Joffo Joseph

Un sacchetto di biglie

Pubblicato il: 12 Novembre 2006

Storia di una famiglia di ebrei francesi dal 1941 alla fine della guerra, in particolare storia di due fratelli, Joseph di dieci anni e Maurice di dodici, e di come sono sopravvissuti alla persecuzione, alla povertà, alla paura, alla separazione dalla famiglia.

La prima osservazione che l’autore evidenzia nel Prologo è che il libro non è opera di uno storico, sono i suoi ricordi d’infanzia a venir raccontati a distanza di tanti anni. Forse proprio la lunga prospettiva temporale conferisce al racconto una straordinaria leggerezza pur nella drammaticità dei fatti, forse è la dimensione dell’infanzia che trascolora tutto e conferisce un carattere avventuroso alle vicissitudini e alle paure dei due fratelli.

Siamo a Parigi nel 1941. La numerosa famiglia Joffo vive nel quartiere ebraico: il padre ha un avviato negozio di barbiere, nel quale lavorano i due figli maggiori, mentre i due più piccoli, Joseph e Maurice, vanno ancora a scuola. Un’altra sorella, ormai sposata, abita in un paesino di montagna.

Nonostante la presenza dei tedeschi, la vita scorre piuttosto tranquillamente, i ragazzi non hanno consapevolezza di esser ebrei, non si sentono diversi dai loro coetanei, vivono integrati nel tessuto sociale.

Il padre racconta loro, la sera, la storia del nonno, ebreo russo, padre di dodici figli, sfuggito ai pogrom, ma si tratta di una figura quasi mitica e soprattutto nessuno nella famiglia si aspetta che in Francia, paese delle libertà, possano verificarsi certi fatti.

Invece le discriminazioni razziali, la stella gialla sugli abiti, gli insulti diventano realtà anche nella liberale Francia.

L’atmosfera si fa irrespirabile e pericolosa per gli ebrei e la famiglia Joffo ricorre a una strategia che si dimostrerà vincente: una vera diaspora in miniatura, i membri si dividono.

Per il momento i genitori rimangono a Parigi (si sposteranno dopo), i figli più grandi sono già partiti per Mentone, i due piccoli vengono fatti partire, da soli, alla volta della linea di demarcazione, che segna il confine con la Francia libera.

Una volta passati potranno raggiungere i fratelli maggiori. Dovranno cavarsela da soli, ingegnarsi, mantenere segreta la loro identità di ebrei e badare a non farsi catturare dai nazisti.

L’infanzia è finita per loro.

Inizia così una serie di avventure per i fratelli Joffo, che dimostrano la loro abilità, la prontezza di riflessi, l’affiatamento tra loro, ma emergono anche la brutalità e l’orrore della guerra, il disorientamento, la paura, la continua precarietà di una vita braccata.

Colpisce ancora una volta la spaventosa efficienza della macchina dello sterminio nazista, la pianificazione sistematica della morte, la meticolosità burocratica e la pervicacia nel ricercare ogni ebreo, con insistenza, ostinazione, con una tenacia da mastini e una granitica convinzione.

Il racconto di Joffo è vita vissuta, ma è anche itinerario di una formazione avvenuta in maniera brusca, improvvisa. I suoi fortunosi spostamenti da una parte all’altra della Francia, da Marsiglia, dove con Maurice vede per la prima volta il mare, a Mentone e poi via, verso le Alpi e il freddo, alla ricerca di un rifugio sicuro dove attendere il sospirato arrivo degli americani, non sono solo geografici, ma scandiscono le tappe di una crescita che si scontra prestissimo col male e con la crudeltà.

Di fronte al pericolo, i due fratelli sono costretti a fare appello a tutte le loro capacità e risorse per salvarsi: impareranno a mentire, diverranno abili trafficanti al mercato nero, lavoreranno, sapranno utilizzare la loro fantasia per cavarsela in ogni occasione e far divenire accettabile una realtà molto dura.

Due scene da ricordare.

Stazione di Marsiglia: Joseph e Maurice devono prendere il treno per Mentone, ma sono senza documenti. Joseph, temporaneamente distaccato da Maurice, incappa in due poliziotti e per evitare di farsi scoprire dice che è in compagnia del padre, che è in regola con la burocrazia. S’allontana, ma nota che i due lo tengono d’occhio e lo seguono. Allora instaura un banale dialogo con un signore che è accanto a lui (gli chiede l’ora) e i due poliziotti passano oltre.

Quel signore non ha mai saputo che per qualche secondo è stato, per due poliziotti, proprietario di un grande cinema nel centro di Marsiglia e padre di un ragazzo di dieci anni” (p. 105).

