Genna Giuseppe, Tripodi Pino

Pianetica

Pubblicato il: 11 Luglio 2022

“L’energia è Shakti: il potere primordiale della creazione, la forza creativa autorganizzante, autogenerante e autorinnovante dell’universo nel suo aspetto femminile. Il termine Shakti deriva dalla radice sak che significa “capacità di fare” o “avere potere”. Shakti è la potenza, la forza, la personificazione dell’energia primordiale e l’origine dell’evoluzione divina e cosmica, ma è anche origine e controllo di tutte le forze e di tutte le potenzialità della natura. L’universo è un’espressione della Shakti e un’infinita riserva di energia” — Vandana Shiva

Difficile centrare il dilemma di Pianetica (il testo o la traccia?), come difficile è testarne i confini, adusi come siamo a confinamenti ed a precetti più o meno coatti. Il libro-progetto-saggio-romanzo di Genna e Tripodi, uscito per Milieu che si è prestato a fare da “non editore”, è un testo di difficile catalogazione; si potrebbe quasi chiamare un libro d’arte, per certe caratteristiche peculiari come, appunto, il “non editore”, la scritta sulla copertina che già chiede a chi legge un’interpretazione, il fatto che siano “copie numerate ma non saranno numerate” (cit. dal sito di Genna), il sommario non sommario, ma dato il contenuto, forse è più un progetto filosofico, che dal filosofico si muove verso il politico renouvelé. Procederò per (contrap)punti sintetici, nel tentativo di dare una idea generale del progetto Pianetica (=etica per un Pianeta?), secondo una scelta inevitabilmente arbitraria:

 

LA FILOSOFIA

Il primo punto affrontato dagli autori è il decursus (filosofico) del pensiero occidentale; esso nasce da uno sfinimento, meglio, sostengono gli autori una sfinitudine. Essa è già rintracciabile nel sentire filosofico, che accecato dal ritorno a un suo archè, intraprende la direzione di una regressione ad infinitum, che ne appesantisce l’indagine per definirne infine gli stessi limiti gnoseologici, depotenziando e relativizzando così ogni praxis e azione umana nella storia.

Ma la sfinitudine non è mai intesa come fine. Se la Politica, i mercati, la scienza ed il suo antesignano, la religione, sono colti da sfinitudine, è perché un salto di specie si annuncia all’orizzonte, un presagio di nuova vita, dentro la necrosi, una palingenesi nonostante tutto, senza soluzione di continuità.

Nelle epoche che svoltano, gli individui, nella loro rinnovabile singolarità, periscono di una stanchezza che esaurisce solo la messa in atto, diversamente dall’esausto di Deleuze che, esperendo il possibile “si esaurisce esaurendo il possibile e inversamente. Esaurisce quel che nel possibile non si realizza. Mette fine al possibile, al di là di ogni stanchezza, per continuare a finire”

In Pianetica mi pare non accada; la vita è permanenza al di là di ogni scadenza biologica, è vivenza (così gli autori) che vuole sé stessa per sé stessa; come fenomeno unitario, la vita è priva di inizio indi di fine, finita perché perfetta, increata, altrimenti avrebbe dovuto discendere dal non–essere informe, sussistente anche quando invisibile,

L’ipseità della vita, non necessità di un primum movens, ma l’atto creativo è trasformazione dal valore aggiunto, oscillazione tra inerte e organico, ove per delega della vita medesima, le creature strappano dall’indefinito compatto, sacelli di materia vivente, che dall’inesauribile nulla emergono, per poi ritornarvi, attraverso un infinito nascere e perire.

 

LA CITTÀ

La città -(polis) come roccaforte o come avamposto fattuale di un’etica comunitaria (patria dello zoòn politikòn) è organismo superato; oggi esiste solo la città che permea di sé l’esterno e ne è resa permeabile.

La città, quella città in pericolo, che ha fondato la Politica per perderne la  potenza predittiva in un insospettabile sfinimento, ha  abbattuto le sue mura ciclopiche, per andare alla conquista dell’ignoto, assoggettando  interamente lo spazio-pianeta, e attraverso le vettorialità de-territorializzanti del Capitale e della Guerra pacificatoria, ha spazializzato l’umano e predato compulsivamente le risorse naturali per la sua sussistenza.

E così facendo si è resa inerte nei confronti di un virus il cui sorgere incubatorio rimane ascoso, espressione di una paura atavica che spodesta l’umano dalla sua distinta posizione d’alterità e immortalità.

L’antroprocene cittadino è ovunque; lo spazio fuori è antropico e artato; artefizio di una mente che immagina e sfida.

