Fabbri Diego

Processo a Gesù

Pubblicato il: 6 Gennaio 2009

“Processo a Gesù” è un dramma teatrale estremamente essenziale e profondo. L’idea venne a Fabbri nel 1947, quando lesse in una nota a piè di pagina di una Vita di Cristo che alcuni giuristi anglosassoni si erano posti, fin dal ’29, il problema del processo a Gesù e si erano in seguito recati a Gerusalemme per ricelebrarlo pubblicamente. La sentenza era poi stata d’assoluzione.

Ecco allora che un gruppo di attori ebrei – l’anziano Elia, sua moglie Rebecca, Sara, Davide e, prima della sua morte in un agguato nazista, il marito di Sara, Davide – da anni mettono in scena nei teatri d’Europa il processo a Gesù.

Elia incarna sempre la figura del presidente, mentre gli altri personaggi assumono le difese di Caifa, di Pilato, di Gesù. Uno di loro s’ incarica dell’accusa.

Al rifiuto di Sara di difendere Pilato, interviene un giudice improvvisato tra gli spettatori. Fin dall’inizio ci si trova di fronte a un esempio di teatro nel teatro: scena aperta, coralità, coinvolgimento sempre più intenso del pubblico.

La domanda che da anni gli attori si pongono è: Gesù di Nazaret era colpevole o innocente secondo la legge giudaica? Quella crocifissione fu soltanto una dolorosa crudeltà umana o una colpa più grave, smisurata, che perseguita gli ebrei in qualche modo?

Si tratta di un processo giuridico svolto da ebrei moderni su quanto operato da ebrei antichi, inizialmente tutto si svolge secondo la consueta, collaudata routine, vengono interrogati Caifa e Pilato, ma a questo punto Sara interviene con forza per cambiare formula a una rappresentazione altrimenti ripetitiva, vuole coinvolgere nuovi personaggi vicini a Gesù: sua madre, Giuseppe, alcuni apostoli come Pietro, Giovanni, Tommaso e Giuda.

L’attrice che interpretava la moglie di Pilato viene così a impersonare Maria e delinea un quadro dell’infanzia e della giovinezza di Gesù: si tratta di rielaborazioni fedeli al testo evangelico nelle loro linee essenziali, che cercano d’immaginare Gesù fanciullo, i suoi giochi con i compagni, ma evidenziano anche la componente di mistero che fin dalla sua nascita lo accompagna e si rivelerà fortemente con i miracoli.

Da giuridico il dibattito si fa sempre più spirituale e di coscienza, soprattutto con la partecipazione degli Apostoli.

Giuda difende le sue ragioni: lui aveva creduto che Gesù fosse un liberatore politico, deciso a guidare la rivolta del popolo d’Israele contro i Romani. Per questo aveva offerto al gruppo dei discepoli tutti i suoi beni, cosicché fossero liberi di dedicarsi alla predicazione. Quando rimase deluso dal comportamento del Maestro, lo vide come un pericolo per il suo stesso popolo e lo tradì.

Perché se Gesù era colui che avrebbe liberato il nostro popolo dalla servitù, diventava all’improvviso, ai miei occhi, il più tenace oppositore di questa riscossa. Mi appariva come un rinunciatario. E pericoloso, per l’ascendente enorme che aveva sul popolo. Quando me ne convinsi lo diedi alle autorità per il bene del mio paese. Del resto molto prima che io lo tradissi, lui aveva tradito noi; anzi: aveva tradito me”. (p.40)

Giuda appare come un uomo solo che nessuno dei compagni ha cercato di fermare.

