A Roma, nella piccola piazza del Teatro di Pompeo, si apre una porta e uno spazio minuscolo. Al suo interno una libreria che ho scoperto solo di recente. Libri, per lo più usati, sono collocati con ordine lungo le pareti. Non cercavo nulla di particolare ma ho trovato questa bella edizione de “Il Consiglio d’Egitto” di Leonardo Sciascia. La copertina propone un disegno di Francisco Goya mentre il libro, pubblicato da Einaudi, risale al 1967, quinta edizione di un’opera uscita nel 1963.
Un romanzo storico, “Il Consiglio d’Egitto“, che ci riporta ad una Sicilia settecentesca caratterizzata dalla presenza di una nobiltà adagiata in lussi e privilegi secolari. Una società che, così come accadeva in altre regioni italiane, iniziava a conoscere la diffusione di quelle tesi illuministe che, nel 1789, portarono alla Rivoluzione Francese. Ed è in questo mondo che si muove lo scrittore di Racalmuto raccontandoci, con un linguaggio raffinatissimo e molto adatto al contesto, episodi realmente avvenuti e personaggi realmente esistiti.
Nel dicembre del 1782 l’ambasciatore del Marocco alla corte di Napoli, Abdallah Mohamed ben Olman, si trovava a Palermo “per causa di un fortunale che aveva spinto il vascello, sul quale verso il Marocco navigava, a sfasciarsi sulle coste siciliane“. Comunicare con l’ambasciatore arabo non era possibile per cui il vicerè Caracciolo pensò di affidarsi ad un cappellano dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, don Giuseppe Vella. Costui, noto in tutta Palermo per lo più come “smorfiatore di sogni“, ebbe il compito di portare in giro ben Olman e di fargli da interprete grazie a quelle poche conoscenze di arabo che possedeva. Un’altra eccellente personalità del tempo, Monsignor Airoldi, amante della storia siciliana, volle sottoporre all’attenzione dell’ambasciatore un codice in lingua araba per sapere se al suo interno vi fossero scritti antichi fatti della vita siciliana. Il Vella, che faceva da traduttore, pensò di approfittare della situazione e, nonostante Abdallah Mohamed ben Olman spiegasse che si trattava solo di una delle tante versioni esistenti della vita del Profeta, fece credere al Monsignore di avere in mano una preziosa testimonianza della presenza araba in Sicilia. Un testo unico che conteneva documenti fondamentali: “prontamente cogliendo l’occasione che la sorte gli offriva, con grave ma lucido azzardo, Giuseppe Vella si fece protagonista della grande impostura“.
Ebbe così inizio una delle più ardite e raffinate truffe letterarie di sempre. Il Vella fu infatti incaricato di tradurre dall’arabo quel codice ed, ambizioso e furbo come era, portò avanti per anni la sua opera ricevendo dal Monsignore parecchi benefici e vantaggi. Alcuni anni più tardi l’opera fu portata a termine e pubblicata con il titolo de “Il Consiglio di Sicilia“. La vita di Maometto si era quindi tramutata in ben altra opera: una storia della Sicilia islamica. La falsificazione dell’abate non si fermò lì infatti, annunciando nuove e clamorose scoperte documentali, il Vella era pronto a rendere noto anche un secondo testo intitolato “Il Consiglio d’Egitto” oltre ad alcune opere di Tito Livio ritenute fino ad allora perdute. Il suo intento era quello di arrivare più in alto possibile cercando di attirare su di sé addirittura la benevolenza del Re. Attraverso “Il Consiglio d’Egitto“, un codice creato ad hoc in una lingua nata dalla mescolanza dell’arabo al maltese, il falsario puntava a dimostrare che la nobiltà siciliana stesse godendo di titoli e ricchezze senza averne diritto. In sostanza il nuovo codice andava a restituire al sovrano quei diritti e quei privilegi che principi, baroni, conti, marchesi e ricchi uomini di Chiesa siciliani detenevano da tempi lontani. La notizia di un tale stravolgimento non potè che preoccupare ed allarmare la nobiltà del tempo la quale iniziò realmente a temere di poter perdere tutto. Tra gli eruditi siciliani c’era il canonico Rosario Gregorio che diffidava dell’autenticità dei testi del Vella. Eil dubbio che l’abate Vella fosse autore di un enorme falso iniziò ad insinuarsi anche nel giovane avvocato Francesco Paolo Di Biasi. Un illuminista, un borghese acuto e preparato che, nel suo piccolo, avversava il mondo aristocratico del tempo.
