Franchi Gianfranco

Monteverde – Intervista a Gianfranco Franchi

Pubblicato il: 20 Maggio 2009

Dopo la lettura di Monteverde mi sono sorte alcune domande, che ho puntualmente rivolto all’Autore e che adesso condivido con voi.

MM: Riguardo la struttura di Monteverde, io ho definito gli Interludi una sorta di “basso continuo”, non una vera cornice, ma certamente un buon accompagnamento per i racconti. Con questa struttura volevi in qualche modo riaccostarti alla tradizione letteraria italiana della novella?

GF: Decisamente. Ideando l’opera – la struttura dell’opera – avevo in mente di restituire centralità alla tradizione italiana (non nordamericana: niente short stories) della novella. Mi piaceva pensare che una raccolta di racconti strutturata nel rispetto di precisi equilibri e corrispondenze potesse offrire reminiscenze calviniane o boccaccesche: volevo fosse un ideale passaggio di testimone.

Questo non significa che mi sentissi all’altezza della tradizione o almeno degno della tradizione: significa soltanto che volevo rivendicare e ribadire la tradizione, mantenerla in vita, dimostrare che niente è andato perduto. Almeno: a livello strutturale. Dobbiamo essere orgogliosi della storia della nostra Letteratura Italiana. Non siamo secondi a nessuno.
MM: Guido rimpiange certi aspetti del passato o forse il suo è solo uno sguardo di rimpianto alla giovinezza trascorsa, che lascia spazio all’età adulta. E per il futuro che cosa si propone Guido? Che cosa progetta e sogna?
GF: Guido rimpiange il passato? Dipende. Preferisco pensare che Guido stia ricordando il passato; e che non abbia importanza che la giovinezza sia finita. Rimpiange cose diverse; l’era dei vinili e dei Cd, nella musica; nel calcio, l’era delle partite alla domenica alle 15; nei sentimenti, l’età dell’incoscienza. Rimpiange, fondamentalmente, cose materiali, rimpiange appuntamenti e riti spariti nel nulla, rimpiange abitudini che ha dovuto perdere e non aveva intenzione di perdere. Questo sì.
Per il futuro, sogna la rivoluzione culturale e sogna nuova tutela contrattuale, come la maggioranza assoluta degli umanisti e dei letterati.  Vogliamo che il nostro ruolo sia riconosciuto e rispettato e tutelato. Non vogliamo essere abbandonati a noi stessi, alla nostra capacità di inventarci l’esistenza. All’arte della sopravvivenza. Guido non domanda l’impossibile, domanda giustizia e rispetto delle leggi. E coscienza delle tradizioni: letterarie, in primis. Politiche, infine.
MM: Recentemente mi  sono confrontata con una scrittura di viaggio, la tua invece è una scrittura stanziale, sembra poter nascere solo a casa propria. Guido non ama gli spostamenti, oppure viaggia solo attraverso musica e poesia? Il rapporto scrittura-casa…
GF: Guido, come me, soffre molto gli spostamenti e i viaggi. Io non sono un nomade – detesto i nomadi, per me sono parassiti – e non credo nella cultura del viaggio. Non credo proprio che viaggiare significhi crescere o migliorarsi. Significa, nella nostra società, distrarsi, divertirsi, fare esperienza. Non c’è niente di iniziatico: quasi mai, o quasi per niente. Viaggiare significa, spesso, scappare. Io non scappo, io la vita la fronteggio. Combatto e sogno e amo. Non ho paura di soffrire o di star male. Il male lo odio, lo voglio distruggere. Quando le cose vanno male, preferisco tenere la posizione. Probabilmente soffro i viaggi anche per colpa dei nuovi mezzi di spostamento. Un viaggio vissuto con lentezza, assaporando i passaggi e le trasformazioni poco a poco, con dolcezza, aveva altro senso, altri significati. Ne derivava altra consapevolezza. Adesso è questione di qualche ora, nemmeno te ne accorgi e ti ritrovi catapultato in un’altra città. Non mi diverte, questa cosa. Non è umana. Non è mia. A me piace stare in mezzo alla mia gente. In generale, credo che i tempi degli esseri umani siano ben diversi da quelli degli attuali mezzi di trasporto. Il treno e l’aereo sono troppo veloci per i miei gusti. Sono robotici. Non ho simpatia nemmeno per le macchine. Succede. A questo aggiungi che ho molto rispetto per gli altri popoli: soprattutto per quei popoli che si ritrovano a dovere essere ospiti senza aver domandato visite dei forestieri.
