Ben Jelloun Tahar

Il miele e l’amarezza

Pubblicato il: 15 Agosto 2022

Il miele e l’amarezza” o del disfacimento di una famiglia. Un romanzo non tenero, una narrazione a più voci che scava dentro imponderabili silenzi, quelli che si radicano nell’animo di chi si ostina a rimanere aggrappato alle proprie sofferenze e non sa darsi altra soluzione. Ogni capitolo porta il nome del parlante di turno: Mourad, marito e padre, Malika, moglie e madre, Samia, la prima figlia, Moncef e Adam, i fratelli di Samia, e Viad, il badante di colore. Sono loro i personaggi che Tahar Ben Jelloun ha creato per raccontare una storia vera, come lo stesso autore ha confermato nelle sue interviste. Una storia che parte da lontano e che culmina in un atto di violenza,  lo stupro di una ragazza che desiderava pubblicare i suoi versi e si è fidata dell’uomo sbagliato.

L’amarezza è dentro il racconto di ognuno perché ognuno vive, a modo suo, l’insoddisfazione di stare al mondo. Atmosfere domestiche che somigliano a battaglie efferate, una guerriglia di casa che si percepisce fin dall’incipit: “Vivo in un seminterrato così basso che a volte mi capita di confonderlo con una tomba. Fa freddo, cosa che mi piace in estate e mi infastidisce in inverno, soprattutto perché questa stagione a Tangeri è molto umida. Di sopra, abbiamo una casa, costruita quando tutto andava bene e dove io e mia moglie eravamo abbastanza fiduciosi nel futuro. Eravamo stupidi e non lo sapevamo. Eravamo anche felici e non ci rendevamo conto della nostra fortuna“. Il matrimonio tra Mourad e Malika, come vuole la tradizione marocchina, è stato combinato e ha condotto all’unione forzosa di persone consenzienti ma mentalmente ed emotivamente molto distanti che, negli anni, hanno accentuato le loro differenze, aggrappandosi ferocemente a un reciproco e radicale odio.

L’infelicità sembra gonfiarsi coi respiri e con i giorni. Mourad viene meno ai suoi principi finendo per diventare ciò che aveva sempre detestato essere. Malika, inchiodata a superstizioni e a pregiudizi vecchi di millenni, rimane bardata nel suo fastello di idee preconcette e in un microcosmo che sa ruotare solo attorno alla sua salute, alla sua casa e alle sue frustrazioni. C’è sofferenza e insofferenza in ogni pensiero, in ogni azione, in ogni scelta. L’unica figura che pare scollarsi da una realtà familiare così opaca e avvilente è Samia, la prima figlia. Samia scopre un rifugio molto personale, scopre il sollievo e il libero volo della poesia: “Quando leggo poesie mi sento leggera, ho l’impressione di librarmi, di volare sopra la città. Mi sento come un passero che vola veloce pur essendo molto attento a ciò che cerca. La poesia mi porta fuori da questa camera, da questa casa oscura, da questa città divorata dall’ipocrisia. La poesia come risposta, come difesa, come via di fuga“.

La poesia è un segreto che Samia tiene per sé: nessuno in famiglia capirebbe. “Nessuno sa di quello che scrivo. Sono timida. Non parlo con nessuno di questa passione. Tutto è consegnato al mio diario. Ho paura che un giorno mia madre scopra questo quaderno e lo legga. Non capirebbe nulla“. Una passione profonda ma nascosta che induce Samia a sognare di poter vedere i propri versi pubblicati, per la prima volta. Ha solo 16 anni e crede alle promesse di un editore senza scrupoli che la invita nella sua casa. Ingenua e confidente, la giovane Samia subisce l’oltraggio più vergognoso. E non può dirlo a nessuno. Il suo diario accoglie i suoi pensieri più atroci, le sue confidenze più intime. Il suo devastante dramma si consuma e la consuma, giorno per giorno. Fino alla decisione finale.

“Il miele e l’amarezza” ci fa sprofondare in una realtà familiare drammatica che è del Marocco ma, per estensione, può appartenere a tante altre culture e nazioni. L’incomunicabilità è una delle barriere più penose e deleterie per gli umani, sa divenire un solco profondissimo che intacca e rovina intere esistenze. Le dolorose vicende della famiglia descritta e raccontata da Tahar Ben Jelloun, attraverso una prosa coinvolgente e intensa, ci permettono di entrare all’interno di quelle dinamiche che, come scritto, portano alla dissoluzione: emotiva, mentale, affettiva. Un’infelicità che travolge e dissipa, senza lasciare speranze, tramutando una casa in una sorta di tomba per i viventi.

Edizione esaminata e brevi note

Tahar Ben Jelloun è nato a Fès (Marocco) il 15 dicembre del 1944. Ha studiato e poi insegnato filosofia in Marocco. Arriva in Francia nel 1971 e pubblica il suo primo romanzo con Maurice Nadeau nel 1973. Oggi vive a Parigi. Poeta, romanziere, giornalista e pittore, ha vinto il Premio Goncourt nel 1987. Tra i suoi numerosi libri, “Creatura di sabbia” (1987), “Notte fatale” (1988), “L’estrema solitudine” (1999), “L’Islam spiegato ai nostri figli” (2001), “Amori stregati” (2003), “L’ultimo amico” (2004), “La fatalità della bellezza”, in “Notte senza fine. Amore, tradimento, incesto” con Amin Maalouf e Hanif Kureishi (2004), “Non capisco il mondo arabo” (2006), “Partire” (2007), “L’uomo che amava troppo le donne” (2010), “Fuoco” (2012), “L’ablazione” (2014), “È questo l’Islam che fa paura” (2015), “Racconti coranici” (2015). Presso La nave di Teseo sono usciti “Il matrimonio di piacere” (2016), “Il terrorismo spiegato ai nostri figli” (2017), la nuova edizione ampliata di “Il razzismo spiegato a mia figlia” (2018), “La punizione” (2018), “Insonnia” (2019), “La filosofia spiegata ai bambini” (2020), “Dolore e luce del mondo” (2021), “Il miele e l’amarezza” (2022).

Tahar Ben Jelloun, “Il miele e l’amarezza“, La nave di Teseo, Milano, 2022. Traduzione di Anna Maria Lorusso. Titolo originale: “Le miel et l’amertume” (2022).

Pagine Internet su Tahar Ben Jelloun: Sito ufficiale / Wikipedia / Treccani