von Trier Lars

Nymphomaniac

Pubblicato il: 30 Aprile 2014

Lars von Trier sarà anche molto amato, ma sicuramente è anche molto frainteso e incompreso, spesso da quelli stessi che lo ammirano. Fraintendimenti indotti, manovrati da lui stesso certamente a scopo pubblicitario e autopromozionale, ma sarebbe riduttivo interpretarli come marketing puro e semplice. Dalla stanza buia dell’antiumanesimo da cui guarda il mondo, Lars se la ride alle spalle di chi lo detesta, ma anche di chi lo ama. Anzi, manipolare i suoi stessi ammiratori è certamente parte del suo sottile godimento, come anche del suo nichilismo.

Con Nymphomaniac la manipolazione orchestrata da von Trier è partita da lontano, fin dai cartelloni pubblicitari: foto di orgasmi dei protagonisti e delle comparse del film, tanti orgasmi l’uno affianco all’altro come lattine Campbell’s soup di Warhol. E quale il target della macchina pubblicitaria? Non certo l’uomo della folla, a cui Youporn basta e avanza e che non sente alcun bisogno di andare al cinema a vedersi un porno d’autore. No, l’obiettivo erano i cinefili, fan e non fan di Lars von Trier, e noi devoti alla categoria estetica del Disturbante – Imperativo Unico dell’arte contemporanea –, dunque inclini a lasciarci accattivare dagli imbarazzanti orgasmi Campbell’s della cartellonistica stradale. È a noi che Lars ha lanciato l’esca di uno pseudo-porno, ovvero un porno triste, che non dà tutti gli orgasmi che promette nei cartelloni, e che sotto la veste trendy e molto contemporanea dello Sgradevole&Scioccante semina messaggi ben poco contemporanei. Sessuofobici, piuttosto.

 

Tra questi messaggi, quello della misoginia è il più marginale, nonostante appaia come il più evidente all’intellighenzia femministica, lenta a capire che la ginofobia di von Trier è solo una piccola parte di una più generale antropofobia, che è la sua personale griglia di comprensione dell’essere umano. Tutto il suo cinema si snoda come un lungo e prevedibile apoftegma sulla natura umana irrimediabilmente corrotta; e se da un lato è vero che nei suoi film la foemina è sempre abietta o in cerca di abiezione, è anche vero che i suoi personaggi maschili non godono di migliore reputazione, egoisti meschini o stupidi come sono, talmente cariati che a loro Lars non concede mai nemmeno quell’unica possibilità di redenzione – il martirio – che invece accorda ampiamente alle sue donne.

Ad ogni modo, anche Joe, la ninfomane protagonista di Nimphomaniac, rientra nella casistica di donne larsiane affamate di vie crucis e degradazione. La sua storia ha un esordio rock, con l’industrial metal dei Rammstein come soundtrack iniziale – e il rock è un altro dei travestimenti del regista fin dalle Onde del destino, serve a dargli una finta patente di contemporaneità, è un eccipiente con cui von Trier cerca di rendere commestibili e orecchiabili i suoi assunti reazionari. Tutto comincia in un vicolo dove Joe viene raccolta, sporca e tumefatta, da uno sconosciuto di passaggio, Seligman, che la conduce in casa sua e si fa raccontare la sua vita. Joe gli confida la sua storia di ninfomane senza un attimo di esitazione, e senza lesinare facili effetti: «Ho scoperto la mia fica a due anni», è l’incipit del racconto. Seguono la rievocazione delle prime masturbazioni infantili in compagnia di un’amica, il ricordo della figura materna («Una gelida stronza») e di quella paterna, dipinta con una certa stucchevolezza – un registro che non è alieno a von Trier, che vi inciampa spesso non appena la corazza del nichilismo o del grottesco cede per un attimo (penso a quegli squarci paesaggistici, leziosi e ipercolorati come nelle riviste dei Testimoni di Geova, che inframmezzavano i capitoli delle Onde del destino).

