Bassani Giorgio

Gli occhiali d’oro

Pubblicato il: 26 Febbraio 2010

Secondo romanzo del ciclo dedicato a Ferrara, “Gli occhiali d’oro”, edito nel 1958, narra la storia di due emarginazioni parallele che poco a poco s’incrociano, in un preciso contesto storico, per avere poi un diverso epilogo.

L’argomento dell’omosessualità – non usuale e ancora circondato da molti pregiudizi in quegli anni – viene affrontato con eleganza e levità, partecipazione umana, ma non complicità.

Ferrara, città di provincia, chiusa e perbenista ormai è stata delineata nelle “Storie”, è tutta presente e costituisce il palcoscenico di un approfondimento dell’analisi bassaniana.

Athos Fadigati, medico otorino d’origini veneziane, si è stabilito fin dal 1919 a Ferrara e ha aperto un lussuoso ambulatorio che presto diviene frequentatissimo da tutta la buona borghesia della città. È diventato anche direttore del reparto otorinolaringoiatrico dell’Ospedale sant’Anna.

Il dottore suscita simpatia, ha modi discreti e cortesi, è caritatevole verso i malati poveri. Colto, elegante, appassionato di Wagner, porta dei caratteristici occhiali d’oro,quasi un simbolo della sua diversità.

A Venezia ha lasciato una grande casa, divenuta troppo triste dopo la morte dei genitori e di una sorella e ora conduce una vita abbastanza regolare tra ospedale e ambulatorio, tranne la sera, quando lo si può incontrare al cinema, in platea tra la “teppa popolare” o per le strade della città.

Poco a poco i ferraresi iniziano a chiedersi come mai quell’uomo, superati i quaranta, non si sia ancora trovato una bella moglie.

Le voci corrono, si parla di “vizio”, si allude alla sua omosessualità senza nominarla, poiché viene considerato un argomento indecoroso e si decide di far finta di nulla, visto che il dottore è molto discreto e riservato, non ostenta niente, non dà scandalo, solo il suo viso manifesta a volte “un’ansia segreta e continua”.

Così di giorno lo si saluta con tanto di cappello e la sera si mostra di non conoscerlo.

Lo scenario si sposta poi sul treno Ferrara-Bologna, carico di studenti universitari tra cui il narratore: Fadigati inizia, due volte a settimana, a viaggiare su questa linea per ottenere la libera docenza a Bologna. Dapprima se ne sta isolato nel vagone di seconda classe, poi passa in quelli di terza in compagnia dei giovani. È una presenza discreta, sembra “accontentarsi di niente”, inizia a parlare con i ragazzi, si comporta come se in città nessuno sapesse, ma ben presto diviene oggetto di scherno, di dileggio, è un emarginato, un escluso.

Tra i giovani più arroganti lo sportivo Deliliers, un bel ragazzo, ma sfrontato e prepotente. Fadigati si lascia maltrattare, cerca di riuscire simpatico, teme il ridicolo.

Giunge l’estate, tempo di vacanze a Riccione, sulla riviera romagnola, nella quale sembra ricrearsi l’atmosfera di Ferrara: stessa gente, stessi pettegolezzi, stesso perbenismo. Esplode lo scandalo: Fadigati e Deliliers ostentano la loro relazione, tutti ne parlano e scatta il meccanismo della condanna e dell’emarginazione ai danni del dottore, cui l’ipocrisia borghese non perdona l’essersi mostrato in pubblico. Fadigati soffre visibilmente, mentre i perbenisti – incarnati dalla petulante signora Lavezzoli – non gli risparmiano frecciatine allusive. Sullo sfondo l’Adriatico colto nei suoi colori mutevoli e nella sua luce.

La famiglia del narratore – ebrea – è più cordiale verso Fadigati, presto abbandonato dal giovane amante profittatore.

Declina l’estate, con l’autunno si rientra in città e l’atmosfera diviene cupa di sciagura incombente, inizia la campagna denigratoria contro gli ebrei, che porterà alle leggi razziali.

Il narratore scopre poco a poco una dimensione di affinità tra la sua emarginazione, legata alla razza, e quella di Fadigati, dovuta alla sessualità. Lo scenario storico è ben presente.

Con le nebbie e le piogge dell’inverno Fadigati non reggerà alla solitudine e all’ostilità e preferirà scomparire tra le acque del Po. Dall’ipocrita stampa locale neppure il suicidio verrà riconosciuto come tale: argomento troppo scabroso come la sua diversità.