Sciascia si sofferma con attenzione e passione anche sulla figura del Di Biasi perché a lui si deve il primo tentativo rivoluzionario siciliano per instaurare una Repubblica. L’avvocato si avvalse, per questo suo progetto, di un gruppo di congiurati e, proprio in prossimità dello scoppio della rivolta, qualcuno (Sciascia fa nomi e cognomi) lo tradì. Di Biasi venne così arrestato, torturato pesantemente e condannato a morte. Ma anche il destino di Giuseppe Vella non fu piacevole. Dopo aver scoperto la sua truffa, il 29 agosto 1796, l’abate venne arrestato e condannato a 15 anni di prigione.
Leonardo Sciascia racconta perfettamente la psiche del Vella e la logica della sua impostura. Un uomo di povere origini, apparentemente mite e dimesso, sa diventare scaltro al punto da conquistare la stima e la fiducia dei nobili del tempo, uomini e donne che riesce abilmente a raggirare e che, a modo suo, detesta. Il suo abile inganno è, tutto sommato, un modo per prendersi gioco dell’arroganza e della superficialità degli aristocratici che detengono poteri e privilegi nobiliari senza alcun merito. Il ritratto che lo scrittore delinea della nobiltà siciliana di fine settecento, infatti, è quello di un gruppo di personaggi avidi, licenziosi, insignificanti e capricciosi e lo fa con un linguaggio costellato di arcaismi e di raffinati intrecci verbali che, in più di un’occasione, mi hanno fatto pensare a quelle sofisticate e sfarzose decorazioni rococò tanto in voga durante il XVIII secolo.
Edizione esaminata e brevi note
Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto, provincia di Agrigento, nel 1921. La sua prima opera, Favole della dittatura, risale al 1950. L’attività letteraria di Sciascia tocca vari ambiti, dalla narrativa con opere come Le parrocchie di Regalpetra (1956), Gli zii di Sicilia (1958), Il giorno della civetta (1961), Il Consiglio d’Egitto (1963), A ciascuno il suo (1966), Il contesto (1971), Todo modo (1974), La scomparsa di Majorana (1975), Candido (1977); alla saggistica: La corda pazza (1970), Nero su nero (1979); alle opere di denuncia sociale ed episodi veri di cronaca nera: Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971), I pugnalatori (1976) e L’affaire Moro (1978). Sciascia, nel 1979, accetta di candidarsi al Parlamento Europeo e alla Camera dei Deputati per il Partito Radicale. Riesce in entrambi gli ambiti, ma sceglie l’incarico di deputato, attività che porta avanti fino al 1983 occupandosi in maniera costante dei lavori relativi alla Commissione d’Inchiesta sul rapimento Moro. Le ultime opere di Leonardo Sciascia sono A futura memoria (pubblicato postumo) e Fatti diversi di storia letteraria e civile(1989). Lo scrittore muore a Palermo il 20 novembre del 1989. E’ sepolto a Racalmuto.
Leonardo Sciascia, “Il Consiglio d’Egitto”, Einaudi, Torino, 1967.
Da questo libro di Leonardo Sciascia, nel 2001, è stato tratto l’omonimo film diretto da Emidio Greco con Silvio Orlando, Tommaso Ragno, Renato Carpentieri, Antonio Catania e Marine Delterme.
Il libro è ora ripubblicato da Adelphi.
Leonardo Sciascia: Amici di Leonardo Sciascia / Wikipedia / Italica Ra
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