Monego Marina

Cuba, un unicum – Trinidad parte 5

Pubblicato il: 25 Maggio 2016

Ed è ancora Caretera. Ovunque, in ogni località, compaiono cartelloni con Fidel e Raoul, o con il Che o con Camilo Cienfuegos o Chavez o con slogan sulla patria, sull’unità, sulla necessità di lavoro e sacrificio per il bene del paese. “Por Cuba libertà y compromiso”, “Del sfuerzo, la victoria”.

Propaganda capillare curatissima e che s’intensifica in prossimità di luoghi particolarmente sacri alla Rivoluzione come la Baia dei Porci, Santa Clara e Santiago.

fidel cartellone

Guardandomi attorno, la sensazione generale è quella di uno stato onnipresente, invadente e ingombrante, che possiede tutto ed entra pesantemente nella vita dei cittadini. Lo stato è una sorta di chioccia mostruosa, che controlla i suoi pulcini con occhiuta sorveglianza. È uno stato che si autocelebra ed ha edificato, con gli anni, un enorme monumento a se stesso, isolandosi e quasi fermando il tempo, cosicché Cuba risulta veramente un unicum.

Sembra che tutta la storia del paese si concentri attorno a un grande tema: l’indipendenza (prima quella dagli Spagnoli, e mi sembra anche giusto per una ex-colonia), che ha raggiunto il suo apice con la rivoluzione di Castro a fine anni Cinquanta. Non è un caso se al Museo de la Rivolution a L’Avana è scritto: “… donde està toda la historia”.

La rivoluzione e i suoi protagonisti, in prima fila il Che, il classico eroe mitico, grande idealista, morto giovane, costituiscono il leit-motiv della storia cubana, l’ossatura attorno alla quale si è costruita l’unità nazionale e il conseguente orgoglio di appartenere a un paese che si è liberato dagli americani e ha costruito il socialismo reale. Quel che mi è sembrato non mancare a Cuba è proprio lo spirito di appartenenza al proprio paese (e questo è comune a tutti gli isolani, veneziani compresi ad esempio), pur con tutti i suoi difetti.

Può essere una conseguenza del regime, però, in piazza a Cienfuegos, durante una festa popolare, ho visto tutti i cubani, compresa la nostra guida, mettersi in silenzio e sull’attenti al suono della Bayamesa, l’inno nazionale. Me l’ero ascoltato prima di partire e devo dire di averlo trovato simpatico.

Penso a noi, a quanto disprezzo sento a volte, da parte di italiani, verso il nostro bel paese, credo che un po’ di sano nazionalismo e di scoperta delle nostre fortune e della nostra bellezza ci farebbe bene. Non sono in grado di valutare quanto la rivoluzione castrista abbia contribuito a creare il senso di orgoglio nazionale, in che misura abbia realmente interpretato, quando è nata (ed erano in pochi e disperati, se non avessero avuto un appoggio popolare non ce l’avrebbero fatta mai) i desideri e gli ideali del popolo. Credo che sicuramente poi abbia degenerato, come spesso succede.

Tra una tappa e l’altra proviamo anche a curiosare nella Tv cubana, i media possono dirci qualcosa della vita qui: tantissimo sport che, si sa, è praticato e insegnato ampiamente per esplicita volontà di Castro fin dall’inizio, cartoni animati di Walt Disney, quelli originari di Pippo e Paperino, documentari in abbondanza sulla Revolution, news locali dal Sudamerica, ampio spazio al Partito. Capitiamo giusto nei giorni in cui si conclude il VII congresso e Raoul tiene un discorso – trasmesso in diretta – che non finisce più. Mi chiedo come faccia a non stancarsi, visto che è un ultraottantenne. Forse è proprio vero che il potere logora chi non ce l’ha. Nel gran finale compare anche Fidel, che dice che è l’ultima volta che si mostra in pubblico. E poi via tutti a cantare l’Internazionale tenendosi per mano.

Proviamo a capire la vita a Cuba

Cercando di parlare con qualche cubano abbiamo avuto voci di dissenso, opinioni anti-castriste, malcontento per le tasse, per lo scarso spazio all’iniziativa privata, per l’impossibilità di uscire dall’isola se non per lavoro o per andare a visitare parenti. Molti altri hanno evitato commenti; numerosi, cresciuti sotto Fidel, saranno convinti della bontà del regime e dei suoi rappresentanti.

A L’Avana abbiamo preso un taxi privato , non statale, e con una certa sorpresa abbiamo incontrato un autista che parlava benissimo la nostra lingua. Ci ha spiegato di avere una sorella sposata a Livorno con un italiano e che ogni anno lui parte per l’Italia per venire a fare il pizzaiolo e così manda avanti la famiglia, guadagnando all’estero.

