L’ora del mondo (Hacca) è il primo libro di Matteo Meschiari che leggo. Antropologo, geografo, negli ultimi anni ha pubblicato vari libri convogliando le sue conoscenze di studioso in una narrazione che tenesse conto dello stato attuale del pianeta, dell’umanità, e un’immaginazione che tentasse di farsi ponte (come ogni buona immaginazione dovrebbe) verso il futuro. Questo, almeno, quel che ho capito facendo ricerche in rete. Tornando al romanzo L’ora del mondo, oggetto di quest’articolo, è un’opera molto densa e magmatica per riferimenti letterari, storici, geofisici, e in cui al tempo stesso l’autore riesce a mantenere un passo leggero. La storia è fantastica (non nel senso uau ma in quello che afferisce all’immaginario fantastico) e ha per protagonista una bambina, Libera, nata senza una mano e per questo abbandonata nei boschi appenninici, cresciuta dai lupi, catturata da umani e infine liberatasi; Libera che “Da dove siamo noi avremmo visto il lampo dei suoi capelli rossi e il pallore azzurrato dei suoi polpacci. Invece i vestiti si confondevano con erba e terriccio e Libera ricordava gli spiriti del metano che singhiozzano e sfiammellano verso l’alto.” (pag. 11); Libera a cui viene affidata una missione: ritrovare il Mezzo Patriarca perduto per salvare l’umanità intera. C’è l’Uomo-Somaro che l’ha attesa per 950 anni, c’è il Mezzo Patriarca ritrovato, ci sono gli dèi e i semidèi e i Pastori, ci sono le terre Soprane e le terre Sottane, ci sono reincarnazioni in piante, ci sono luoghi salvi e luoghi insicuri, ci sono Sedi, soglie, c’è l’Albero Nero: insomma è un piccolo libro pieno di personaggi e luoghi memorabili, un romanzo animista – come definito dallo stesso Meschiari in un’intervista uscita su minimaetmoralia fatta da Giulia Caminito, in cui sottolinea anche il fatto che ognuno dei 34 capitoli abbia come titolo dei versi ripresi dai 34 canti dell’Inferno dantesco – e profondamente legato al territorio dell’Appennino modenese, alla sua morfologia, all’antropizzazione di alcuni posti e all’abbandono di altri, come sovente accade per le zone Soprane. È una storia con tante storie, un libro con molti libri (oltre a Dante si possono trovare riferimenti diretti, per esempio, a Eliot e Campana, e per quel che mi riguarda ho avvertito durante la lettura la presenza di Peter Pan, Pinocchio, Alice, la Bibbia, La storia infinita e altri testi che non c’entrano niente ma che in certi momenti vivono della stessa atmosfera tra mondo di qua e mondo di là, come per esempio: La voce segreta dei corvi di Barzak, tradotto da Clara Nubile e pubblicato da Elliot nel 2008, che è tutt’altro genere di romanzo; oppure Io sono febbraio di Jones, tradotto da Dafne Calgaro per ISBN e uscito nel 2011).
L’ora del mondo è certo un romanzo ambizioso, e colpisce per la potenza dell’immaginario cui riesce a dare vita. Meschiari è preciso, meticoloso, accorto, e il suo modo di scrivere avvicina il ritmo della narrazione orale, che nella tradizione appenninica è forte. A volte, però, l’uso che ha fatto della punteggiatura, e del punto in particolare, ha tagliato questo ritmo, l’ha ostacolato, o almeno questa è l’impressione che ho avuto leggendo. Non ha certo inficiato il piacere della lettura ma mi sono trovato a chiedermi il senso di questa scelta e non ci sono arrivato. Lascio un paio di brani che a mio avviso possono accendere la curiosità più delle mie note di lettura.
Qui Libera, che ha 10 anni per tutti gli anni in cui si svolge la storia, cerca il Mezzo Patriarca che si mimetizza in uno dei tanti giardini di Modena. È una parte che apprezzo perché c’è tutta la pazienza e la concentrazione all’ascolto di cui sono capaci i bambini, anche quelli più irrequieti.
“Lei ci restava tutta la notte per ascoltare una pianta dopo l’altra nella speranza che il Mezzo Patriarca perduto si mimetizzasse in una di esse. La tecnica era semplice. Metteva l’orecchio proprio attaccato alla corteccia o a una foglia e aspettava di sentire quello che lei chiamava il respiro. Non era proprio un respiro ma una vibrazione bassa e intermittente che aveva avvertito stando vicino al Mezzo Patriarca rimasto. Era più di un ronzio. Partiva dall’orecchio e le solleticava la punta del naso. Dal naso le scendeva alle dita dell’unica mano e a volte se la pianta era nobile e antica anche le dita dei piedi le formicolavano in modo strano. Quando era sicura di avere sentito il respiro cominciava a cantare alla pianta e qualche pianta a volte le rispondeva.” (pag. 121-122).
Com’è però un Mezzo Patriarca? Qui l’incontro con quello rimasto: “Libera guardò. E vide un vecchissimo grosso ginepro abbarbicato ai macigni di arenaria bianca. Il ginepro aveva vecchi rami spessi e canuti ma anche virgulti e pennelli di aghi giovani e verdi. L’intrico era così fitto che il legno e le foglie pungenti sembravano un unico corpo solido fatto di ossa e muscoli e peli. Tutto fremeva e si agitava e agitandosi il groviglio assumeva forme che somigliavano a una gamba umana o a un petto che si gonfia respirando o a una mano e a volte come in quel preciso momento anche a un volto. Bastava spostarsi di lato e il volto spariva e tutto tornava a essere una semplice pianta di ginepro. Ma se trovavi l’angolazione giusta la faccia tornava con il suo naso di corteccia e le sopracciglia di verde ispido.” (pag. 65-66).
Non ho reso conto di un sacco di personaggi e di quello che fanno e dei Cinque Popoli, ma per tutto questo la soluzione è semplice: prendere il libro e leggerlo.
Edizione esaminata e brevi note
Matteo Meschiari è professore associato di Geografia all’Università di Palermo. Oltre a numerosi articoli, ha scritto svariati libri di carattere saggistico e letterario: Sistemi selvaggi. Antropologia del paesaggio scritto (2008), Dino Campana. Formazione del paesaggio (2008), Terra sapiens. Antropologie del paesaggio (2010), Nati dalle colline. Percorsi di etnoecologia (2010), Spazi Uniti d’America. Etnografia di un immaginario (2012), Uccidere spazi. Microanalisi della corrida (2013), Geofanie. La terra postmoderna (2015), Antispazi. Wilderness Apocalisse Utopia (2015), Artico nero (2016), Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica (2017), Neghentopia (2017), La grande estinzione (2019).
Matteo Meschiari, L’ora del mondo, Hacca, 2019
ab, aprile 2020
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