Autori Vari

UBS-Lugano. 633369 “Protezione”

Pubblicato il: 20 Febbraio 2017

Non sappiamo se andrà a buon fine la proposta di dedicare una via milanese a Bettino Craxi. In ogni caso l’iniziativa del sindaco Sala ci ha ricordato quanto sia ancora controversa la figura del leader socialista morto latitante ad Hammamet; nonostante le sue responsabilità legate al sistema tangentizio e le condanne passate in giudicato per corruzione e finanziamento illecito di partito. Va detto che da tempo molte pubblicazioni storico-politiche, o presunte tali, tendono a celebrare le virtù di Craxi presentandolo come statista di grande intuito e di solido riformismo. Dovremmo sapere che la parola riformismo, come del resto la parola giustizialismo, significa poco o nulla se non la si riempie di contenuti (basti pensare al governo Renzi, forse il peggiore dal dopoguerra), e proprio per questo motivo, per valutare una campana meno indulgente dei tanti post-comunisti in cerca di legittimazione e degli ex pentapartito con la coscienza sporca, non è una cattiva idea quella di rileggere “UBS-Lugano. 633369 Protezione” (Kaos edizioni): sostanzialmente la sentenza della III Sezione penale del Tribunale di Milano (magistrati Dott. Piero Gamacchio – Presidente: Dott. Patrizia Lacaita – Giudice; Dott. Raffaele Fulvio d’Isa – Giudice) che, nel 1994, ha condannato in primo grado Bettino Craxi, Licio Gelli, Silvano Larini, Leonardo Di Donna per concorso nella bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano.

Una vicenda a dir poco complicata che è possibile decifrare in prima battuta soltanto grazie alla “premessa” alla sentenza e al sempre valido wikipedia. E poi – chiaramente – con una lettura attenta delle carte processuali, un inquietante rashomon dei giorni nostri. I toni dell’anonimo prefatore non sono di quelli lievi: “I fatti si svolgono nel 1980-81, lungo l’asse Roma-Milano-Lugano, mentre la banda piduista controlla attraverso il suo potere occulto interi settori dello Stato, mentre la banda craxiana sta tentando di assumere definitivamente il controllo del Psi, e mentre il ‘banchiere di Dio’ e della P2 Roberto Calvi è ormai sull’orlo del crac” (pp.5). Un contesto ideale per combinare qualcosa di penalmente rilevante. E infatti, sempre secondo la versione presente in questo libro del 1996: “Di Donna, attraverso consociate estere dell’Eni, finanzia il Banco Ambrosiano Andino e accredita l’ormai screditato Calvi quale rappresentante in Canada dell’ente petrolifero di Stato. Le consociate estere del Banco Ambrosiano versano in cambio a Craxi una prima tangente di 7 milioni di dollari, che affluisce sul conto Protezione dell’Unione Banche Svizzere di Lugano (conto acceso dal prestanome craxiano Silvano Larini); l’intesa è che il Psi utilizzi la tangente per ripianare l’ingente esposizione del partito verso l’Ambrosiano (ma i famelici craxiani manterranno fede al pur criminoso accordo solo in minima parte, utilizzando il denaro soprattutto per consolidare il loro potere all’interno del partito” (pp.6). Poi le perquisizioni a Castiglion Fibocchi, la scoperta del conto 633369, la confessione di Calvi, Craxi che accusa la magistratura milanese di violenza intimidatoria e le inchieste che finiscono nel “porto delle nebbie” romane. Soltanto dopo l’avvento delle cosiddette “Mani Pulite” e i primi guai di Bettino Craxi, la magistratura, in presenza di una denuncia circostanziata di Giorgio Pisanò, riaprì il caso.

Quanto contenuto nel libro della Kaos edizioni rappresenta in realtà solo la prima fase processuale. Come sappiamo seguirono altri anni di processi e una sentenza della Cassazione  del 1999 che ha annullato (con rinvio) le precedenti condanne. Fu proprio Bettino Craxi a non vedere la fine di quel procedimento, estinto nel 2000 nemmeno a causa della consueta prescrizione ma per decesso dell’imputato.

L’ex leader Psi, anche se pochi lo vogliono ricordare, aveva intanto collezionato un bel po’ di processi, alcuni dei quali, schivata la già citata prescrizione, conclusi con condanna definitiva: 5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo ENI-SAI il 12 novembre 1996; 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le tangenti della Metropolitana Milanese il 20 aprile 1999.

Niente di tutto questo nel libro “UBS-Lugano” pubblicato mesi e anni prima, ma pur sempre documento importante che, al di là delle responsabilità penali (gravissime, se confermate), delineano un mondo di affarismo spregiudicato e di faccendieri senza scrupoli. Forse non proprio il salotto ideale per chi si vuole fregiare del titolo di statista.

“UBS-Lugano. 633369 Protezione” non è quel che si dice un bel libro: a parte la sintetica e rabbiosa prefazione, il testo possiede tutti i limiti (e in parte i pregi) che sono propri di una sentenza penale. Di certo questa storia del Craxi statista e del Craxi ladrone – la lettura di queste sentenze lo conferma – andrà avanti per molto tempo, forse non avrà mai fine, anche perché secondo molti italiani le sentenze passate in giudicato (e l’occupazione del potere) sono un dettaglio rispetto, ad esempio, ad un piglio decisionista, oppure rispetto a prese di posizione, pur coraggiose, come quella di Sigonella. Molti di coloro che hanno più a cuore il rispetto del settimo comandamento si troveranno semmai in sintonia con l’ultimo Montanelli (2000), che, in merito all’idea dei funerali di stato per il fu Bettino, si espresse con inusuale durezza: “Atto dovuto? Ma dovuto a chi? Anche a un latitante quale, dal punto di vista legale, era Craxi? Concedere i funerali di Stato a un latitante significa sconfessare la giustizia che lo ha condannato. […] Ma può lo Stato sconfessare la propria giustizia senza sconfessare se stesso? Mi sembra di vivere in un Paese che di senso dello Stato ne ha meno di una tribù del Ghana”.

Edizione esaminata e brevi note

Autori Vari, “UBS-Lugano. 633369 Protezione”, Kaos edizioni (collana Gammalibri. Rock books), Milano 1996, pag. 210

Luca Menichetti. Lankenauta, febbraio 2017