Tra le varie testimonianze spicca l’apparizione breve e intensa di Maria Maddalena, che osserva:

Non capite che il vero miracolo era quello dell’amore! Non capite nemmeno voi – come non capirono loro – che quel che contava per Gesù era l’amore, e i miracoli che erano? Soltanto gesti e parole e atti d’amore!” […] L’amore… Come vi posso dire che cos’è l’amore. Te lo devi trovare, scoprire da te, con la sofferenza tua. Non te lo posso insegnare. Nessuno può pagare per noi il prezzo del nostro amore. Ognuno deve pagare per sé”. (p.52)

Durante l’intermezzo si scopre la passata relazione adulterina di Davide e Sara, mentre le faccende private, personali dei partecipanti entrano sempre più nella vicenda. L’argomento del processo non è tale da lasciare indifferenti e infatti alla seconda parte parteciperanno personaggi improvvisati: un cieco, una prostituta, un sacerdote, un intellettuale che ha studiato in seminario, un provinciale che si è comportato come il figliol prodigo.

La tensione cresce e il processo si rivolge ora alla cristianità: perché in tanti anni i cristiani non sono riusciti a cambiare il mondo?

Di fatto quel che succederebbe con l’amore assoluto non lo sa nessuno, perché non è stato ancora realizzato, lo si è creduto un’utopia e si è preferito rimanere nella cosiddetta realtà.

Il dibattito si arricchisce delle testimonianze e risposte personali dei partecipanti, senza scendere nel banalmente didattico.

All’osservazione dell’intellettuale secondo cui il messaggio di Cristo è stato crocifisso ed è morto con Lui, si crea una sorta di appassionata insurrezione del pubblico in difesa del Cristo e della speranza che porta con sé.

Chiede Elia con passione:

Perché – vi domando, o egregi ascoltatori – perché con la certezza che custodite in fondo al cuore, perché con lo slancio, direi quasi con la violenza, che avete manifestato adesso contro di noi, che volevamo, sia pure simbolicamente, condannarlo ancora, perché non siete stati capaci di cambiare il mondo? Perché non lo cambiate? Che cosa vi manda? Perché nascondete, invece di manifestarlo, quel che avete di prezioso dentro di voi? Ditemelo!” (p.89)

La domanda-cardine, alla fine, è sempre la stessa da duemila anni: chi era, chi è per voi Gesù di Nazaret?

E con una sentenza d’assoluzione e un gesto di perdono universale il processo si chiude.

Dramma appassionato e intenso, “Processo a Gesù” vuole affidare al teatro il compito di aprire una, seppur problematica, speranza, di offrire una verità autentica dopo un percorso accidentato. Ebrei e cristiani vengono accomunati da una ricerca e da una generale aspirazione alla pace interiore, al perdono, alla risoluzione delle proprie tensioni, a quella speranza che solo Cristo può dare.

La figura di Gesù è come sempre fonte d’interrogativi infiniti, anche in una visione di fede com’è quella di Fabbri.

“Processo a Gesù” per certi versi può venir accostato al dramma finale contenuto nell’ultima parte de “Il Quinto Evangelio” di Pomilio, un testo ben più ponderoso e articolato. Se l’interrogarsi in maniera critica intorno a Cristo e al cristianesimo sono comuni ai due autori cattolici, Pomilio dà centralità maggiore alla figura di Giuda e tende a concentrarsi di più sulla Passione, inoltre è decisamente più complesso e problematico, indaga su movimenti ereticali, chiaramente si colloca in fase post-conciliare a differenza di Fabbri che scrive pre- Vaticano II.

“Processo a Gesù” fu rappresentato per la prima volta nel 1955 al Piccolo teatro di Milano per la regia di Orazio Costa.

Una curiosità: nel 1956 il testo fu denunciato al Sant’Uffizio dall’Alleanza Cattolica Tradizionalista per “offesa alla religione e istigazione all’odio sociale”.

articolo apparso su lankelot.eu nel gennaio 2009

Edizione esaminata e brevi note

Diego Fabbri (Forlì 1911-Riccione 1980) drammaturgo, giornalista e sceneggiatore italiano.

Diego Fabbri, Processo a Gesù, Milano, Mondadori 1977. Introduzione di Raoul Radice.

Links:

http://www.centrodiegofabbri.it/contenuti/dettaglio.asp?pid=18

http://www.centrodiegofabbri.it/contenuti/dettaglio.asp?pid=18

http://it.wikipedia.org/wiki/Diego_Fabbri