Allen Woody

Settembre

Pubblicato il: 11 Settembre 2006

A quasi dieci anni da Interiors, Woody Allen con Settembre dà vita alla sua seconda pellicola interamente bergmaniana. Nella cornice di una casa di campagna nel Vermont, in una giornata di fine agosto, sei persone si trovano a trascorrere una serata insieme. Stephanie (Diane Wiest), ospite dell’amica Lane (Mia Farrow) per l’intera estate, è una donna con un matrimonio in crisi e due figli che la attendono. Lane, donna insicura e insoddisfatta, vive un rapporto conflittuale con una madre (Elaine Stricht) le cui scelte di vita ne hanno segnato profondamente l’esistenza (un fatto di sangue dai risvolti poco chiari). Tra i convenuti, oltre al fisico Lloyd (Jack Warden), ultimo marito della madre, vi è anche Peter (Sam Waterston), giovane scrittore in crisi d’ispirazione di cui Lane è innamorata. Peter, dopo aver flirtato platonicamente nei mesi estivi con la padrona di casa, svela a Stephanie di essersi innamorato di lei da subito. Il sentimento è sostanzialmente contraccambiato, ma la condizione di precarietà familiare non consente alla donna di lasciarsi andare. E poi c’è l’amica Lane, come potrebbe tradire la sua fiducia dopo averne condiviso il disagio e le intime confidenze sull’uomo? Lungo la serata, però, tutti i nodi verranno al pettine: Stephanie e Peter si avvicinano sempre più e, nonostante un primo tentativo di resistenza della donna, si lasciano andare ad un bacio, inconsapevoli della presenza di Lane. Lane ha così modo di liberare la sua rabbia nei confronti di una madre annebbiata dall’alcol e dal proprio egoismo. Tutto crolla e, sulle ceneri dell’accaduto, nulla sembra poter rinascere a nuova vita.  L’estate sta finendo, il mese di settembre è in arrivo.

Girato in un arco temporale di ventiquattrore e interamente nelle mura domestiche, Settembre è un film dal solido impianto teatrale. Come accennato in fase d’introduzione, l’atmosfera è prossima a quella di Interiors, forse ancor più intimista, rigorosa e bergmaniana. Le suggestioni attinte da Ingmar Bergman richiamano varie pellicole, tra le quali Persona, Come in uno specchio e Sinfonia d’autunno. Ma è in generale tutta l’opera del maestro scandinavo ad essere qui omaggiata: una splendida fotografia intimista (dell’ottimo Carlo Di Palma), dei dialoghi serrati ma affatto verbosi o sincopati come quelli dell’Allen da commedia, tempi contenuti in una durata essenziale (83 minuti è più o meno la durata consueta alle opere di Bergman), misura degli attori ed un cinema-teatro degno del maestro scandinavo e non solo. Come in Interiors, è evidente l’influenza di Cechov.

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Totalmente ossessionato dalle perfezione stilistica – dopo aver girato il film una prima volta cambiò addirittura mezzo cast e si rimise al lavoro daccapo – , Allen si dimentica l’ironia: qui non ce ne è nemmeno un grammo. Tanto che gli spettatori meno avvezzi alle divagazioni bergmaniane non glielo hanno perdonato. Settembre infatti incassò pochissimo, ed è considerato un film minore della corposa filmografia del regista newyorchese, una pellicola che non lo rappresenta. Niente di più errato, a mio modo di vedere, perché Woody Allen ha dimostrato nella sua lunga e brillante carriera di essere un autore duttile, sperimentatore sapiente ed intelligente. Troppo facilmente lo inquadriamo nel genere comico-commedia, sia pure sarcastica e colta, ma non meno dignità hanno queste sue incursioni nel dramma da camera, genere che ha sempre padroneggiato con sicurezza, misurando con equilibrio la distanza da mettere con la commedia.

Ottimo il cast, in cui spiccano le prove di Dianne Wiest e dell’allora moglie del regista Mia Farrow, splendida la fotografia di Di Palma e, come immagino abbiate inteso, ottima regia teatrale di Allen che supporta l’atmosfera intima con le nostalgiche musiche di Loesser, Porter e Berlin. L’insieme degli elementi crea una miscela tenue che incontra un tempo dilatato evocante un mondo crepuscolare e malinconico, un universo in cui sembra non esistere alcuna via di fuga. Il fisico Lloyd, all’inizio del film, cita il famoso assunto del sociologo Niklas Luhmann: “Il tutto è più della somma delle parti”. Ma il tutto cui allude Allen non è che un insieme di particelle che vagano per ricongiungersi senza un preciso obiettivo. Perché Dio, probabilmente, nella sua ottica non esiste. E noi siamo comunque costretti a cercarlo: per trovar pace, per dare un senso alla nostra vita, per non credere che tutta l’immensa bellezza che ci circonda sia frutto del caso. Per questo siamo condannati all’infelicità. Quello di Settembre è forse il Woody Allen più manifestamente pessimista, o a suo modo realista, se volete. Sempre geniale e più che mai europeo nel suo modo di far cinema.

Federico Magi, settembre 2006.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Woody Allen. Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen. Direttore della fotografia: Carlo Di Palma. Montaggio: Susan E. Morse. Costumi: Jeffrey Kurland. Scenografia: Santo Loquasto. Interpreti principali: Denholm Elliot, Dianne Wiest, Mia Farrow, Elaine Stritch, Sam Waterston, Rosemary Murphy, Jack Warden, Jan Cecil, Ira Wheeler. Produzione: Jack Rollins, Charles H. Joffe – Orion. Titolo originale: “September”. Origine: Usa, 1987. Durata: 83 minuti.