Da romano, costretto alla coesistenza coi turisti – e a vivere in una città-parco dei divertimenti, con tanto di prezzi turistici – non sono particolarmente entusiasta del fenomeno del turismo di massa, del viaggio come diversivo o intervallo. Non credo che si possa capire una città vivendola per sette giorni. Non credo che abbia proprio senso.
Non mi emoziona l’idea di dormire tre giorni a Parigi e di camminare per i boulevard. Se mai andrò a Parigi sarà perché qualcuno mi vorrà avere al suo fianco, e nella sua casa, per un buon lasso di tempo. Non mi sentirò ospite e non mi sentirò sgradito. Altrimenti, Parigi la inventerò e la vivrò leggendo letteratura. Preferisco così. Stesso discorso vale per Londra o per Berlino. Andrò come cittadino romano, monteverdino, e non come turista. Il turismo lo faccio nella mia terra,
nelle nostre regioni italiane, preferibilmente nei paraggi di Roma o di Trieste, le mie città, o in quelle dei miei fratelli letterati. I soldi così rimangono a casa. E’ il caso di dare una mano ai nostri compatrioti. A tutti i livelli.
MM: Guido non nasconde di provare rabbia e frustrazione, specie per il lavoro. Questi sentimenti incidono nel sorgere e nello svilupparsi della scrittura? Ne sono a volte un motore?
GF: Come tutti gli altri sentimenti. Non so se esista una gerarchia. So che quando sono felice ho difficoltà a scrivere narrativa. Adesso non ne scrivo da due anni, “New Order” (l’attuale “Monteverde”) è stato scritto nel 2007. Mi sono dedicato ad altre cose. A leggere, a vivere, a mangiare meglio e a stare con la mia compagna e i miei amici, ad ascoltare buona musica e guardare qualche buon film; a scrivere un saggio e qualche centinaio di articoli. La rabbia, la malinconia, la frustrazione mi accompagnano più spesso nella creazione di narrativa, questo è vero. assieme a una strana forma di ironia. E’ come se mi divertissi a prendere per il culo tutti – me stesso per primo – per non ammettere certe cose, oppure per dirle con maggiore chiarezza. Un giorno mi piacerebbe scrivere soltanto cose divertenti, solo grottesche o satiriche. Mi piacerebbe far ridere la gente e basta, dare loro un po’ di allegria, di voglia di vivere, di tornare a essere umani. Chissà. Ci provo.
MM: Alla fine del libro ci sono i Diritti dei  Letterati. Vi sono anche dei
doveri? Quali?
GF: L’onestà, la consapevolezza, lo studio, la coscienza della propria tradizione letteraria; la battaglia contro la grande editoria, al fianco della piccola e media editoria di qualità e di progetto; la battaglia per una riforma della distribuzione e della promozione libraria; per una stampa – e una critica – estranea all’industria del libro. E via dicendo.
Più di tutto: la coscienza dell’italianità. L’Italia è solo questo: una magnifica lingua letteraria. Sono italiano soltanto in questo senso. Ma totalmente e mostruosamente italiano. Tengo a ribadirlo.
MM: Ecco, qui, un saluto e in bocca al lupo per le prossime presentazioni.
Marina
GF: grazie a te. Crepi il lupo. Lunga vita alle patrie lettere.
Intervista apparsa su lankelot.eu nel maggio 2009

Edizione esaminata e brevi note

Gianfranco Franchi (Trieste, 1978), detto Lankelot, ha pubblicato: Disorder (Il Foglio Letterario, 2006), Pagano (Il Foglio Letterario, 2007), L’inadempienza (Il Foglio Letterario, 2008), Monteverde (Castelvecchi, 2009), Radiohead. A Kid (Arcana, 2009), L’arte del piano B (Piano B, 2011).

Franchi Gianfranco, Monteverde, Roma, Castelvecchi 2009