 

La macchinale perdita della verginità con il prescelto Jerôme (8 colpi in tutto, 3 davanti e cinque di dietro) è rappresentata con la didascalia numerica 3+5 in sovraimpressione sullo schermo. Immagini inutilmente didascaliche punteggiano anche il prevedibile parallelismo tra la pesca e la gara tra amiche “a chi ne scopa di più” in treno. È come se von Trier per primo dubitasse della potenza visiva del suo racconto (effettivamente qui meno elevata che in altri suoi film), tanto da sentirsi continuamente costretto a rinforzare le immagini con altre immagini di sostegno. Ma l’apice del delirio didascalico si raggiunge quando Joe racconta i suoi incontri di sesso con un certo G.: «Quando gli aprivo la porta non entrava subito, come un gatto quando aspetta nonostante la porta sia aperta [e qui la camera stacca su un gatto immobile che guarda fisso l’obiettivo]… Lui era molto più di un gatto, era una specie di giaguaro, o leopardo [stacco su un leopardo sonnecchiante nell’erba] … Era lui a comandare [stacco su G. che la prende da dietro mordendole il collo, stacco su un leopardo che azzanna sul collo un cerbiatto]».

«Sono un pessimo essere umano», si accusa Joe, e per definirsi recupera categorie come “peccato”, “lussuria”, ma svuotate di fede cristiana. Seligman ascolta il suo racconto senza sobbalzare, neanche quando le avventure narrate da Joe si fanno più torbide. Respinge la sua idea di peccato, riconduce i suoi comportamenti con ostinato scientismo a logici rapporti di causa effetto. Lars lo ha posto lì affianco al capezzale di Joe per incarnare il simbolo di una società idiota che non si scandalizza più di nulla e normalizza tutti i comportamenti sessuali: «Non capisco», le dice, «se hai le ali, perché non dovresti volare?» [e qui, stacco su un grande uccello che vola con le ali spiegate, ça va sans dire].

Tutto il sesso che von Trier mette in scena è bulimia o umiliazione (non poteva mancare una prolungata incursione di Joe nel sesso sado-maso con bondage e frustino vero, «non comprato in un sexy shop, questa non è una mascherata», le ordina il suo master). Per lui, la sua ninfomane è qualcosa di più che una semplice aberrazione della natura umana: è l’incarnazione più compiuta della natura predatoria e cannibalica del sesso, in cui l’altro è sempre e solo reificato, consumato, estinto. Esplode, insomma, quella colpevolizzazione del sesso cominciata in AntiChrist nella scena iniziale del bambino che cade dal balcone mentre i genitori stanno avendo un orgasmo (la scena si ripete anche qui, incredibilmente identica anche nella colonna sonora, il Lascia ch’io pianga di Haendel, solo che il finale è diverso: un’autocitazione? O l’ennesima manipolazione di personaggi e spettatori? Lars sembra dire Avrei potuto uccidere quel bambino anche stavolta, ma non ho voluto, oggi ho preferito fare il burattinaio buono …).

 

Fin qui, nulla da eccepire. Questa è la sua idea del sesso, condivisibile o meno, e un conto sono i contenuti di un’opera, un altro i suoi vizi di forma. Il problema con von Trier, però, è che la sua estetica è indistinguibile dalla sua psicologia, dalle sue coazioni a ripetere personaggi situazioni e tracciati che sembrano più il frutto di personali ossessioni che di consapevoli scelte artistiche. La piega che prendono i suoi personaggi e le sue storie è sempre innaturale, forzata, di qui il sapore di messa in scena, di inverosimile, di ridicolo che pervade i suoi film. Più burattinaio cattivo che regista, von Trier si accanisce sui suoi personaggi come un destino sadico, li costringe a forza in situazioni imbarazzanti o umilianti, apparecchia per loro una studiatissima passio. Tutto è preordinato, allestito, finalizzato a rappresentare un inevitabile scivolamento verso il peggio, il suo copione nichilistico sulla vita. Col registro del grottesco sa ancora cavarsela bene – la scena in cui una fantastica Uma Thurman, moglie tradita, si presenta a casa di Joe coi suoi tre figlioletti perché vedano con chi il padre andrà ad abitare è la migliore del film, ma anche quella in cui due africani si contendono gli orifizi di Joe non è male – perché è nel riso che il suo talento per la deformazione si può esprimere con più credibilità. Ma per il resto von Trier sta diventando sempre più univoco, sempre meno chiaroscurale e anche sempre più freddo (lo si legge persino sulla faccia immobile di Charlotte Gainsbourg, in genere molto vibrante, ma qui costretta al grado zero della sua espressività). Perché se nulla si salva – né l’amore, né l’amicizia, né il sesso – non si salva nemmeno il suo cinema. Desertificato dal suo stesso nichilismo.

