Abercrombie Joe

Non prima che siano impiccati

Pubblicato il: 30 Marzo 2016

“Non prima che siano impiccati” ci è apparso subito un titolo un po’ anomalo per un romanzo epic-fantasy, privo di suggestioni sia “epic” che “fantasy”. Non sappiamo perché sia stata scelta proprio la citazione tratta da Heinrich Heine, “Ognuno dovrebbe perdonare i propri nemici, ma non prima che siano impiccati”, in testa alla prima parte del romanzo (da qui il titolo), ma a pensarci un attimo, soprattutto se già lettori del primo volume della trilogia “La prima legge”, certo sarcasmo risulta in sintonia con lo stile di Joe Abercrombie e soprattutto con la rappresentazione dei tanti personaggi che popolano la saga. “Non prima che siano impiccati” inizia dove finiva “Il richiamo delle spade”, come in ogni serial che si rispetti, e di pagina in pagina si alternano vecchie conoscenze impegnate ora in tre micidiali avventure che, al momento, scorrono parallelamente in luoghi lontani e che risulta chiaro in qualche modo si incontreranno ancora nel terzo ed ultimo romanzo “L’ultima ragione dei Re”.

Da una parte abbiamo l’Inquisitore Glokta inviato nel sud dell’Angland, presso la città di Dagoska assediata dall’esercito dei Gurkish (popolazione che ricorda i mediorientali mussulmani), col compito di scovare i traditori che hanno fatto sparire nel nulla un suo collega inquisitore; per di più dovendo difendere ad ogni costo una città comunque destinata ad essere devastata dal nemico. Contemporaneamente si apre un altro fronte a nord dove i clan agli ordini di Bethod hanno violato il confine dell’Angland e stanno seminando caos e violenza. A fronteggiarli il ridicolo Principe Ereditario Ladisla con le sue truppe, “le più scalcagnate e peggio addestrate che il mondo ricordi”. In marcia verso est, ai confini del Mondo Circolare, intanto prosegue la marcia di Bayaz, il Primo Mago, accompagnato dagli avventurieri che avevamo iniziato a conoscere nel “Richiamo delle spade”: Logen Novedita detto il Sanguinario, l’uomo più temuto del Nord; Jezal dan Luthar, un giovane ufficiale tanto abile come spadaccino quanto superficiale e pieno di sé; Ferro, una donna nera, letale, assetata di vendetta nei confronti dell’Impero Gurkish, e probabilmente con qualche traccia di sangue demoniaco. Ovviamente molti altri sono i personaggi degni di essere menzionati e tra l’altro già presenti sia nel precedente romanzo sia in “Heroes”; ma non è questa la sede per una disamina puntuale di tutte le vicende della saga. Semmai, anche a costo di risultare ripetitivi, possiamo tornare alle caratteristiche del fantasy targato Abercrombie, tra conferme ed alcune novità. “Non prima che siano impiccati”, in linea con quanto avevamo letto nel precedente volume, propone un racconto indubbiamente catalogabile come fantasy ma con un linguaggio e descrizioni che non hanno niente di fiabesco e lo rendono adatto ad un pubblico adulto (o per adulti accompagnati da ragazzini). E fin qui niente di nuovo rispetto a quanto è stato scritto in merito al “Richiamo delle spade”. Stile e contenuti sono in gran parte confermati: un periodare che ci risparmia quella monotonia altrimenti spesso presente nella letteratura di genere, molto sangue, situazioni cruente, crude ma non prive di umorismo nero, grande attenzione alle psicologie dei personaggi, anche quelli apparentemente di contorno, colti per lo più nel loro lato più oscuro e letale. Anche i cosiddetti “buoni”, o quelli che appaiono tali, prima o poi nel mondo fantastico di Abercrombie svelano qualcosa di inquietante. Ad esempio il maggiore e poi colonnello West, che pure di pagina in pagina mostra buon senso e umanità in un contesto militare di inetti e arroganti, vive dei momenti nei quali perde la trebisonda, tanto da giustiziare in un impeto di rabbia il Principe Ereditario e da meritarsi il soprannome di “Il Furioso”. Poi Ardee, la sorella di West, talmente accanita su uno strozzino in disgrazia da far pensare all’amico inquisitore Glokta che la giovane fanciulla avrebbe tutti i numeri per diventare Pratica, ovvero torturatrice professionista. E ancora Logen Novedita, descritto sicuramente come un simpatico selvaggio del Nord in cerca di pace dopo anni di guerre sanguinose, ma che di tanto in tanto sembra mostrare qualche problemino di una personalità scissa: è il Sanguinario perché nella foga del combattimento gli può capitare di perdere contatto con la realtà, e come fosse una sorta di serial killer prestato al fantasy, non riconosce più nessuno, va in trance ed inizia ad ammazzare tutti, amici e nemici.

