Manfredi Nino

Per grazia ricevuta

Pubblicato il: 30 Luglio 2007

Già noto e celebrato per aver lavorato con tutti (o quasi) i grandi registi della commedia all’italiana (Magni, Risi, Scola, Loy, Comencini, Festa Campanile, Wertmuller), l’eclettico Nino Manfredi, attore rimasto nell’immaginario di un Paese intero ad oramai tre anni dalla dipartita (al pari degli altri grandi colleghi andati: Gassman, Sordi, Tognazzi, Mastroianni), si cimentò per la prima volta con la regia regalando al pubblico una commedia agrodolce che, attraverso una storia tipicamente italiana, a tratti grottesca ma assai verosimile, va addirittura ad indagare temi complessi come la fede e la ricerca del sé più intimo e profondo. L’operazione, incoraggiata da Oreste Del Buono, portò Manfredi a percorrere sentieri autobiografici, allorché scelse di ambientare la pellicola in una zona della Ciociara (verosimilmente: lo si intende dal dialetto), terra che diede i natali all’ attore di Castro dei Volsci.

Un uomo, Benedetto (Nino Manfredi), viene portato in clinica in piena notte, sembra avere poche speranze di vita; al suo seguito una ragazza che dice di non essere la moglie, ma la più prossima a ciò che si può definire un parente. È la compagna, che acconsente all’operazione, unica per quanto improbabile possibilità di salvezza. Al capezzale dell’uomo arrivano anche l’anziana madre della giovane ed un avvocato, speranzosi che Benedetto lasci per sempre questa terra per venire accolto in cielo. Perché? Perché fu grave lo smacco che la vecchia borghese dovette subire quando Benedetto, proprio di fronte all’altare, non sposò sua figlia (con l’assenso di lei): oltre al deprecabile gesto in sé, le ricordava da vicino qualcosa e qualcuno che aveva combattuto fino a poche ore prima. Questo qualcosa è una sorta di anarchismo-ateismo di stampo gaudente e dionisiaco, dovuto subire per anni; questo qualcuno era colui che glielo aveva fatto subire quando lei anelava alla forma più che ad ogni altra cosa: il padre di Giovanna, morto da poche ore. Padre allergico al matrimonio, in perenne causa legale con la madre della ragazza. Ma facciamo un passo indietro, perché Benedetto, in stato di incoscienza, durante l’operazione, ripercorre come in un lungo flashback gli snodi essenziali della sua esistenza, le tappe che l’hanno portato fino al letto di una clinica, in fin di vita. L’infanzia irrequieta, l’attrazione spontanea, ma in controtendenza palesata (siamo, evidentemente, nell’immediato dopoguerra, e soprattutto negli ultrareligiosi paesini del centro sud, dove sessualità e demonio vanno a braccetto), per i corpi femminili fanno di Benedetto la pecora nera dei bimbi della sua zona. Ma un bel dì, proprio durante la cerimonia eucaristica, il bimbo fugge quasi strozzato dall’ostia consacrata, arriva vicino ad un precipizio e cade. Si pensa ad una triste sorte, ma: miracolo! Il bimbo è vivo e vegeto, ed è merito di Sant’Eusebio (un santo fatto martire per una fine atroce, lo scoprirete dalla pellicola, comunque ai più sconosciuto). Sant’Eusebio diventa in Santo protettore di quelle terre e Benedetto un miracolato, per il quale la grazia ricevuta sarebbe divenuta la fonte del dubbio perenne e dell’inquietudine esistenziale che l’avrebbe sempre, comunque, accompagnato.

Non vi dico altro di una trama complessa e intrecciata, ma allo stesso tempo scorrevole e ben calibrata, sorretta da una indovinata sceneggiatura a quattro mani (guardate i credits e capirete la qualità) a cui lo stesso Manfredi partecipò. Manfredi il quale fu anche autore unico del soggetto, come ripeto dall’evidenza autobiografica, in cui il nostro immette elementi cari alla grande commedia all’italiana, sempre fondata su un’architettura narrativa che interiorizza vizi, virtù e consuetudini del Bel Paese. Considerando la qualità delle componenti portate ad evidenza, non vi nego che Per grazia ricevuta è una notevole opera prima, sorprendentemente ben diretta e recitata divinamente. E qui c’è da fare un elogio particolare al duo Manfredi-Stander, che regalano stralci di grandissimo cinema, con dialoghi da ricordare che si iscrivono di diritto tra le sequenze più suggestive del cinema nostrano di sempre. La vitalità di Stander, a contrasto con lo stralunato, ingenuo e disincantato personaggio interpretato da Manfredi crea una perfetta alchimia visiva: sono sequenze godibilissime, da mostrare nelle scuole di cinema. Anche i caratteristi sono in parte, con menzione speciale per Mario Scaccia ed Enzo Cannavale.

