Dawson Jill

Il talento del crimine

Pubblicato il: 10 Dicembre 2018

Ad un certo punto la Patricia Highsmith di “The Crime Writer” (“Il talento del crimine” nella versione italiana del romanzo) se ne esce con un’affermazione  che ci dice qualcosa sia di come effettivamente la scrittrice americana intendeva la sua opera, sia dello stesso romanzo di Jill Dawson: “Uno dei libri che sto scrivendo s’intitola proprio ‘Teoria e pratica della suspense’. Non del giallo, non del poliziesco. Come le ho detto quando abbiamo parlato al telefono, non amo il termine ‘giallista’. Dostoevskij ha scritto storie di suspense – vale a dire storie in cui è tangibile un senso di minaccia, di pericolo, di violenza imminente. Non mi vergogno di appartenere a questa categoria” (pp.16). Il “giallo”, come lo intendiamo noi, si caratterizza per alcuni motivi ricorrenti, che però la Patricia Highsmith del romanzo demolisce a brutto muso: “non mi interessano le improbabili fantasie di certe leziose signore, in cui tutti i personaggi riuniti nel salotto sono ugualmente capaci di commettere un feroce omicidio, dalla duchessa ultraottuagenaria al gentile e giovane stalliere…” (pp.17).

Già da queste parole, che non conoscono mezze misure, emerge il ritratto di un’artista a dir poco problematica: così era la reale Patricia Highsmith, autrice di inquietanti romanzi come “Strangers on a Train” oppure “A Suspension of Mercy”; e così appare la Patricia Highsmith protagonista assoluta di “The Crime Writer”. Con queste premesse Jill Dawson, “fan sfegatata di Patricia Highsmith”, ha scritto un’opera molto ambiziosa, sicuramente fuori da facili schemi, che attinge a piene mani dalla biografia della scrittrice americana, per quello che è stato definito sia “gioco letterario” sia “thriller psicologico”. Definizioni che possiamo considerare del tutto compatibili in virtù di un continuo oscillare tra riflessioni sulla genesi profonda del crimine (“gli abissi della mente criminale”) e sul rapporto tra traumi psicologici e scrittura. In prospettiva, per immergersi nei meandri di una mente ferita da antiche ossessioni e da costanti paranoie, niente di più appropriato della personalità eccentrica di Mary Patricia Plangman in arte Patricia Highsmith. La creatrice di Tom Ripley diventa quindi a sua volta protagonista di un romanzo ambientato al tempo del suo soggiorno nella campagna inglese del Suffolk. L’anno è il 1964 ma il lettore potrà capirlo soltanto grazie ad alcuni indizi come le allusioni ai Beatles (“dei ragazzi con i capelli neri e il taglio a scodella”) oppure all’abolizione della pena di morte in Gran Bretagna. Per di più proprio in quel periodo Patricia Highsmith stava terminando “A Suspension of Mercy”, pubblicato poi in Italia col titolo “Senza pietà”: la storia di Sydney Bartleby, uno scrittore americano in crisi che, preda di ossessioni, perso in un limbo tra sogno e realtà, immagina di uccidere la moglie Alicia.

Anche la Patricia Highsmith di “The Crime Writer”, donna decisamente asociale, gran bevitrice, lesbica libertina con qualche vizietto eterosessuale, in confidenza tutt’al più con le sue lumache e con l’amico Ronnie (probabilmente l’autentico Ronald Blythe, autore di “Akenfield”), in un breve lasso di tempo si ritrova ad affrontare delle situazioni fuori dalla norma e difficilmente gestibili: un misterioso stalker, forse un ammiratore fuori testa, sembra perseguitarla da tempo, la giovane e bella giornalista Virginia Smythson-Balby, quanto mai insistente nel proporsi come intervistatrice, un  volto che le evoca qualcosa del suo passato; e poi l’attesa di incontrare l’elegantissima Samantha, l’amante che Patricia ricorda sempre con emozione (“il suo perfetto viso a forma di cuore si imprime indelebile in me” – pag. 152), infelicemente sposata con Gerald. Samantha, come spesso accadeva, si è sposata per interesse, per nascondere la sua natura, ha una figlia e il marito, agli occhi della sua amante, questa scrittrice così asociale e ossessionata dal delitto, appare un meschino, un violento, tanto da farle pensare cose che non si possono dire: “pensi davvero che a un uomo come Gerald, un sinistro, viscido, disonesto violentatore, che alza le mani su sua moglie, dovrebbe essere permesso di vivere e di essere felice?” (pp.93). Ma non soltanto pensieri e parole che potevano essere rivolte alla sua amante: “Ed eccomi al punto di partenza: ho sempre avuto il sospetto di essere uno di quei rari individui (anche di più, essendo una donna) con più lava di altri. Sapevo di essere capace di commettere un omicidio. E Gerald mi ha dato l’occasione di dimostrare a me stessa che avevo ragione” (pp.133).

Non soltanto pensieri e parole ma anche un’attrazione verso la “trasgressione definitiva” che, come intuiamo, possono aver condotto la scrittrice a qualcosa di irreparabile. È infatti soprattutto da quel momento che il racconto di un possibile delitto appare in tutta la sua ambiguità: Jill Dawson si è districata molto bene alternando il racconto tra prima e terza persona, sostanzialmente uno sguardo dentro e fuori Patricia, escamotage per conciliare ricordi autentici e sogni perversi e autoingannevoli; nonché la realtà della creazione letteraria, tra flash back relativi al passato disturbante di Patricia (per lo più la vera Patricia Highsmith), all’incontro con Samantha, ed un presente dove la finzione e le conseguenze di un omicidio procedono senza soluzione di continuità. “Il talento del crimine” si fa apprezzare anche per il suo equilibrio: un racconto che infatti scorre brillantemente malgrado la compresenza magmatica di un presente rappresentato per lo più da dialoghi pieni di sarcasmo e di una misantropia appena tenuta a freno, con qualche incursione nell’umorismo più nero, di un flusso di pensieri proveniente da una mente ossessionata dal passato, da sensi di colpa, da rancori inestinguibili, di confronti con delle psicologie torbide e che difficilmente possiamo ritrovare in un semplice “giallo”.

Se la critica ha subito apprezzato “The Crime Writer” cogliendone essenzialmente una sostanza di “thriller psicologico”, forse le parole migliori sul romanzo sono quelle della stessa autrice: “L’invenzione è come un sogno organizzato, dove la realtà si trasforma in qualcos’altro e la verità si fa più vicina”.

Edizione esaminata e brevi note

Jill Dawson, nata a Durham nel 1962, ha studiato all’università di Nottingham, per poi trasferirsi a Londra nel 1983. Attualmente vive nelle Cambridgeshire Fens. Docente di scrittura creativa, ha pubblicato nove romanzi e curato diverse antologie di poesie e racconti. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui l’East Anglian Book Award per “Il talento del crimine”.

Jill Dawson, “Il talento del crimine”, Carbonio Editore (collana “Cielo stellato”), Milano 2018, pp. 256. Traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini.

Luca Menichetti. Lankenauta, dicembre 2018