Questa attenzione alla psicologia dei protagonisti è poi ancora più evidente quando appare Glokta, inquisitore ed ex ufficiale che tortura per professione e che, ormai un rottame d’uomo, vive sulla sua pelle gli effetti di torture subite quando era prigioniero dell’Impero Gurkish: alla terza persona del racconto si affiancano i corsivi che rappresentano il flusso del pensiero di Glokta, vittima diventata carnefice, tra dubbi, cinismo che a volte traballa, paure e la consapevolezza del suo ruolo spietato e senza vie d’uscita. Confermato quindi il paradosso, del resto proprio del filone contemporaneo, di un fantasy raccontato senza troppe remore, senza alcuna intenzione di edulcorare situazioni che, col loro realismo sanguinoso, potrebbero tranquillamente trovare spazio in un racconto di guerra o comunque in qualcosa di molto poco fantastico. Diverso discorso semmai per quanto riguarda l’elemento sovrannaturale che, quasi dando sostanza al realismo applicato al fantasy, in “Heroes” sembrava assente, molto limitato in “Il richiamo delle spade”, ma che in questo secondo volume, grazie al racconto di Bayaz, si dispiega in maniera evidente nello svelare il significato della “Prima Legge”: il divieto di comunicare con i demoni dell’aldilà, una sorta di diga per preservare l’umanità dal caos dei «giorni antichi” quando “il nostro mondo e il mondo sotterraneo convivevano sulla terra» (pag. 146).

Nel mondo civilizzato e razionale dell’Angland i racconti di Bayaz, che nelle vesti di “Primo Mago” si propone come testimone di tempi antichissimi, sono considerati per lo più frutto di puerili fantasie, ma i suoi compagni di viaggio presto si renderanno conto di come ci sia ben poco da scherzare di fronte alle sue parole. Le apparizioni di antichi sodali di Bayaz, fenomeni sovrannaturali e la presenza dei temibili Shanka, esseri subumani che già erano apparsi nei territori del Nord, saranno ottimi argomenti per riconsiderare il proprio scetticismo. Anche Glokta, coinvolto in una vicenda che si colora di mistery e di atmosfere decisamente horror, si trova alle prese con la violazione della cosiddetta “Seconda Legge”, ovvero non mangiare la carne dei propri simili. Quella che sembrava l’ennesima leggenda invece si rivela tragicamente vera in un Impero Gurkish che pullula di “mangiatori”. L’Inquisitore, come in una sorta di contrappasso per un suo atto di pietà, rischia di venire divorato da una quattordicenne che inaspettatamente si scopre essere una “mangiatrice”: «La sua voce sembrava differente, più profonda, più dura, e c’era qualcosa di diverso anche nel suo volto […] Harker ti aveva preso! Quell’idiota ti aveva catturato per sbaglio e io ti ho liberato! E pensavo di essere l’eroe” […] Cos’è successo a Davoust? La ragazzina sorrise mostrando denti bianchissimi e appuntiti. “Non ha mai lasciato questa stanza”. Si accarezzò dolcemente lo stomaco. “È qui” […] “d’improvviso l’arto iniziò a muoversi, l’osso tornò al proprio posto all’interno della carne e nel distendersi produsse un disgustoso scricchiolio. Le dita si contrassero, scattarono e poi presero a grattare il pavimento, protese verso la caviglia di Glokta» (pag. 327). Il romanzo, com’era prevedibile, s’interrompe senza un vero epilogo e con la conferma di una narrazione efficace sopratutto quando volge al mistery, all’horror oppure all’introspezione psicologica piuttosto che agli elementi più propriamente fantasy (si veda il racconto di Bayaz sui Tempi Antichi) che, con una mitologia e cosmogonia inedita e quindi da assimilare pagina dopo pagina, magari potrebbero risultare più convenzionali ed in linea con i classici del genere. Tra tante incertezze almeno una certezza: ne sapremo di più il prossimo anno quando avremo tra le mani “L’ultima ragione dei Re”.

Edizione esaminata e brevi note

Joe Abercrombie, è nato a Lancaster nel 1974. È il 2002 quando, allora studente di Psicologia all’Università di Manchester, pensa di scrivere una trilogia fantasy e inizia la stesura del primo episodio. Trasferitosi a Londra, lavora come montatore freelance e produttore di format televisivi di vario tipo e termina di scrivere quello che diventerà The Blade Itself. Gollancz ha acquistato i diritti, vincolando Abercrombie a pubblicare l’intera serie. A The Blade Itself (2007) sono seguiti They Are Hanged e Last Argument of Kings (2008). La trilogia The First Law si è rivelata un grande successo tra i lettori anglosassoni.

Joe Abercrombie, “Non prima che siano impiccati”, Gargoyle,  Roma 2013, pag.704. Traduzione di Benedetta Tavani

Luca Menichetti. Lankelot, agosto 2013