Ümit Ahmet

Perché Istanbul ricordi

Pubblicato il: 31 Ottobre 2021

“Purtroppo sa come funziona in Turchia, Commissario, i testimoni cambiarono le loro deposizioni, il pubblico ministero e i giudici si parlarono, diciamo così, e il tribunale assolse gli imputati” (pp.435). Ed ancora: “Avevamo due gruppi di sospettati. Il primo, a modo suo, voleva difendere la città e la sua eredità storica, il secondo, un’agenzia turistica che usando la stessa eredità, o addirittura saccheggiandola se necessario, voleva solo arricchirsi” (pp.513). Questi due brevi brani tratti dal romanzo di Ahmet Ümit, “Perché Istanbul ricordi”, ci introducono in un thriller che, proprio in quanto thriller contemporaneo, si occupa di vicende che vanno ben oltre gli omicidi oggetto dell’indagine poliziesca. Qualcuno di noi ricorderà infatti un dibattito piuttosto interessante nel quale alcuni noti scrittori, tipo Maurizio de Giovanni e Luca Crovi, rivendicavano a chiare lettere il “romanzo nero” quale autentico romanzo sociale, “chiave per raccontare quello che ci sta succedendo attorno e per descrivere i tempi che stiamo attraversando”, che “entra nel vivo dei problemi di una società che non funziona, svelando le ingiustizie che esistono”. Chiaramente dibattito è stato perché un Francesco Recami, al contrario, ha affermato che “l’analisi sociale è più che altro un alibi per chi scrive storie noir che vengono lette per puro scopo di intrattenimento. Non c’è niente di male, anzi, ma paludare storie di intrattenimento come analisi sociali mi pare come mettere le mani avanti”. Comunque la si pensi “Perchè Istanbul ricordi” è un libro che non si può raccontare esclusivamente come indagine poliziesca. Molti critici, quasi tutti, hanno evidenziato come in questo libro, di oltre seicento pagine, le radici, la storia, l’arte presente di Istanbul – o meglio l’amore per la storia e per l’arte dei protagonisti – i sentimenti e gli stessi ricordi personali del commissario Nevzat Akman siano elementi fondanti del romanzo. Elementi fondanti che il lettore alla fine scoprirà essere strettamente connessi alla scoperta degli assassini.

La vicenda vede il commissario, preda di pesanti malinconie a causa della perdita di moglie e figlia, affiancato alla criminologa Zeynep e al giovane e fumantino ispettore Ali, ricercare giorno e notte gli autori di un serie di delitti; che appaiono subito rituali: le vittime sono tutte rinvenute con in mano una moneta antica nei pressi di monumenti di Istanbul, tutti legati a una importante figura storica del passato, dal Re Byzas, passando per Costantino, per poi ritornare, come un cerchio che si chiude, al monumento di Ataturk, luogo dove era stata rinvenuta la prima vittima. Vittima che, come le altre, era presumibilmente coinvolta in un eclatante caso di speculazione edilizia ai danni della città e, conseguentemente, delle sue tradizioni.

Non c’è quindi da stupirsi se in questo contesto di serrate indagini, oltre ai frequenti momenti in cui Nevzat Akman ricorda la sua vita sentimentale e le sue fragilità psicologiche, molte pagine siano dedicate al racconto delle leggende, della storia di Istanbul, già Bisanzio, e soprattutto alla genesi delle sue inarrivabili opere d’arte. Come, interrogando un giovane indiziato, vengono allo scoperto altri temi che squassano la società turca, tipo la religione islamica, con tutto il suo mutamento estremistico di questi ultimi anni: “Anche lui mussulmano credente, ma aveva idee completamente diverse da mio padre così come dal suo. Non era calmo e pacifico come i nostri genitori, credeva davvero che l’Islam avrebbe salvato il mondo e per questo difendeva la necessità dei musulmani di unirsi alla jihad” (pp.264).

Ma soprattutto, tornando alle frasi inizialmente citate, c’è da pensare che il romanzo possa rappresentare una critica, con tutte le sue chiare allusioni alla diffusa corruzione presso le forze dell’ordine e le istituzioni dello stato, al regime di Tayyip Erdoğan. Soprattutto la corruzione intesa come speculazione edilizia, piaga di tutte le società contemporanee. Del resto che Ahmet Ümit non sia mai stato un sostenitore dell’autocrate turco l’avevamo già capito leggendo del suo sostegno agli studenti che si opponevano al tentativo governativo di commissariare l’accademia di Istanbul.

Tirando le somme, “Perchè Istanbul ricordi” è un romanzo che si fa leggere con facilità, malgrado la sua mole, e, a fronte di una trama noir fin troppo elementare, può risultare avvincente proprio per tutti i temi che si manifestano di volta in volta, nonché per la sua vocazione a celebrare la storia di una grande città e la sua tutela dagli appetiti degli speculatori.

Edizione esaminata e brevi note

Ahmet Ümit, (Gaziantep, Turchia, 1960), scrittore e consigliere culturale alla Fondazione Goethe di Istanbul, dove vive e lavora. Membro attivo del Partito Comunista Turco dal 1974 al 1989; prese parte al movimento clandestino per la democrazia durante la dittatura militare (1980 – 1990). Nel 1985 ha frequentato illegalmente l’Accademia delle Scienze Sociali a Mosca.

Ahmet Ümit, “Perchè Istanbul ricordi”, Ronzani Editore (collana “Attravèrso”), Vicenza 2020, pp. 608. Traduzione di Anna Valerio.

Luca Menichetti. Lankenauta, ottobre 2021