Altra scena. Ad un certo punto i genitori vengono arrestati e temporaneamente ammassati con altri ebrei presso lo stadio della cittadina dove s’erano rifugiati. I figli si attivano per farli liberare cercando di dimostrare che il padre non è ebreo. Alla fine ci riescono, nonostante il direttore del campo abbia fama d’inflessibile. Li rilascia dopo aver cercato invano d’informarsi per telefono sulla vera origine di papà Joffo. Forse si tratta di un ritardo burocratico nella trascrizione dei documenti, ma Joseph immagina diversamente, secondo lui il direttore sapeva, ma ha voluto rilasciare i suoi genitori.

..un eroe che nascondeva la sua generosità sotto una maschera sgradevole era più gradevole della dimenticanza di uno scribacchino. […] In seguito ho un po’cambiato opinione” (p. 137).

Senza pace, senza tregua, la famiglia Joffo continua a riunirsi e poi a dividersi in una successione di vicende, che corrono parallele a quelle della Storia. Talvolta la guerra pare lontana a Joseph, vi sono periodi addirittura sereni.

Tutti i fatti vengono filtrati dallo sguardo del bambino, con uno stile semplice e fresco, spontaneo e nello stesso tempo capace di rendere la drammaticità delle situazioni.

I numerosi incontri offrono a Joseph l’occasione per delineare ritratti di personaggi interessanti, sia positivi che negativi, descritti con grande immediatezza e vivacità: dal conte, antico aristocratico che li accompagna col suo calesse per un tratto di strada al funzionario tedesco inquadrato, dalla signora nobile che ha sposato un agricoltore e ora fa la contadina, pur conservando gusti raffinati ed estetismo al tenacissimo sacerdote cattolico che, per salvarli, sfida la burocrazia teutonica.

Se dapprima gli Joffo riescono a cavarsela abbastanza bene, la situazione diventa drammatica e pesante dopo l’8 settembre ’43: i soldati italiani, amici dei due fratelli, se ne vanno e inizia la seconda occupazione tedesca, molto più dura della prima. Gli ebrei vengono arrestati in massa e deportati settimanalmente. Ed è così che Joseph vede scomparire un suo amico – tra l’altro non ebreo – deportato perché non c’è stato il tempo di controllare le sue origini.

Alle diciotto, stupefatto, sentì il suo nome sulla lista e salì sul treno della morte. Aveva fatto il tappabuchi. Grazie a lui quella settimana le statistiche di ebrei arrestati furono esatte” (p. 210).

Joseph e Maurice finiscono arrestati e interrogati, vedono la violenza, leggono l’odio nello sguardo dei soldati e, contemporaneamente, la strategia di sopravvivenza consente loro d’inventarsi una vita precedente diversa, concordata insieme, da narrare durante i ripetuti interrogatori della Gestapo.

La realtà della morte e dello sterminio si oggettiva in incubi favoriti da una malattia di Joseph.

Eppure ancora una volta sfuggiranno alle grinfie della polizia e la fine della guerra li sorprenderà in un paesino tra le montagne.

Dalla terribile bufera non tornerà più soltanto papà Joffo, inghiottito nel lager, ma a Joseph, a Maurice e a molti altri come loro è stata rubata l’infanzia.

Cresciuto, indurito, cambiato… Forse anche il cuore si è abituato, si è rodato alle catastrofi, forse è diventato incapace di provare un dolore profondo…. Il bambino che ero diciotto mesi fa, quel bambino sperduto nel metrò, nel treno che lo portava a Dax, so che non è più lo stesso di oggi, che si è perduto per sempre in un bosco, su una strada provenzale, nei corridoi di un albergo di Nizza, si è sbriciolato un po’ogni giorno di fuga. […] …mi domando se sono ancora un bambino…Mi sembra che certi giochi non m’interesserebbero più oggi,[…]

Forse ho creduto, fino ad ora, di uscire indenne da questa guerra, ed è forse questo l’errore. Non mi hanno preso la vita, forse hanno fatto di peggio, mi rubano la mia infanzia, hanno ucciso in me il bambino che potevo essere… Forse sono già troppo duro, troppo cattivo, quando hanno arrestato papà non ho nemmeno pianto. Un anno fa non avrei nemmeno sopportato l’idea” (p. 246).

articolo apparso su lankelot.eu nel novembre 2206

Edizione esaminata e brevi note

Joseph Joffo (Parigi 1931), ha incontrato il successo con Un sacchetto di biglie (1973), cui sono seguiti Le vetrine illuminate (1977), seguito del primo libro, e Anna e la sua orchestra (1975).

Joseph Joffo, “Un sacchetto di biglie”, BUR, Milano 2004, collana Scrittori Contemporanei. Traduzione di Marina Valente.

Titolo originale: “Un sac de billes”, 1973.