Lettera d’amore allo yeti di Enrico Macioci è un romanzo diverso dalla maggior parte delle opere che si trovano in circolazione. La scelta dell’autore è stata quella di comporre una storia che modulasse non solo tra diversi generi letterari, ma tra vari stati mentali ed emozionali.
La struttura è, per così dire, a chiasmo, perché la prima parte, più in linea con la narrativa realistica, è dominata da una condizione psicologica media di shock/turbamento (un padre, Riccardo, e un figlio di sei anni, Nicola, in vacanza a Colombaia, una località di mare, dopo che l’autunno precedente è morta d’infarto la moglie dell’uno e madre dell’altro). Poi, man mano che si va avanti, e soprattutto nella seconda metà, si procede sempre più verso il genere horror, ma al tempo stesso le emozioni si chiariscono e, sia pure per vie tortuose e sollecitate da eventi inquietanti, si pacificano.
In altre parole, siamo davanti a una sorta di viaggio iniziatico alla vita e alla sua scabra verità, veicolato dal dolore della perdita e da una crescita “a strappi”.
Riccardo s’interroga su cosa si agiti nella mente e nell’animo di suo figlio, con le sue compulsive domande sullo yeti, il mostro delle nevi che tanto lo affascina e al quale scrive una lettera, conservata in un cassetto. È qui che il piccolo “scarica” e al tempo stesso concentra il suo senso di perdita.
Ma la verità è che suo padre, sballottato tra il lutto e gli interrogativi sullo strano (ed enorme) vicino Teodoro Inverno, “orso” con tutti meno che con Nicola, sull’irritante signora Lepidi (altra condomina del complesso “Gli Ailanti”, dove trascorrono le ferie estive), nonché sui nuovi amici, il barista Walter e la bella animatrice Simona, spiragli di speranza in questa fase buia, si pone pure molte domande su se stesso. E una, in particolare: è veramente pronto per ricominciare?
Sullo sfondo di tutto questo, ecco emergere lo scenario perturbante del “Lemon Bar”, un baretto giallo a forma di limone, misteriosamente sempre chiuso, con una pineta e una radura nei pressi, dell’incontro e dell’innamoramento per Ismaela, donna affascinante e dai poteri sensitivi (percepisce in anticipo l’avvicinarsi di disgrazie nei dintorni, reagendo a tali attimi di chiaroveggenza con crisi simili a quelle epilettiche), e tutta una catena di eventi (misteriose sparizioni, in realtà verificatesi già in passato) che cominciano a inanellarsi, spiazzando completamente Riccardo e facendogli temere per suo figlio e per se stesso.
Eppure è qui, in questo pregnante mélange di una tonalità stilistica più tradizionalmente italiana – penso a certe pagine che mi hanno ricordato Renato Fucini e Federigo Tozzi – e di una di matrice più americana (l’autore è uno studioso di Stephen King, ma io ho colto anche riflessi, sia pur in chiave “marittima”, di certe descrizioni di John Steinbeck), che iniziano a chiarirsi le emozioni. In questo turbolento attraversamento dell’Ombra, in cui si sostanzia l’affacciarsi su un Oltre-vita allucinato, il protagonista, in simbiosi con suo figlio – nonostante i contrasti che vivono – arriva a conoscerlo e a conoscersi più in profondità. Ecco così che il romanzo rivela la sua vena archetipica, diventando una sorta di Bildungsroman fuori dagli schemi, perché la “crescita” avviene attraverso un’esperienza di confronto con il “sublime” in senso burkiano (come sottolineato dal Prof. Giuseppe Panella nei suoi saggi sull’argomento), ovvero tramite il contatto con la dimensione orrifica.
Resta allora la consapevolezza della sottile crosta, quasi una patina, che riveste la superficie delle cose, isolandole dai potenziali inferni dell’esistenza. La presa di coscienza del loro manifestarsi nella tranquilla quotidianità è una minaccia, sì, ma forse (il corsivo è d’obbligo) anche un passo fondamentale verso una maggiore capacità di resistenza e resilienza.
Ottimo terzo romanzo di Enrico Macioci, dopo lo sperimentale La dissoluzione familiare (Indiana) e la storia di sogni e passioni di provincia raccontata in Breve storia del talento (Mondadori).
Edizione esaminata e brevi note
Enrico Macioci è nato all’Aquila nel 1975. Si è laureato in Giurisprudenza con una tesi di diritto tributario e in Lettere Moderne con una tesi su Cuore di tenebra di Conrad. Ha pubblicato Terremoto (Terre di mezzo, 2010), La dissoluzione familiare (Indiana, 2012) e Breve storia del talento (Mondadori, 2015). Lettera d’amore allo yeti è il suo terzo romanzo. Collabora con “Repubblica”.
Enrico Macioci, Lettera d’amore allo yeti, Mondadori, 2017
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