Troisio Luciano

Tirtagangga e varie sorgenti

Pubblicato il: 2 Gennaio 2008

Cinque racconti ambientati in Estremo Oriente, cinque porte che si aprono su culture lontane, affascinanti e ricche di contrasti.

Nella maggior parte dei casi è un’azione decisa – aprire un cancello, una porta, abbassare la serranda – a suggellare l’ingresso nella vicenda e a schiudere poi non solo un intreccio, ma reportage asiatici, descrizioni di luoghi incantevoli, fitti di vegetazione rigogliosa, profumi, sorgenti.

La prima tappa fu Tirtagangga, l’antica piscina sacra. Il luogo doveva essere un tempo di una bellezza sconfinata in quel paesaggio leggermente in pendio, davanti alla montagna folta di enormi alberi, da cui scende l’antico acquedotto. Uno di quei posti rari, da non reclamizzare, dove giungendo si potrebbe decidere di rimanere per sempre, anche da eremiti. Tutto il resto perde rilevanza”. (p.88)

È un viaggiare colto, contemporaneo, attento, intelligente, aperto alle nuove esperienze e soprattutto privo di pregiudizi e arroganza.

Dietro i vari personaggi occhieggia infatti, quasi strizzando l’occhio al lettore, il narrante, una figura accattivante, vestita d’ironia, necessaria da un lato per alleggerire la tensione, dall’altro per mascherare il disincanto.

A questo punto della vicenda il narrante, sempre fuori campo rende noto l’intrecciarsi di una vicenda parallela, secondo il principio alchemico che, scelto un sito per l’installazione del paradiso, agli antipodi dev’essere relegato l’inferno”. (p.118)

Alle spalle dei protagonisti, in genere personaggi colti, tutta una schiera di “illustri scrittori e calligrafi etilisti”, “sublimi conterranei perdigiorno, che avevano perso tutti i concorsi, tutti gli autobus”. (p.89)

Seppur circondato dal fascino dei luoghi esotici, chi viaggia non dimentica, né nasconde la propria identità culturale, le proprie radici venete, che riaffiorano in vivaci paragoni tra le nuove realtà visitate e quelle arcinote, consuete della terra natia. Spuntano addirittura, a sorpresa, in piena Shanghai, le sardele in saor, nota di sapore concretissima, un richiamo forte al gusto, al cibo quale elemento assolutamente non trascurabile della cultura di un paese. E ne fanno fede le osservazioni sui piatti orientali, l’indugiare talvolta sul menu, su ciò che è stato assaggiato e sulle sue qualità, sul modo di servirlo. La cucina è rivelatrice della civiltà, tanto veneta quanto asiatica, può esser fonte di piacere, appagamento sensoriale, condivisione.

Quell’identità culturale dunque che ritroveremo ben chiara nelle opere successive di Troisio come “Parnaso d’Oriente” (già il titolo della raccolta poetica è rivelatore) e il romanzo “La ladra di pannocchie”, si delinea già in queste narrazioni, è elemento fondante del viaggiare stesso, un dato di fatto che deve restare sempre presente per non perdersi definitivamente nella vastità e varietà dei paesaggi attraversati.

Piacevolmente sorpresi lascia però “L’impero della tartaruga” dove il viaggio segue direzione inversa e a muoversi verso l’Italia è un colto cinese, alle cui spalle si delinea l’invadenza del regime comunista, la violenza delle Guardie Rosse, il clima di estremo sospetto per cui “un bimbo di sette anni poteva denunciare il padre e farlo mandare ai lavori forzati a 3000 chilometri di distanza” (p.33)

Ovunque si vada, è la commedia umana a delinearsi, eterno fluire senza precisa utilità – “di tanto mondo poco mi spiego” dirà il Troisio poeta nel “Parnaso”- e l’Asia sembra essere l’emblema perfetto di tutto questo.

Certezze assolute non ve ne sono, ma si offrono invece possibilità, come succede al protagonista dell’ultimo e più lungo racconto, quello eponimo. Dopo aver fatto i conti con se stesso e col proprio ineludibile male di vivere, trova nell’amore un rinnovato equilibrio e una forza inaspettata.

Le antiche sorgenti di Tirtagangga, frammenti di Eden, paiono avere un effetto rigenerante sebbene in parte rovinate da ristrutturazioni moderne e insidiate dal turismo rozzo e frettoloso, urlante e refrattario alla religiosità, al quale appartengono, tra gli altri, non pochi italiani.

Il nostro paese manifesta spesso all’estero un’immagine pagliaccesca, che non gli fa onore.

Viaggio dunque in senso geografico e in senso spirituale, alla ricerca di sé, a volte per esorcizzare o vincere le zone d’ombra che comunque si fanno sentire, pur nell’incanto dei luoghi. E se “il viaggio è il più tristo dei piaceri”, è pur sempre un agire, uno scoprire, un mantenersi ben desti alla vita.

Lo stile è vivo, accattivante, coltissimo, sa farsi lirico, è sempre raffinato, rifinito con cura e rivela l’alta sapienza e la padronanza della lingua propria di chi è abituato ad insegnarla.

Tirtagangga e varie sorgenti” è un libro interessante sia per chi si appresta a viaggiare in Oriente, sia per chi desideri avere una panoramica su luoghi lontani che forse non vedrà mai.

articolo apparso su lankelot.eu nel gennaio 2008

Edizione esaminata e brevi note

Luciano Troisio, ricercatore del Dipartimento di italianistica dell’Università di Padova, ha insegnato nelle Università di Pechino, Shangai, Bratislava, Lubiana. Ha pubblicato numerosi volumi dedicati alla poesia: By logos, esproprio transpoetico, 1979; Folia sine nomine, 1981; e La Trasparenza dello scriba, 1982 (con Cesare Ruffato); La poesia nel Veneto, 1985; Ragioni e canoni del corpo, 2001; Linee odierne della poesia italiana, 2001. Inoltre ha pubblicato le raccolte poetiche: L’angelo alle spalle, 1960; Anamnesi in tre versioni, 1965; Precario, 1980; Persistenza del cavallino, 1984; I giardini della maharani, 1986; Le poetesse cinesi, 2000; Three or four girls, 2002.

In dialetto altopadovano: Drìoghe ai poeti, 2001.

In prosa: Tirtagangga e varie sorgenti, 1999; Viaggio a Ko Ciang 2001; Nuvole di drago, 2003; La ladra di pannocchie, 2004.

Luciano Troisio, Tirtagangga e varie sorgenti. Cinque descrizioni asiatiche, Venezia, Marsilio 1999.