Juan ci ha mostrato la sua tessera annonaria con la quale tutti i cubani fanno la spesa: cibo razionato, eppure nei villaggi turistici e negli hotel c’é sovrabbondanza, c’é ogni ben di Dio. Verrebbe voglia di invitare a cena i cubani del paese.

Juan, che ha due figli, ci racconta che, con l’aiuto delle razioni di sua mamma, loro se la cavano e credo che il suo stipendio, arrotondato dalle mance in CUC, non sia male.

Siamo riusciti anche a visitare un mercato agro-pecuario: la merce c’é, non è tantissima, ma il necessario esiste, anche se non con quella varietà e sovrabbondanza cui siamo abituati. I macellai espongono la carne in banconi ovviamente non frigoriferi, ci sono legumi e cereali, frutta e verdura locali, farine sfuse. Come si dice: “Di quello che c’é, non manca niente”.mercato

Anche nei supermercati quasi tutto è fatto in loco o nei pochi paesi con cui Cuba può commerciare, un tempo si diceva autarchico: Coca Cola (leggerissima), aranciata, abiti, esiste pure una catena di fast food chiamata El Rapido.

Il problema è che qui la vita scorre su un doppio binario fatto da una doppia moneta. Ci sono i pesos nazionali cubani, moneta ufficiale, che usano i residenti, e i CUC o pesos convertibili, che noi turisti siamo obbligati ad usare. Un CUC vale circa 1 Euro.

Credo che questo sistema serva a controllare meglio i fluissi di denaro, di fatto certi prodotti hanno un tale costo in pesos cubani che gli abitanti non possono permetterseli. Dare mance in CUC è arrotondare i magri stipendi di chi vive qui e spesso chiede ai turisti capi di vestiario, sapone e penne biro. Il doppio binario vale anche per i luoghi che si frequentano: ci sono i locali per i turisti e quelli per i cubani, le farmacie per i turisti, più fornite, e quelle – povere – per i cubani, i supermercati per i turisti e quelli – essenziali – per i cubani. Nel villaggio turistico di Guardalavaca i cubani non possono venire in vacanza, possono solo lavorarci. È chiara una volontà di separazione tra residenti e stranieri: si apre al turismo e lo si incanala in flussi prestabiliti (dal governo immagino), i cubani stiano altrove.

Una cosa però mi è chiara: i turisti sono molti e aumenteranno, visto che adesso iniziano ad arrivare le navi da crociera americane, e denaro ne entra parecchio. Cuba non è povera, ha pure miniere di nichel, perché il popolo non vive un po’meglio?

Trinidad

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Ed eccoci in un’altra bella cittadina, Trinidad, in provincia di Sancti Spiritus, che si affaccia sul Mar dei Caraibi. Patrimonio dell’Unesco insieme a tutta l’area circostante, interessata alla coltivazione della canna da zucchero. Trinidad è una cittadina deliziosa nel suo centro storico, perfettamente restaurato, con le strade acciottolate e le case coloniali colorate con i tetti a tegole rosse.

Fu fondata nel 1514 da Diego Velásquez de Cúellar. A Trinidad vedo belle tovaglie ricamate o lavorate a uncinetto. Trovare l’arte dell’uncinetto anche qui mi fa molto piacere, visto che la coltivo anch’io.

In un locale assaggiamo la Canchànchara, una bevanda a base di acqua, miele, limone e rum, molto buona. Noto che Cuba è un’isola molto musicale, in ogni città c’é la Casa de la Trova (musica) e ogni occasione è buona per suonare e ballare. Come scrive Lupi, un’isola a passo di son. Naturalmente i musicisti poi chiedono la mancia.

Dopo la giornatona a Santa Clara e Trinidad approdiamo al villaggio turistico Brisas Trinidad del Mar, con spiaggia sul Mar dei Caraibi. Un paradiso. Decidiamo di evitare la gita prevista per il giorno successivo al parco Topez de Collantes per riposarci in riva al mare. La febbre mi è passata, ma siamo stanchi dopo la nottataccia. Qui avremo modo di sfamare i numerosi gatti del villaggio trafugando qualche avanzo dal buffet. Se a Cuba i cani, quasi tutti bastardini, mi paiono ben nutriti e rispettati, i gatti sono denutriti e affamati. La loro dignità non è riconosciuta e, durante il periodo especial, Juan ci ha raccontato che sono pure finiti in pentola, come capitava ovunque in tempo di guerra. Penso ai miei due micioni, ben pasciuti, che fanno la bella vita e dormono su letti e divano. I loro compagneros d’oltre oceano se la passano molto peggio.

Il Mar dei Caraibi è un sogno azzurro dalle tante sfumature, solo guardarlo rasserena.

Ci si aspetta di veder passare, da un momento all’altro, il veliero del Corsaro Nero.

 Monego Marina, maggio 2015