Eppure piace, von Trier. Per il suo uso spregiudicato del sesso, per come pigia sul pedale del disturbante – e in questo è pienamente figlio del suo tempo, tanto che qui da noi Nymphomaniac ha ricevuto ampie lodi sia da qualche critico di gusti boccacceschi che da qualche bad girl della nostra narrativa. I quali forse non si sono accorti di come, dietro le apparenze suggestive della sgradevolezza, questo è un film che sovverte dalle fondamenta la percezione e i canoni di comprensione del sesso propri dell’Occidente attuale (per non dire di quelli tipici di ogni bad girl che si rispetti).

Ma, di von Trier, piace anche la sua controversa spiritualità, così nordeuropea, così cupa e protestante. Anche questo, un trompe-l’oeil. Un divertissement “satanista” che gioca ad appropriarsi di categorie cristiane e a pervertirne il senso: nelle Onde del destino, ad esempio, manipolava abnegazione e martirio, distorcendoli e piegandoli all’idolatria del soddisfacimento sessuale di un uomo malato; in Nymphomaniac, associa la flagellazione di Cristo alle frustate a sangue che Joe riceve dal suo master. Più in generale nei suoi film a Lars piace ammantare il suo sadomasochismo, tutto psicologico, di un’iconografia religiosa (levitazioni, visioni della grande meretrice di Babilonia, campane a stormo, richiami alla Grazia cristiana fin nel nome dei personaggi, e così via). Insomma, scarta il luterano e troverai il “satanista”. Scarta il satanista e troverai un abile mentalista.

 

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Lars von Trier

Soggetto: Lars von Trier

Sceneggiatura: Lars von Trier

Direttore della fotografia: Manuel Alberto Claro

Montaggio: Molly Marlene Stensgaard

Interpreti principali: Charlotte Gainsbourg, Stacy Martin, Stellan Skarsgård, Christian Slater, Uma Thurman, Shia LaBeouf, Connie Nielsen, Willem Dafoe, Mia Goth, Jean-Marc Barr.

Musica originale: Rammstein, D. Shostakovich, C. Saint-Saëns, Steppenwolf, G.B. da Palestrina, C. Franck, J.S. Bach, Talking heads, C. Gainsbourg, R. Wagner, L. van Beethoven, F. Haendel, W.A. Mozart

Scenografia: Simone Grau

Costumi: Manon Rasmussen

Produzione: Zentropa, Heimatfilm, Film i Väst, Slot Machine, Caviar Films, Concorde Filmverleih, Artificial Eye, Les Films du Losange, European Film Bonds

Durata: 240’; 330’ (versione estesa)

Articoli e approfondimento:

www.newyorker.com/arts/critics/cinema/2014/03/24/140324crci_cinema_denby?currentPage=all

www.theguardian.com/film/2014/feb/20/nymphomaniac-volumes-1-and-2-von-trier-bradshaw-review

www.cineuropa.org/nw.aspx?t=newsdetail&l=en&did=249677

www.indie-eye.it/cinema/news/nymphomaniac-vol-1-di-lars-von-trier-la-recensione.html

www.ilpost.it/christianraimo/2014/03/28/nymphomaniac/

Archivio Lanke:

www.lankelot.eu/cinema/von-trier-lars-melancholia.html-0

www.lankelot.eu/cinema/von-trier-lars-antichrist.html

www.lankelot.eu/cinema/von-trier-lars-il-grande-capo.html

www.lankelot.eu/cinema/von-trier-lars-dogville.html

http://www.lankelot.eu/2006/12/23/von-trier-idioti

Elettra Sammarco, aprile 2014