Quanto leggiamo sulla collana “TransExPress”, proprio in apertura del libro “Beslan nessun indagato”, appare impegnativo: “contro la disinformazione, le falsità. Contro se stessi. Le presunzioni che ci caratterizzano sono l’indizio più evidente della nostra scarsa obiettività. Divisi in schieramenti siamo tutti accumunati dalla menzogna. La verità è sminuita, trascurata, quasi sempre distorta. I libri di questa collana cercano di ristabilire un equilibrio, e sono scritti da chi non ha interessi da difendere né ha bisogno di piegare i dati, falsandoli, a ragioni economiche o politiche”. Di sicuro le verità di “Beslan nessun indagato” potranno infastidire molti dei nostri concittadini filorussi, e far pensare, al contrario di quanto affermato dai responsabili della Carabba editrice, che le ragioni economiche e politiche per una diffusione di dati fasulli ci siano tutte. Noi, che invece non siamo affatto ammaliati dal regime putiniano, abbiamo trovato la testimonianza di Ella Kesaeva credibile e di grande interesse: l’ennesima conferma che la speranza di vedere una Russia post-comunista, realmente disintossicata dalle consuetudini del Kgb, è durata soltanto pochi anni. Intendiamoci: al di là del linguaggio privo di velleità letterarie, il libro di Ella Kesaeva va inteso appunto come testimonianza, importante per il suo valore documentario. Importante perché c’è da immaginare che in Occidente ci sia poca informazione sui fatti di Beslan, al netto della propaganda governativa e dei media compiacenti. Tutto accadde tra il 1° e il 3 settembre 2004 quando “nella scuola Numero 1 di Beslan, nell’Ossezia del Nord, una repubblica autonoma nella regione del Caucaso nella federazione russa, dove un gruppo di 32 ribelli fondamentalisti islamici e separatisti ceceni occupò l’edificio scolastico sequestrando circa 1200 persone fra adulti e bambini. Tre giorni dopo, quando le forze speciali russe fecero irruzione, fu l’inizio di un massacro che causò la morte di centinaia di persone, fra le quali 186 bambini, ed oltre 700 feriti” (fonte: wikipedia). Ricordiamo ancora che è stato su suggerimento di Anna Politkovskaja, la giornalista assassinata nel 2006, che Ella Kesaeva, nelle sue vesti di presidente di”Golos Beslana” (La voce di Beslan), si è rivolta alla Corte di Strasburgo. A seguito di questo ricorso, presentato con grande difficoltà vista l’ostilità delle autorità russe, i giudici europei, nel luglio 2015, hanno accolto la maggior parte dei ricorsi presentati dall’associazione, tra cui la violazione degli obblighi di Stato da parte del governo e l’impiego scriteriato di lanciagranate e lanciafiamme. La strage Beslan, e sopratutto tutti i depistaggi che ne sono seguiti, in questo libro sono raccontati da Ella Kesaeva, una donna che ha visto morire i suoi familiari nella mattanza e che da allora è diventata a tutti gli effetti una dissidente. Un po’ come avveniva ai poco gloriosi tempi dell’Urss. Pagine in cui grava il sospetto che l’attacco terroristico alla scuola, condotto in maniera anomala e con un unico guerrigliero superstite, Nur-Pasha Kulaiev, volutamente non sia stato fermato per tempo. Se non peggio.
Difatti, come scrive la Kesaeva: “subito dopo l’attentato terroristico, il 10 settembre 2004, la Duma di stato ha abolito il diritto dei cittadini di partecipare alle elezioni dei governatori regionali. Una legge, questa, approvata dietro la pressione esercitata dal presidente russo, e nascosta dietro il pretesto delle tante vittime innocenti sacrificate nella città di Beslan” (pp.162). Tutto questo in una Russia che si ritiene ormai sotto il controllo dell’FSB, ovvero l’ex Kgb. Il libro edito dalla Carabba di Lanciano è innanzitutto il racconto di quanto subito dai familiari delle vittime da parte delle autorità russe, minacce, silenzi, intimidazioni, diffamazioni, falsità, delle manovre (riuscite) per rompere il fronte di coloro che pretendevano la verità sull’attentato, delle incongruenze della ricostruzione ufficiale, del motivo per cui i “corpi di centosedici della trecentoventuno vittime erano bruciati” (pp.76). Infatti, secondo quanto si evince dalle parole di Jurij Savel’ev, un eminente studioso nei campi della balistica e della plasmo-gasdinamica, l’intervento dei corpi speciali russi è stato devastante: “gran parte degli ostaggi che si trovavano all’interno della palestra morì a causa di queste prime due esplosioni. Dopodiché le forze speciali fecero irruzione nella scuola. Il rapporto riferisce che l’ordine di spegnere le fiamme disposto dal generale-Maggiore dell’FSB Valerij Andreev, a capo della centrale operativa giunse solamente alle 15 e 10 minuti, mentre le prime cisterne d’acqua raggiunsero l’edificio alle 15 e 28 minuti, vale a dire ben due ore e mezza dopo lo scoppio dell’incendio” (pp.104). L’uso strumentale dell’attentato di Beslan per instaurare ancor di più “un potere verticale” è stato quindi denunciato dall’associazione “Golos Beslana”, col supporto di fatto dei pochi giornalisti indipendenti presenti in Russia, tra i quali Elena Valerievna Milashina, inviata di Novaja Gazeta. Una battaglia di verità che ha visto protagonista l’autrice di questo libro-testimonianza, tanto da diventare, come scrive Massimo Bonfatti nell’introduzione, un’esperta di balistica, sempre “affrontando o poteri forti, scontrandosi con chi non voleva e non vuole capire, manifestando all’addiaccio, scioperando, respingendo tutte le macchinazioni per bloccare l’attività di Golos Beslana, raccogliendo in maniera certosina e volutamente maniacale le prove del massacro e le testimonianze […] ergendosi a investigatrice e ad autrice dei dossier presentati alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo” (pp.31). La testimonianza della Kesaeva è preceduta da alcune pagine di Carlo Spera che inquadrano bene la geografia di Beslan, la cronistoria dell’attentato e le macerie materiali e morali che ne sono conseguite: “con le unghie delle dita le si riempiono di brandelli di pelle e sangue. Il terrore, e il sentimento d’impotenza che sempre lo accompagna, sono diventati gli ingredienti principali della sua vita; elementi chimici che scorrono nelle sue vene. Un male oscuro, totale, inspiegabile e, allo stesso tempo, trasparente, limpido, autentico” (pp.26).
Edizione esaminata e brevi note
Ella Kesaeva, è nata il primo settembre 1963 nel villaggio di Chaznidon, in Ossezia del Nord. Nel 1967, insieme alla famiglia, si è trasferita a Beslan dove ha frequentato la Scuola n°1 dalla prima alla decima classe. E’ stata chimico e microbiologo fino al giorno dell’attentato terroristico che ha colpito la Scuola n° 1 di Beslan.
Ella Kesaeva, “Beslan nessun indagato”, Carabba (collana Transexpress), Lanciano 2015, pp. 180. Introduzione di Massimo Bonfatti.
Luca Menichetti. Lankelot, ottobre 2015
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