Vassalli Sebastiano

La notte della cometa

Pubblicato il: 27 Novembre 2006

Essere un grande artista non significa nulla: essere un puro artista, ecco ciò che importa” (Dino Campana)

È vissuto, tra Ottocento e Novecento, un poeta dall’esistenza tormentata ed errabonda, che ha attraversato la nostra letteratura come una cometa, è riuscito a scrivere un solo libro pieno di sogni, di visioni fantastiche e d’immagini e poi, tra vicissitudini d’ogni genere, ha concluso la sua esistenza in manicomio, piegato dalla malattia, dalle cure non appropriate, dall’incomprensione della famiglia, dei concittadini e della società letteraria.

Molti anni dopo, un altro artista dedica quattordici anni di ricerche al «poeta pazzo» e ne ricostruisce la vita, ne immagina gli stati d’animo, sfata leggende e dicerie esagerate sulle sue stravaganze, indaga presso archivi tra filze di documenti e narra.

Dino Campana e Sebastiano Vassalli: un artista rende omaggio e giustizia ad un altro artista, un risarcimento postumo, ma non per questo meno importante.

Scritto come un romanzo, “La notte della cometa” prende avvio nel settembre 1983: Vassalli è a Marradi nell’albergo dove Campana e Sibilla Aleramo trascorsero la notte di Natale del 1916.

Questo è un paese dove ho molto sofferto. Qualche traccia del mio sangue è rimasta tra le rocce, lassù” (p. 5) osserva Dino.

Con precisione, puntualità e una straordinaria empatia Vassalli ricostruisce l’intera vita di Campana, dove è possibile documenta nei dettagli, altrove riesce ad immaginare i discorsi dei parenti e dei paesani, le reazioni di Dino, gli sprezzanti ed elitari comportamenti dei letterati verso quello strano personaggio, male in arnese, che presentava i suoi testi e chiedeva di esser pubblicato. Ne esce un ritratto dettagliatissimo di Dino Campana, spesso troppo sbrigativamente liquidato come il «matto», in realtà un diverso, un isolato, trattato da «scemo del villaggio» perché estraneo ai canoni del comportamento comune e conformista sia di un paese piccolo e pettegolo come Marradi, sia delle consorterie letterarie del suo tempo.

Vassalli segue tutte le tappe della formazione di Campana, la sua situazione famigliare di bambino mai accettato e praticamente abbandonato dalla madre dopo la nascita del fratello e tollerato da un padre poco affettuoso, la crescita, l’acquisizione della consapevolezza di voler essere poeta, l’isolamento, l’ostilità di un intero borgo che, vedendolo sempre solo vagare per i monti, lo etichetta come matto e lo fa oggetto di scherno e di aperto rifiuto.

Tra ricoveri in manicomio, fino al definitivo internamento, arresti, spostamenti continui, viaggi, tentativi della famiglia di liberarsi di questo scomodo figlio, trascorre l’esistenza di Campana, che tenta in tutti i modi, seppur privo di conoscenze e assolutamente contrario a qualsiasi omologazione, di farsi pubblicare. Consegna il manoscritto dei Canti Orfici a Soffici e questi glielo smarrisce, viene guardato con curiosità, poi con sospetto e infine con decisa ostilità, fino a decretarne addirittura la damnatiomemoriae dopo la morte.

Osserva Vassalli: “Ma forse è proprio vero che i poeti appartengono ad una specie diversa, «primitiva», «barbara», da sempre estinta eppure sempre in grado di rinascere come quella dell’araba fenice. I poeti autentici, dico: non i letterati o gli scrittori di poesie, ma proprio quelli per mezzo dei quali la poesia parla. Gli unicorni, i mostri” (p. 9).

Invano Campana cercò di farsi accettare come persona nella sua stessa famiglia e invano tentò di farsi accogliere come quel poeta che sentiva di essere: una consapevolezza maturata verso i vent’anni, quasi con incredulità e poi consolidatasi nel tempo, man mano che la sua fama di folle, di scemo del villaggio cresceva e lui la assecondava comportandosi proprio da «matto», visto che soltanto questo ci si aspettava da uno come lui.

Dopo il ricovero in manicomio a Imola nel 1906, Campana, dichiarato ufficialmente pazzo dice di sé: “…sono il pezzo difettoso che l’operaio scarta” (p. 100). Sarà costretto a farsi rappresentare sempre da un tutore, ciò nonostante si sposterà, viaggerà (la famiglia tenterà di liberarsene spedendolo in America, ma dopo un po’ l’ingombrante personaggio tornerà spinto dalla nostalgia), verrà più volte rimandato a casa in un alternarsi di vicende che Vassalli ricostruisce con grande cura.