La città erge la veglia senz’ombra; e tra i silenti spazi dei campi di frumento della mia pianura Padana, salpano i suoi tralicci, come presenze che piu nessuno nota, ma che stanno lì, in attraversamento notturno costante, per portare energia magnetica alla città stessa, che tutto accumula, consuma e eietta, nello spazio aperto dalle nuove eterotopie dell’inquietudine.

I fiumi, i laghi, i boschi divengono aggettivati con il termine cittadini. Ambiscono a skyline e a sbarramenti; subiscono deviazioni, tutto per alimentare l’agio del cittadino, che più non avvista i barbari all’orizzonte e con essi, forse, il futuro …”la fortezza Bastiano è un avamposto morto, una frontiera che si affaccia sul niente. Al di la della fortezza c’è un deserto, e dopo il nulla, il deserto dei Tartari. L’hanno certamente attraversato, secoli fa, e poi sono scomparsi…” (DA IL DESERTO DEI TARTARI)

Ed è cosi che la città spartiacque si è dotata di architetti ed esterior design, e, in piegature e crocicchi notturni del vuoto, i passanti annegano nel tempo senzatempo (cronotropi), ove gli opifici dismessi lavorano fantasmi, che assumono sembianze di portieri d’uffici, nel mattino aurorale.

Ma il Fuori resta un dentro straniero, presunto, sussunto, per cui solo un avvistamento improbabile sarebbe in grado di spegnere la vorace avanzata dell’urbe. Un avvistamento senza possesso, un avvistarsi nell’avvistamento ove : “…però l’aspettativa non sia una forma fantasmatica dell’appropriazione, della proprietà (pag 111)…”

La città che si è agglutinata al pianeta, dominandolo e piegandolo alle sue logiche, ergendosi a consumatrice insaziabile, necessita di un nuovo spazio scalare; di un nuovo tempo da ardere, di una nuova semenza da donare. Solo se la città si apre, senza più ansia assoggettante e predatoria, può trovare eco nel Pianeta compassionevole ed appassionato della sorellanza e fratellanza umana.

Solo allora la  Pianetica donerà il suo tempo lucido allo spazio di un Potere finalmente condiviso.

 

LA PIANETICA (Manifesto di cooperazione universale)

“Essa non è una utopia. Non è luogo dell’inesistenza. È luogo dell’esistibile. Realtà che si oppone al realismo. Luogo abitabile di ogni dimora dell’animale urbano” pag 236

Il pianeta di Pianetica è innato, non impiantato, è vita ancora non pervenuta, da ricercare massivamente, ma che, in potenza, è già tra noi.

Essa si basa sulla fondazione di città-pianeta. Il Pianeta possiede già le sue leggi; mentre l’uomo va governato nei suoi spazi di vita collettiva. Ed ecco che tra i diversi capisaldi della Pianetica, io ne evidenzierei almeno quattro:

-fine della Politica che si fonda sulla competizione, la rivalità e la lotta di governo dello spazio e delle risorse; al suo posto una Politica che persegue il bene comune e non l’interesse (prevalente) del singolo.

-la soluzione dei problemi avviene attraverso la cooperazione e la pace senza l’utilizzo di nessun strumento bellico per dirimere le contravversie o annullare le differenze culturali ed antropologiche.

-si perseguano quindi solo obiettivi transnazionali ed extraspecifici, con particolare attenzione per il mantenimento di una healthy competition, ma una competizione che non schiaccia ed esclude ma che agisce nel quadro etico di una collaborazione superiore ed implementa progetti dal beneficio universale.

-il bene ricevuto da questo pianeta, in ultimo, è il bene da tutelare per preservare intatto il futuro delle nuove generazioni.

Molto in sintesi questi sono alcuni dei capisaldi teorici, arguibili anche dalla lettura di alcuni scritti che, con scadenza arbitraria, vanno ad implementare il testo principale di Pianetica e che gli autori mettono a disposizione a tutti coloro che si iscrivano alla piattaforma web di Pianetica, da cui ha preso vita questo progetto per un futuro planetario.

“…mio attrito, mia albedo, mia madre…”

Edizione esaminata e brevi note

Giuseppe Genna autore di numerosi romanzi, tra questi Nel nome di Ishmael, Dies Irae, Hitler, La vita umana sul pianeta Terra, Assalto a un tempo devastato e vile, History. Il suo ultimo libro è Reality (Rizzoli 2020).

Pino Tripodi autore di diversi libri, tra questi Vivere Malgrado la vita e Per sempre partigiano (DeriveApprodi), settesette e La zecca e la malacarne (Milieu).

Giuseppe Genna, Pino Tripodi, Pianetica, Milieu edizioni, Milano, 2022