L’altra figlia del titolo è, per la Ernaux, una sorella maggiore di cui nulla ha saputo fino ai dieci anni. Ginette, una sorella dal nome che sa d’antico e morta di difterite nel giovedì santo del 1938 a soli sei anni. Una sorella che la scrittrice normanna non ha mai conosciuto se non attraverso alcune sparute foto sbiadite dal tempo. Ed è a lei che Annie Ernaux si rivolge attraverso questo libro più volte definito “lettera” dalla stessa autrice. Scrivere ad una bambina morta, scavando dentro la propria esistenza di sorella vivente (o sopravvissuta), tra i ricordi d’infanzia più semplici e per questo anche più preziosi, è un’esperienza letteraria ed autobiografia estremamente intensa e decisamente singolare. Così come nei suoi precedenti libri, “Il posto” e “Gli anni”, anche ne “L’altra figlia” la Ernaux esplora e racconta il proprio vissuto. Tutto quel che scrive diviene così un interminabile memoir, un’indagine dai risvolti psicologici e spirituali sempre affascinante.
La morte prematura di Ginette, ed il dramma familiare che di certo ne è scaturito, sono rimasti una sorta di perenne tabù per Annie. Solo per caso, all’età di dieci anni, ascolta le parole di sua madre che, conversando con un’altra donna, fa accenno all’altra figlia. “Racconta che oltre a me hanno avuto un’altra figlia e che è morta di difterite a sei anni, prima della guerra, a Lillebonne. Descrive la pelle della gola, il soffocamento. Dice: è morta come una piccola santa […] di me dice lei non sa niente, non abbiamo voluto rattristarla. Alla fine dice era più buona di quella lì. Quella lì, sono io“. Annie è nata due anni più tardi, nel 1940, e a lei nessuno ha mai spiegato nulla. La scena in cui si svela un segreto di famiglia tanto inaspettato si fa immagine: la scrittrice la ricorda in ogni dettaglio. Sa che l’altra sorella era buona mentre lei non lo è e non lo è mai stata. Lei che si è considerata a lungo figlia unica, bambina vezzeggiata, viziata, iper protetta. Ogni sua malattia diveniva una piccola tragedia, ogni pericolo occasione di preoccupazione e una salute cagionevole sicuramente non rassicurava quei genitori che si portavano nel cuore un lutto tanto grave.
“Tra loro e me, da quel momento ci sei tu, invisibile, adorata. Vengo scostata per farti spazio. Respinta nell’ombra mentre tu aleggi lassù nella luce eterna. Vengo paragonata, io che ero l’incomparabile, la figlia unica. La realtà è questione di parole, sistema di esclusioni“. Annie è evidentemente gelosa e palesemente impotente rispetto alla concorrenza di Ginette. Come può reggere il confronto con una sorella arrivata prima di lei, morta come una santa e soprattutto considerata irrimediabilmente più buona? Ginette non ha avuto il tempo di diventare grande, non ha avuto il tempo per crescere e ribellarsi, per litigare o sbagliare o deludere o fallire. Annie, dopo aver conosciuto la verità, ammette di essersi sentita “defraudata”. “Dopo aver cercato a lungo, la parola che sento più adatta, irrefutabile, è fessa. Fessa nel senso popolare, mortificata, fatta fessa. Avevo vissuto un’illusione. Non ero unica. Ce n’era un’altra comparsa dal nulla. Tutto l’amore che credevo di ricevere era dunque falso“.
La coscienza e l’analisi di quella morte prematura portano verso un’unica consapevolezza: se Ginette non fosse morta, Annie non sarebbe nata. La morte di una figlia ha portato alla nascita dell’altra. “Orgoglio e senso di colpa nell’essere stata scelta per vivere, in un disegno indecifrabile. Forse più orgoglio della sopravvivenza che senso di colpa“. Annie è portatrice di un’esistenza che deve avere per forza un senso profondo: “Io non scrivo perché tu sei morta. Tu sei morta perché io possa scrivere, fa una grande differenza“. Lei è la figlia viva, spesso a dispetto di malattie, incidenti e altre negligenze. Sembra che la morte la sfiori e la lasci andare ripetutamente fin da quando è bambina. Annie vive perché è più forte o solo più fortunata. L’altra figlia, quella morta, sottaciuta o solo lasciata intuire dai suoi genitori, non esiste. Ginette rientra nel mondo della finzione, argomento indicibile, quasi osceno, sicuramente scandaloso. “Ho l’impressione di non avere una lingua per te, per dire di te, di non saper parlare di te se non attraverso la negazione, in un perpetuo non-essere. Sei fuori dal linguaggio dei sentimenti e delle emozioni. Sei l’anti-linguaggio“. Eppure nonostante l’intima certezza di questa negazione, la Ernaux sa parlare a sua sorella in maniera autentica e diretta, com’è nel suo stile. Parla ad un’estranea, questo è certo, e non ha bisogno di sentimentalismi perché qui non le competono e non ha bisogno di pathos perché non è mai né commossa né commovente. “L’altra figlia”, come già detto, è solo una lettera: onesta, pulita, spietata.
Edizione esaminata e brevi note
Annie Ernaux è nata nel 1940 a Lillebonne. Si laurea in Lettere Moderne presso l’Università di Rouen e, poco più tardi, diviene insegnante di lettere in un liceo. Il suo romanzo d’esordio risale al 1974 e si intitola “Gli armadi vuoti”. Con il libro autobiografico “Il posto”, pubblicato nel 1983, ottiene il prestigioso premio Renaudot. E’ una delle scrittrici più amate ed apprezzate del panorama culturale francese, letta, studiata e tradotta in tutto il mondo. I suoi libri in traduzione italiana: “Passione semplice”, “Diario delle periferia”, “Non sono più uscita dalla mia notte”, “L’onta”. A queste si uniscono altre opere: “Une femme”, “L’événement”, “La vie extérieure”, “Se perdre”, “L’occupation”, “L’atelier noir”, “Retour à Yvetot”. L’editore Gallimard di Parigi, nel 2011, ha raccolto i migliori scritti della Ernaux in un volume unico della prestigiosa collana “Quarto”. Nel 2015 L’Orma Editore ha pubblicato “Gli anni”, uscito a Parigi per Gallimard nel 2008 e, nel 2016, “L’altra figlia” e “Memoria di ragazza”.
Annie Ernaux, “L’altra figlia“, L’Orma Editore, Roma, 2016. Traduzione di Lorenzo Flabbi. Titolo originale “L’autre fille” (2011).
Pagine Internet su Annie Ernaux: Wikipedia / Enciclopedia Treccani / Fiches de Lecture
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