismo, nelle pagine di Revelli manca sostanzialmente un richiamo alle origini della crisi e soprattutto un richiamo alle gravi responsabilità di paesi come l’Italia, affondata da decenni tra corruzione e conseguente debito pubblico. E’ di tutta evidenza che i cosiddetti paesi virtuosi non abbiano più voluto farsi carico delle magagne altrui e, proponendo una terapia dannosa per molti ed efficace per pochi, si siano affidati a spietati e grigi burocrati. In questo contesto la figura caricaturale del Bomba non ci appare semplicemente una pedina dei cosiddetti poteri forti e uno yes-man servile. I comportamenti del nostro presidente del Consiglio, al netto di complottismi e di categorie come destra – sinistra, ci sono sempre sembrati dettati innanzitutto da uno spregiudicato opportunismo. In altri termini per capire le origini dello svuotamento della democrazia sostanziale, una tendenza planetaria ma che in Italia appare ormai a un punto di non ritorno, secondo noi non c’era bisogno di scomodare i desiderata dei burocrati e di istituzioni in mano a multinazionali: bastava considerare la debolezza di un paese condizionato pesantemente dal malaffare e da una classe politica che naviga a vista, corrotta e quindi in cerca di legittimazione fuori dai normali canali democratici e rappresentativi. Al di là di considerazioni che guardano oltre i confini nazionali, alla fin fine anche Revelli ha dovuto convenire che il cosiddetto “cambiar verso” non cambia proprio nulla, aggrava i disastri del ventennio berlusconiano (in questo senso l’espressione renzusconismo ha un suo perché), ed anzi ha molto a che vedere con la “dimensione del Marchese del Grillo, dove c’è chi è tutto e altri sono nulla” (pp.102). Dove il “nulla”, rispetto l’originale, rappresenta un evidente eufemismo.

Edizione esaminata e brevi note

Marco Revelli, figlio del partigiano e scrittore Nuto Revelli, è docente di Scienza della politica all’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. Si è occupato prevalentemente dell’analisi dei processi produttivi e delle forme politiche del Novecento. Fra i suoi ultimi libri ricordiamo: “Le due destre: le derive politiche del postfordismo” (Bollati Boringhieri, 1996), “La sinistra sociale” (Bollati Boringhieri, 1999). Per Einaudi ha curato il testo di T. Ohno, “Lo spirito Toyota” («Einaudi Contemporanea», 1993). Nel 2003 ha pubblicato il saggio “La politica perduta” («Vele») e nel 2006 “Oltre il Novecento” (PBE Ns). Nel 2010 “Poveri, noi” («Vele») e nel 2013 “Finale di partito” («Vele»).

Marco Revelli, “Dentro e contro. Quando il populismo è di governo”, Laterza (collana I Robinson. Letture) Bari 2015, pp. XI-142.

Luca Menichetti. Lankelot, gennaio 2016