Romanzo breve e intenso, “Gli occhiali d’oro” porta una novità fondamentale nella narrativa di Bassani: la presenza dell’io narrante. Gli eventi non vengono più visti da fuori come nelle “Storie”, ma dall’interno, sulla scia della memoria del giovane studente ferrarese di Lettere, che ha conosciuto Fadigati, ha assistito alla sua vicenda e si è riconosciuto, in quanto ebreo, nella stessa solitudine ed emarginazione. Al suo ritorno a Ferrara dopo le vacanze il giovane si sente osservato, un intruso. “Tutto mi disturbava, tutto mi feriva”. (p.128)

Il suo migliore amico Nino Bottecchiari, che si proclama ottimista, dice che è impossibile distinguere in città tra ebrei e ariani, visto che molti ebrei hanno aderito subito al fascismo e costituiscono il nerbo della borghesia cittadina. Proprio Nino accetterà di far carriera nel partito e il narratore sente nascere “l’antico, atavico odio dell’ebreo nei confronti di tutto ciò che fosse cristiano, cattolico: goi, insomma”. (p.134)

Ha oscuri presentimenti: “In un futuro più o meno lontano, loro, i goìm, ci avrebbero costretti a vivere di nuovo là, nel quartiere medioevale da cui, in fin dei conti, non eravamo usciti che da settanta, ottanta anni. Ammassati l’uno sull’altro dietro i cancelli come tante bestie impaurite, non ne saremmo evasi mai più”. (p.134-35)

Ben lontano è quindi il narratore dalla mite e ingenua posizione paterna: suo padre, uomo onesto, era stato fascista della prima ora, adesso teme uno scoppio d’antisemitismo, ma ricorda sempre i meriti patriottici e fascisti degli ebrei, come tanti altri non riesce a immaginare la catastrofe.

Bassani, come nelle “Storie” va scandagliando il personaggio ebreo e lo fa soprattutto quando le due storie – di Fadigati e del narratore – s’intersecano: allora si chiede come sia iniziato l’isolamento degli ebrei e, nello stesso tempo, indaga la progressiva emarginazione di Fadigati, il suo essere vittima, ma anche una sua forma di masochismo, di servilismo per cui sembra godere dei maltrattamenti. E se l’incapacità di ribellione fosse, nel profondo, alla base del sopruso subito?

L’ultimo dialogo tra Fadigati e il narratore mostra la differenza tra i due.

L’incontro è avvenuto nei sobborghi, di fronte a un postribolo. Una cagna li ha seguiti: “«La guardi», diceva intanto Fadigati, indicandomela. «Forse bisognerebbe essere così, sapere accettare la propria natura. Ma d’altra parte, come si fa? È possibile pagare un prezzo simile? Nell’uomo c’è molto della bestia: eppure può, l’uomo, arrendersi? Ammettere di essere una bestia, e soltanto una bestia?»

Scoppiai in una gran risata. «Oh, no», dissi «Sarebbe come dire: può un italiano, un cittadino italiano, ammettere di essere un ebreo, e soltanto un ebreo?» Mi guardò umiliato. «Comprendo cosa vuol dire», disse poi. «In questi giorni, mi creda, ho pensato tante volte a lei e ai suoi. Però, mi permetta di dirglielo, se fossi in lei…»

«Che cosa dovrei fare», lo interruppi, impetuosamente. « Accettare di essere quello che sono? O meglio: adattarmi ad essere quello che gli altri vogliono che io sia?» «Non so perché non dovrebbe», ribatté dolcemente. « Caro amico, se essere quello che è la rende tanto più umano (non sarebbe qui in mia compagnia, altrimenti!), perché rifiuta, perché si ribella?” (pp.147-48)

Fadigati non si sopporta e non si accetta più; ben diverso il giovane: “in quel momento, ero certo che non sarei mai riuscito a rispondere all’odio altro che con l’odio”. (p.148)

Il narratore non accetta quella sottomissione che altri volevano da lui, ma risposte definitive alle sue domande non ci sono, il dubbio rimane: sono i ferraresi a ricacciare gli ebrei nel ghetto, facendo rinascere l’antico odio, o quest’ultimo si era solo assopito e le circostanze storiche lo fanno rinascere?

Il senso di solitudine, che mi aveva sempre accompagnato in quei due ultimi mesi, diventava, se mai, proprio adesso, ancora più atroce: totale e definitivo. Ma con questo? Che cosa volevo? Che cosa pretendevo, io?” (p.166)

È la stessa domanda che ricorre nelle “Storie”, alcuni personaggi delle quali sono esplicitamente nominati come il dottor Corcos e soprattutto i Finzi-Contini, vero emblema di una parte separata della società ebraica, rinchiusi nella loro casa nobiliare. A questi aristocratici eleganti Bassani dedica un piccolo cammeo che costituisce il viatico per il suo successivo romanzo e capolavoro, “Il giardino dei Finzi-Contini”.

Articolo apparso su lankelot.eu nel febbraio 2010

Edizione esaminata e brevi note

Giorgio Bassani (Bologna 1916- Roma 2000) letterato, poeta, romanziere e sceneggiatore italiano.

Giorgio Bassani, Gli occhiali d’oro, Milano, Oscar Mondadori 1980. Introduzione di Luigi Baldacci.

Dal romanzo è stato tratto il film di Giuliano Montaldo (1987)

Links: http://fondazionegiorgiobassani.it/biografia.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Bassani

http://www.italialibri.net/autori/bassanig.html

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/bassani.htm