“Canto della pianura” è il primo libro della “Trilogia della pianura“. A seguire, in ordine, “Crepuscolo” e “Benedizione” che, se tanto di mi dà tanto, dovrò leggere, necessariamente. Perché Haruf sembra essere una penna degna di ogni interesse. Le ragioni sono semplici esattamente come la sua scrittura. Haruf non riempie le pagine di nebulosi circuiti di parolastre, non si bea dello scrivere per il puro gusto di scrivere, non decanta personaggi insulsi e non annoia nemmeno per un istante. L’occhio di chi legge non può che godere di una scrittura pulita, semplice e luminosa e non può che apprezzare la spontanea geometria delle situazioni narrate e delle figure che popolano Holt, luogo immaginato ma palesemente ispirato alle cittadine reali delle sconfinate pianure del Colorado.
Le vite narrate in “Canto della pianura” sono vite qualunque: non particolarmente significative né insolitamente stellari. Gente che vive e, proprio per questo, soffre e sbaglia e cambia e cade e pulsa. Ogni personaggio si lega all’altro in un tessuto narrativo che si fa corale. Siamo nella provincia americana, come è facile intuire, quella che pare ancora a misura d’uomo, una misura che Haruf ha saputo raccontare magistralmente grazie ad un minimalismo che rispecchia l’autenticità del raccontato. Dialoghi scarni e diretti, senza virgolette. Haruf, evidentemente, scrive per sottrazione rimuovendo quel che non è necessario. Uno stile che, personalmente, apprezzo e stimo profondamente.
Ad Holt incontriamo, prima di tutti, Tom Guthrie. È lui che apre la storia quasi come un “c’era una volta”: “A Holt c’era quest’uomo, Tom Guthrie, se ne stava in piedi alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno“. Tom è un insegnante, ha due figli di nove e dieci anni, Ike e Bobby, e una moglie, Ella, che vive senza vivere, inghiottita da una depressione che le consente, solo di tanto in tanto, di accarezzare i suoi bambini. Ad Holt c’è anche Victoria Roubideaux, una sedicenne che scopre di essere incinta e che, per tale ragione, viene sbattuta fuori di casa da sua madre. La ragazza dapprima è ospitata dalla sua insegnante, e collega di Guthrie, Maggie Jones e poi trova rifugio nella fattoria dei fratelli McPherson, due anziani e solitari contadini scapoli che accettano di aiutare Victoria per istinto e, col tempo, per candido affetto.
C’è tanta umanità, in “Canto della pianura”. C’è la solitudine un po’ amara di Tom, la sofferenza buia e senza soluzioni di sua moglie, il cuore e la volontà di Ike e Bobby di rimanere aggrappati ad una madre che sembra dissolversi inesorabilmente. Delicata e ingenua, invece, Victoria. Lei che, innamorata per la prima volta nella vita, vorrebbe credere in colui che l’ha messa incinta e poi lasciata salvo capire che, in fin dei conti, rimanere in una fattoria con due vecchi fratelli che parlano di raccolti e di vacche è una soluzione forse un po’ anomala ma la migliore per sé e per la creatura che porta in grembo. Forme d’amore diverse e parallele: quella di un padre per i suoi figli, quella dei figli per una madre, quella di una ragazza adolescente per il figlio che sceglie di far nascere, quella di due goffi anziani per una ragazzina che si sforzano di capire e custodire.
Kent Haruf ha iniziato a scrivere tardi. Ed ha scritto poco. È morto nel 2014 per un problema polmonare. Si tratta, sicuramente, di uno di quegli scrittori “laterali” che trovano meno spazio e meno attenzione di quanto meriterebbero. All’editore NNE il plauso per aver tradotto e portato in Italia i tre volumi della “Trilogia della pianura” e “Le nostre anime di notte”. C’è poco altro da pubblicare, purtroppo, ma quello che Haruf ha scritto rimane degno di considerazione da parte di un lettore che voglia appassionarsi e lasciarsi coinvolgere, per chi, come indicato dall’editore, “ama spostarsi solo con il pensiero, meglio se in poltrona e sotto una coperta a scacchi rossi e blu, per chi riesce a sentirsi a casa anche solo con una finestra aperta sul cielo“.
Edizione esaminata e brevi note
Kent Haruf è nato nel 1943 a Pueblo, in Colorado. Suo padre era un pastore metodista e sua madre un’insegnante. Si laurea nel 1965 e, nella sua vita, svolge numerosi lavori. Nel 1973 si iscrive al “Writers Workshop” presso la University of Iowa dove viene notato da John Irving, suo insegnante. Nel 1976 diventa professore assistente presso la Nebraska Wesleyan University. Pubblica il suo primo racconto solo nel 1982 ma il successo arriva solo nel 1999 grazie a “Canto della pianura”. Haruf ha 56 anni ed ottiene recensioni positive da diverse importanti testate. Il romanzo vince il Mountains & Plains Booksellers Award, il Maria Thomas Award ed è finalista al National Book Award e al New Yorker Book Award. Haruf lascia così il suo lavoro di insegnante e si dedica alla scrittura. Nel 2004 esce “Crepuscolo” e nel 2013 “Benedizione”, i due libri che fanno da seguito a “Canto della pianura”. Il 30 novembre 2014 Kent Haruf muore per una malattia polmonare. “Le nostre anime di notte” esce solo nel 2015.
Kent Haruf, “Canto della pianura“, NNE, Milano, 2015. Traduzione di Fabio Cremonesi. Titolo originale “Plainsong” (1999).
Pagine Internet su Kent Haruf: Wikipedia / Scheda NNE / Facebook
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