Dalle fotografie – fin da quelle scolastiche – Vassalli cerca di dedurre le condizioni fisiche e spirituali del poeta, lo accompagna, ne comprende le reazioni e le sensazioni ritrovando poi il riscontro nei Canti Orfici, dove, secondo Vassalli, c’è ben poco d’inventato, ma ogni esperienza è trasfigurata come in un sogno.

Osserva anche come, col crepuscolo della ragione di Campana, probabilmente dovuto alla contratta sifilide e non a una demenza ereditaria o precoce, la prima cosa a sparire sia la poesia. I suoi scritti non sono dunque i vaneggiamenti di un pazzo, ma arte originale ed unica nel nostro panorama letterario.

Un misto di sfortuna, ostilità, stravaganza sembra caratterizzare l’esistenza di Campana: Vassalli distrugge moltissime dicerie sulle gesta del poeta, colpevole di aver aspirato a vivere della sua arte, di aver considerato i Canti Orfici la “giustificazione della sua vita”.

Ho bisogno di essere stampato: per provarmi che esisto, per scrivere ancora ho bisogno di essere stampato. Non sono ambizioso, ma penso che dopo essere stato sbattuto per il mondo, dopo essermi fatto lacerare dalla vita, la mia parola che nonostante sale ha il diritto di essere ascoltata” (p. 171).

É una figura scomoda, non catalogabile e completamente sprezzante nei confronti di ogni accademia letteraria basata su trasformismo, servilismo e conformismo.

Il testo di Vassalli, mentre racconta le drammatiche vicende di Campana, traccia anche uno spaccato molto preciso della vita in numerosi ambienti tra fine Ottocento e primo Novecento: scuole, accademie militari, collegi, università e manicomi, questi ultimi davvero allucinanti non solo per le condizioni di vita e per il trattamento, ma anche perché finivano per diventare i contenitori di tutti coloro che rivelavano una qualsiasi diversità rispetto a modelli prefissati.

Gli psichiatri risultavano in possesso di un terribile potere capace di determinare il destino di esistenze e il marchio di «pazzo» segnava non solo l’individuo, ma l’intera stirpe per generazioni.

Neppure i marradesi appaiono capaci di riconoscere – né allora, né in tempi recenti – le qualità del loro conterraneo, sempre rimasto il «matto», anche se titolare di una via o di un concorso letterario.

Società perbenista, chiusa in se stessa e nei propri angusti confini, osteggiò sino all’esasperazione quel suo anomalo figlio.

Si giunse così all’epilogo.

Poco dopo la tumultuosa relazione con Sibilla Aleramo, nel 1918 Campana viene internato nel manicomio di Castelpulci, dove concluderà la sua esistenza nel 1932 tra fasi di delirio alternate a comportamenti modello, elettrochoc, tra idioti, degenerati che urlano e vengono legati al letto.

Trascorre anni e anni in compagnia di veri dementi, svolge mansioni umili come preparare le polpette e continua a leggere in un angolo del muro, seduto per terra. Improvvisamente riacquista lucidità alla fine del 1931, vorrebbe far delle traduzioni dalle lingue che conosce, ma nel 1932 muore in brevissimo tempo. Le cause precise non sono chiare neppure per gli stessi medici, certo è che Campana aveva contratto, come già osservato, molti anni prima, la sifilide, morbo che all’epoca non perdonava.

Nessuno a seguire la frettolosa sepoltura: morì solo e isolato com’era vissuto, fagocitato da una società che non era pronta ad accoglierlo.

Conclude Vassalli: “Ma se anche Dino non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest’uomo meraviglioso e «mostruoso», ne sono assolutamente certo. L’avrei inventato così” (p. 239).

articolo apparso su lankelot.eu nel novembre 2006

Edizione esaminata e brevi note

Sebastiano Vassalli (Genova 1941) scrittore italiano. Tra le sue opere: Sangue e suolo, L’alcova elettrica, L’oro del mondo, La chimera, Marco e Mattio.

Sebastiano Vassalli, “La notte della cometa”, Einaudi Tascabili, Torino 1993.

Altri libri di Vassalli recensiti in Lankelot: “Mareblù”, “La notte del lupo”, “Stella avvelenata” (a cura di Franchi).

In rete: “La gazzetta del mezzogiorno” / “Novara Online”.