Ingroia Antonio

C’era una volta l’intercettazione

Pubblicato il: 10 Gennaio 2010

La lettura di “C’era una volta l’intercettazione” conferma ancora una volta come spesso la miglior recensione di quei saggi e istant book che riguardano i fatti e misfatti di casa nostra sia proprio la loro prefazione a cura dell’onnipresente – per nostra fortuna – Marco Travaglio: ovvero non soltanto un’efficace sintesi di quanto tratta l’opera in questione, ma soprattutto un’analisi approfondita del contesto truffaldino in cui maturano quelle bufale mediatiche che il libro tenta di sbugiardare.

Difatti anche il saggio di Ingroia sulle intercettazioni è integrato da una precisa e spietata casistica a cura del giornalista torinese, ovvero i detti e i contraddetti, le vicissitudini poco onorevoli di chi è in prima linea –  guarda caso – nel chiedere restrizioni degli strumenti investigativi e alla diffusione delle notizie di carattere giudiziario. Legge sulle intercettazioni che in fondo ha una sua perversa coerenza,  inquadrandosi perfettamente in una linea d’azione (e distruzione), per lo più comune alle maggioranze di destra e di sinistra, che parte dalla  controriforma dell’articolo 513 del Codice di procedura penale, per passare poi dalla legge costituzionale del “giusto processo” e dalla normativa che ha limitato fortemente quegli “incentivi che fino a quel momento avevano indotto tanti mafiosi a saltare il fosso e a collaborare con la giustizia”. Quali bufale?

Innanzitutto l’idea inquietante di milioni e milioni di cittadini intercettati (“sono al massimo 20mila all’anno “), di costi spropositati (“le spese reali sono 220 milioni l’anno, a fronte di un bilancio di oltre 7 miliardi”) e l’idea rassicurante che il nuovo progetto di legge (n. 1415)  non riguardi le indagini antimafia; e che dunque nella lotta a Cosa Nostra, alla camorra e alla ‘ndrangheta tutto resterà come prima (“Assai più difficile sarà indagare sugli insospettabili, su coloro i quali dovessero risultare, in una prima fase, indiziati soltanto della commissione di altri illeciti, reati satellite dell’organizzazione mafiosa come l’estorsione” – pag. 125). Travaglio ce lo ripete spesso, perciò proprio niente di nuovo, ma il contesto è tale che la citazione calza a pennello: “nel regime italiota basta ripetere a pappagallo una bugia per trasformarla automaticamente in un dogma di fede: se ne incaricano appositi intellettuali e giornalisti da riporto, a loro volta terrorizzati all’idea di finire intercettati mentre concordano imposture à la carte con i loro protettori”. “C’era una volta l’intercettazione” si propone evidentemente di sgombrare il campo da queste balle convertite in verità grazie allo zelo dei soliti maggiordomi e di amorosi e smemorati militanti. Per dirla in altri termini  è vero che le intercettazioni sono nate e si sono evolute di pari passo con le  tecnologie e i cambiamenti sociali; tanto che “ il loro utilizzo è stato sottoposto a precise regole, la più importante delle quali è la richiesta da parte del pubblico ministero seguita dall’autorizzazione di un giudice per le indagini preliminari. Tutto questo mentre la politica sta insinuando l’idea di un mondo costantemente controllato”. Ingroia, procuratore aggiunto alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo e già stretto collaboratore di Paolo Borsellino, nelle tre parti del libro, oltre a presentarci la storia delle intercettazioni telefoniche in Italia, ovvero come grazie all’ascolto delle “voci involontarie” si illuminò “il lato osceno” del potere al tempo dei grandi processi antimafia e di mani pulite,  si preoccupa di confutare punto per punto tutte le balle più clamorose che in questi mesi hanno infestato giornali e televisioni. Andiamo un po’ per ordine.