Rilevante è anche il tema proposto, il contrasto tra fede e istinto alla vita, che si trasforma più che altro in una riflessione socio-antropologica sui costumi dell’Italia post bellica in pieno fermento di cambiamento proprio all’uscita della pellicola in questione. Siamo nel 1971, e il film di Manfredi qualche problemino lo creò alle istituzioni clericali, le quali si trovarono di fronte, tra le altre cose, una rappresentazione del mondo gesuita (Benedetto vive fino a trenta e passa anni in un convento di frati gesuiti) un pochino goliardica e certo lontana dal rigore regnante nell’Ordine. In più, il tema della sessualità legato alla fede, quasi a contrasto con la fede, era ancora troppo difficile da digerire, non solo dalle istituzioni religiose, ma anche dai benpensanti. Religione e fede qui prossime alla superstizione e alla credenza popolare, proposte in forma di farsa comunque agrodolce, visti gli sviluppi della vita di Benedetto, al contrario dell’immediatamente successivo Non si sevizia un paperino (1972) di Fulci il quale, pur cimentandosi in un genere molto diverso e con maggior vigore critico, si scaglia contro il mondo bigotto e superstizioso di un paese della Lucania.

Per grazia ricevuta, pur non perdendo mai la forma commedia, si rivela ai nostri occhi come un viaggio esistenziale del protagonista, costruito su dialoghi densi d’intelligente ironia e scevri di banalità, intimo e a tratti doloroso, evocativo di dubbi che, come è giusto che sia, non diventano mai certezze, colmo di suggestioni che confondono ma che sono anche i grandi motivi del nostro vivere. Rifuggire gli orpelli religiosi della morale e della consuetudine è anche il modo per Benedetto, profondamente sconvolto da un’infanzia che gli aveva confuso i simboli, che gli aveva inviato segnali beffardi (la visione di Sant’Eusebio non è altro che quella dell’amante della zia), per vivere veramente una vita fino ad allora attraversata con timore (l’insonnia, la paura del buio), o almeno per provare a scegliere senza sovrastruttura alcuna. Ma lo sguardo del regista-attore non è mai giudicante, a conti fatti equidistante, volendo considerare il finale aperto alla speranza (un nuovo miracolo: una nuova grazia ricevuta). Manfredi ci regala una delle sue più grandi interpretazioni, come detto, sentendo molto un personaggio nel quale anche il pubblico ben riuscì a immedesimarsi, allorché il film ottenne ampio gradimento nelle sale, essendo considerato ancora oggi tra i capisaldi della commedia all’italiana.

Curiosità: L’opera ricevette numerosi riconoscimenti, tra i quali il premio a Cannes come miglior opera prima, il David Di Donatello per la miglior regia, ed un premio speciale al suo protagonista. Ristampato da pochi mesi in Dvd è facilmente reperibile. Nino Manfredi, durante la sua lunga e prestigiosa carriera d’attore, si concesse solo un’altra incursione dietro la macchina da presa, Nudo di donna (1981), altra interessante pellicola comunque non ai livelli di questo ottimo film.

Federico Magi, luglio 2007.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Nino Manfredi. Soggetto: Nino Manfredi. Sceneggiatura: Nino Manfredi, Luigi Magni, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi. Direttore della fotografia: Armando Nannuzzi. Montaggio: Alberto Gallitti. Interpreti principali: Nino Manfredi, Delia Boccardo, Lionel Stander, Paola Borboni, Mario Scaccia, Fausto Tozzi, Mariangela Melato, Tano Cimarosa, Gastone Pescucci, Enzo Cannavale, Veronique Vendell, Ugo Adinolfi, Enrico Concutelli, Fiammetta Baralla. Scenografia e costumi: Danilo Donati. Musica originale: Maurizio De Angelis, Guido De Angelis. Produzione: Rizzoli Film. Origine: Italia, 1971. Durata: 122 minuti.