Corona Mauro

Nel legno e nella pietra

Pubblicato il: 9 Settembre 2006

 Questa prova narrativa di Mauro Corona, lo scultore del legno e scalatore di Erto in Friuli, si presenta come una raccolta di novantatre brevi racconti e un epilogo.

Corona ci narra in prima persona storie di paese, aneddoti, credenze popolari (come il Mazzarual, spirito dei boschi particolarmente dispettoso, che, con qualche variante fonetica – Mazzariol – era presente anche nelle campagne venete), storie personali di scalate, evoca una folla di personaggi : boscaioli, cacciatori (rigorosamente di frodo, la caccia serviva per integrare la dieta povera degli abitanti), pastori, artigiani, carbonai , descrive luoghi (capitelli, ponti) e la loro storia, raccogliendo leggende popolari, rievoca ricordi d’infanzia e “lezioni” impartitegli con brutalità da anziani maestri di vita poco attenti alla sensibilità infantile.

Vita dura di paese fatta di povertà e lavoro, emigrazione, episodi di solidarietà o di efferata violenza, colossali bevute (il tasso di alcolismo era altissimo a Erto), storie di streghe e fantasmi, figure di anziani e di giovani, mestieri faticosissimi (spaccapietre), un intero mondo che è stato sconvolto e brutalizzato il 9 ottobre 1963 dalla tragedia del Vajont.

Paesi cancellati, i superstiti portati via (Corona, che all’epoca aveva tredici anni, andrà a completare gli studi dai Salesiani a Pordenone), nulla sarà più come prima.

Corona ama ricordare in “Eroi dimenticati” il capitano pilota Giovanni Zanelli e il suo equipaggio, morti sul lavoro proprio per prestare aiuto agli ertani dopo la tragedia.

Rievocare questo mondo, raccogliere i ricordi prima che vadano perduti per sempre: questo sembra essere il compito che Corona ha assunto per sé, diventare sempre più la “memoria storica” di Erto, perché un paese senza memoria, senza radici, non può aver consapevolezza di sé.

Raccontare, narrare, lasciare testimonianza prima che sia tardi.

La storia di Erto s’intreccia con la storia personale di Mauro: i ricordi d’infanzia, le figure dei nonni (soprattutto quello paterno, intagliatore, che Corona ha seguito per i boschi), le avventure vissute da ragazzo a fare il malgaro in montagna, e poi le scalate sulle amatissime montagne, gli amici del paese fino alle sedici storie finali “dei dannati di pietra” nella cava di marmo del monte Buscada. Dall’esperienza diretta del giovane Corona come spaccapietre nascono questi racconti, con il miraggio di trovare tra le pietre gli “occhi di pescecane”, delle misteriose bolle solidificate simili a perle nere e di alto valore per i collezionisti.

Ancora più preziosa è la perla azzurra della quale si favoleggia e che consentirebbe un’esistenza agiata una volta per tutte.

Anche la “grande storia” passa per Erto: episodi della Resistenza si tramandano nella tradizione comune dei paesani, ma, osserva Corona, “Chi vive in montagna, penso faccia resistenza continuamente”.

Il passato evocato da Corona non è mitizzato, reso più bello dal ricordo, è vivo con tutte le sue asprezze, miserie, aspetti negativi (delitti, vendette, odi, alcolismo), è un passato “testimoniato” e non trasfigurato.

Nel legno e nella pietra” sono davvero scritte queste storie così come Corona si è sempre mosso in questi due elementi da scultore del legno e da arrampicatore.

Le storie di scalate sono, quasi in una epopea al contrario, storie di sconfitte, di occasioni in cui la montagna non ha accettato intrusioni ed ha respinto l’uomo.

“… coloro che hanno scritto di montagna sono sempre stati gli alpinisti. I quali hanno parlato solo ed esclusivamente di se stessi, delle loro imprese, dei cimenti compiuti. Relegando sterilmente la montagna a banale terreno di gioco privato, hanno descritto solo le loro vittorie.”

I racconti di Corona sono in controtendenza e forse contengono una punta di polemica verso certo alpinismo trionfalistico.

Il contatto con la natura è visto da Corona anche come fondamento della sua religiosità: “Sono un peccatore ma credo in Dio. […] penso che si abbiano molte prove dell’esistenza di Dio. Basta guardarsi attorno. I boschi, i mari, i deserti, il cosmo intero è Dio”.

Una religione naturale, semplice, ma che gli fa guardare il suo mondo di boschi e montagne sempre con occhi nuovi ed attenti.

Alla montagna è dedicato il bellissimo epilogo, quasi una summa del pensiero dell’autore e delle sue scelte.

“Le montagne sono belle perché hanno il vuoto attorno. Un vuoto che ci spaventa, forse perché rispecchia quello che abbiamo dentro. Le montagne comunicano il senso dell’irragiungibile, del perfetto, del maestoso, dell’intoccabile. […] Dalla montagna mi sono sentito compreso, ascoltato, degnato di attenzione.[…] E’ come fare visita a un’amica, per avere un consiglio, per riflettere prima di fare sciocchezze, per lasciare spegnere i fuochi che spingono al gesto impulsivo. […] Dalle montagne ho avuto protezione e affetto. La scalata estrema è venuta dopo, ma non c’entra nulla, o molto poco, con l’amore per la montagna, con ciò che mi ha dato e continua a darmi”.

Articolo apparso su lankelot.eu nel settembre 2006

Edizione esaminata e brevi note

Mauro Corona (Erto-Pordenone 1950) scultore del legno tra i più apprezzati in Europa, scalatore fortissimo (ha aperto trecento nuovi itinerari di roccia sulle Dolomiti d’Oltre Piave, tutti difficilissimi) e scrittore italiano.

Ha ereditato dal nonno paterno intagliatore la passione per il legno e dal padre l’amore per la montagna. Ha esordito con Il volo della martora (1997), cui sono seguiti Le voci del bosco (1998), Finché il cuculo canta (1999), Gocce di resina (2001), La montagna (2002). ), Nel legno e nella pietra (2003), Aspro e dolce (2004), L’ombra del bastone (2005), Vajont: quelli del dopo (2006).

Vive e lavora a Erto.

Mauro Corona, Nel legno e nella pietra, Mondadori, Milano 2003.

Sito dell’autore: www.dispersoneiboschi.it