Il nostro magistrato col suo saggio, chiaramente divulgativo, non rivolto agli operatori del diritto, ci propone delle pagine scritte con un linguaggio estremamente comprensibile, e forse proprio per questo stile alieno da tecnicismi, all’atto della lettura emergono con più forza le assurdità del provvedimento che presto sarà legge dello Stato. Ovvero come farsi beffe della logica, prendere in giro gli elettori raccontando di una politica della sicurezza e dei diritti;  e nel contempo parare le terga ai criminali (o a se stessi): “Insomma il legislatore è incorso in quella che i logici chiamano un’aporia insanabile, che in altri termini può definirsi semplicemente un controsenso: le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova, ma con la nuova legge devi avere già le prove per poter intercettare, quindi devi avere le prove per cercarle. Ma se le prove le hai già l’intercettazione non serve a nulla” (pag. 116). Il libro è ricco di esempi di casi giudiziari risolti grazie a strumenti come le intercettazioni ambientali e telefoniche, con buona pace di chi ci racconta di investigazioni più efficaci con metodi tradizionali e non tecnologici. Probabilmente, a fronte di una criminalità mafiosa e politica che opera con metodi sempre più avveniristici, e forze dell’ordine che non hanno nemmeno la benzina per uscire con le volanti, “La criminalità è organizzata, noi no” di Amurri e Verde, ormai la dovremo interpretare non più come lieve battuta umoristica, ma come fotografia di una situazione del tutto reale, ottenuta negli anni grazie al solerte impegno dei nostri amorosi e disinteressati statisti. Nel libro di Ingroia non poteva poi mancare il riferimento ad altra recente bufala, imbastita ad arte da un fronte politico trasversale destra sinistra: il caso Genchi. Questi, consulente tecnico di varie procure in indagini su mafia, ‘ndrangheta, omicidi, stragi, sequestri di persona, non ha mai disposto né realizzato una sola intercettazione in vita sua: “è un fatto che Pio Pompa i magistrati li schedava (n.d.r. recentemente promosso a dirigente dal governo amico), mentre Genchi ne eseguiva le disposizioni. E che il divampare del caso Genchi sia caduto a fagiolo, finendo per essere funzionale a creare il clima più favorevole per la controriforma delle intercettazioni” (pag. 104).

Chiude il libro, quale appendice, il disegno di legge sulle intercettazioni: soprattutto per coloro che non sono digiuni di diritto e magari hanno conservato qualche barlume di buon senso si riveleranno le pagine più tristi. Per finire lasciamo la parola all’autore:  “Sono stati tanti, troppi i dati falsati che certa propaganda imperante ha presentato come veri, in un totale rovesciamento della realtà fattuale trasformata in opinione, con la menzogna organizzata contrabbandata per verità. Anche per questo ho scritto il libro”. (pag. 153). Leggerlo è indispensabile, consapevoli che conoscere la verità dei fatti in questa Italia non è mai consolante.

“Più una macchina politica mente, più essa fa dell’amore della verità promessa la parola d’ordine della sua retorica” (Jacques Derida, Breve storia della menzogna)

Edizione esaminata e brevi note

Antonio Ingroia, classe 1959, formatosi professionalmente nel pool di Falcone e Borsellino, è oggi procuratore aggiunto a Palermo. Si occupa da quasi vent’anni di importanti casi giudiziari di mafia, dall’omicidio De Mauro all’omicidio Rostagno, all’indagine della “trattativa Stato-mafia” del ’92-’93. E’ stato p.m. nei processi Dell’Utri e Contrada. Ha pubblicato vari libri, saggi e articoli, fra cui “L’associazione di tipo mafioso” (1993) e con Gian Carlo Caselli “L’eredità scomoda” (2001)

Antonio Ingroia, C’era una volta l’intercettazione. La giustizia e le bufale della politica, Stampa alternativa, Viterbo 2009, pag. 174

Recensione già pubblicata su ciao.it

Luca Menichetti. Lankelot, gennaio 2010