Il titolo “Se avessi qui Mussolini…” è indubbiamente piuttosto disinvolto e si potrebbe pensare tutt’al più ad un saggio divulgativo o ad un’operazione editoriale facile facile, alla stregua dei tanti imitatori di Giampaolo Pansa. Il libro di Fabio Montella, incentrato sulle vicende della comunità italiana a Ginevra e in Alta Savoia tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, in realtà è ben altro e non è difficile cogliere quanto ogni pagina scritta sia frutto di ricerche attente e approfondite: del resto le note a piè di pagina e una ricchissima bibliografia sono più frequenti in testi di origine accademica. Al di là di ogni definizione Montella ha evidentemente scandagliato in profondità diversi archivi: dai fascicoli della polizia segreta conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, passando per i documenti degli Archivi di Giustizia e Libertà fino alle carte presenti nel Fondo Fernando Schiavetti, entrambi depositati presso l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana.
Ne sono scaturite numerose storie di vita di notissimi esuli antifascisti – tra i quali Lussu, Rosselli, Pacciardi, Chiostergi, Reale, Garosci, Silone – ma in particolare di personaggi oggi del tutto dimenticati, tanto che spesso possiamo leggere le date di nascita ma non quelle di morte, come fossero svaniti nel nulla. Eppure negli anni del fascismo questi esuli, come ci racconta Montella, non erano stati certo in disparte, ammutoliti dalla repressione della dittatura, ed anzi erano stati protagonisti di innumerevoli iniziative “sovversive” e di solidarietà. Erano fuoriusciti molto diversi per estrazione sociale e ideologia, repubblicani, socialisti, liberali, cattolici, comunisti, anarchici e giellisti, sempre sul punto di darsele di santa ragione. Da questo punto di vista risulta che nella città di Ginevra, palcoscenico internazionale anche negli anni Venti, la lotta politica antifascista e quella tra antifascisti fu particolarmente intensa, tra caffè, ritrovi, comizi, negozi, case private.
Del resto che “la città di Calvino” avesse una sua vocazione di casa degli esuli ci viene ricordato fin dalle prime pagine: “Benito Mussolini, che aveva soggiornato a Ginevra nel corso del suo vagabondare come agitatore, conferenziere e pubblicista del giornale ‘L’Avvenire del lavoratore’ organo dei socialisti italiani in Svizzera […] Mussolini aveva vissuto a Ginevra un’intensa esperienza cosmopolita, influenzata, più che dall’internazionalismo politico, dalla frequentazione del mondo universitario fuori e dentro le aule accademiche” (pp.15).
Pochi anni dopo molti socialisti si ritrovano quindi esuli negli stessi luoghi dove si era rifugiato il loro ex compagno, partecipando ad una lotta politica sempre più accanita, complicata dalle reciproche diffidenze e differenze. A riguardo Montella approfondisce giustamente in merito alle “frizioni” esistenti tra i seguaci di Stalin e di Bakukin e, per fare un esempio che non contempla i luoghi dell’Alta Savoia e di Ginevra, ricorda anche la figura di Fosca Corsinovi, “testimone di uno degli episodi più tragici del dissidio tra comunisti e anarchici: l’assassinio del suo compagno, Francesco Barbieri, e di Camillo Berneri, nel maggio del 1937” (pp.177).
Conflitti e macchinazioni che – qui forse la parte più interessante del saggio di Montella – furono anche condizionati da infiltrati e confidenti del regime, in particolare dell’OVRA. Ad esempio leggiamo nel capitolo dedicato a “L’antifascismo dopo la morte di Pedroni e Rosselli”: “Il 10 novembre 1938, giovedì, la sezione socialista di Ginevra si riunisce per discutere dei rapporti col Partito comunista. Tra i presenti c’è la spia Mario Carletti, che nella sua relazione ai Ministero svela a quale livello sia arrivato il proprio lavoro di infiltrato. Secondo il racconto di Carletti, la sezione socialista ginevrina vota all’unanimità il suo punto di vista contrario all’accordo con i comunisti, come concordato con il capo della polizia politica”. Insomma, “emerge come i confidenti non siano soltanto decisivi nel mettere in luce le trame dei fuoriusciti” ma anche la loro utilità “a condizionare le stesse attività e scelte degli esuli” (pp.249).
Molte poi le vicende spionistiche ancora non del tutto chiarite. Montella racconta la storia del fratello di Zamboni, attentatore del Duce, e di Graziella Roda: “espatriato come anarchico e divenuto confidente dell’OVRA grazie all’attrice della quale si era innamorato, ella stessa infiltrata tra gli antifascisti in esilio per screditarne la reputazione”. L’obiettivo principale era Pacciardi, ma poi “le indagini della polizia elvetica sulle attività del nucleo di spie di Lugano svelano presto la fragilità della loro macchinazione”. Quel tanto però da scuotere profondamente “l’ambiente antifascista, anche per la notorietà e il significato del cognome Zamboni” (pp.131).
Di sicuro non soltanto un susseguirsi di intrighi e doppi, tripli giochi. Nell’area ginevrina e dell’Alta Savoia il variegato e litigioso gruppo di antifascisti riuscì ad esprimere una solidarietà che darà i suoi frutti per lunghi anni: pensiamo alla fondazione della colonia estiva di Saint-Cergues – a cui è dedicato l’ultimo capitolo del libro – rifugio di esuli provenienti da tutta Europa e poi asilo sicuro per molti bambini ebrei in fuga dai nazisti. Ed è proprio intorno a questo luogo periferico che si registrano alcuni episodi che dimostrano la “maturazione” dei “semi di solidarietà e giustizia sociale” auspicati dagli italiani esuli fin dall’inizio degli anni Trenta: “Il 15 maggio 1944 il Prefetto dell’Alta Savoia chiede a tutti i sindaci di recensire gli ebrei francesi e stranieri esistenti nei comuni del Dipartimento. La nuova direzione dei Fuochi fatui [ndr: il nuovo nome della colonia] invia una lista di diciannove bambini, tra i quali dieci polacchi, cinque belgi, due tedeschi, un russo e un apolide. L’elenco viene nascosto in un cassetto del Municipio da un dipendente comunale. Quel foglio, che avrebbe decretato la condanna a morte dei diciannove giovanissimi ospiti, non arriverà mai alle autorità di Vichy” (pp. 264).
Edizione esaminata e brevi note
Fabio Montella, modenese, nato a Mirandola nel 1969, è giornalista professionista e ricercatore di Storia contemporanea. Al suo attivo, collaborazioni con: La Società editrice il Mulino (Bologna), Le Monnier (Firenze) e le Edizioni Unicopli (Milano). Ha pubblicato diversi saggi e volumi sulla Storia sociale e politica del Novecento. Tra i suoi più recenti lavori: la voce Modena, in “Abbasso la guerra! Neutralisti in piazza alla vigilia della prima guerra mondiale in Itali”a, a cura di F. Cammarano (2015); il saggio” Cure e protesi per i mutilati: esempi di riabilitazione”, in “Guerra e disabilità. Mutilati e invalidi italiani e primo conflitto mondiale”, a cura di N. Labanca (2016); la curatela dei volumi “Dal garage al distretto. Il biomedicale mirandolese. Storia, evoluzione, prospettive”, con F. Mosconi (2017), e “Superare Caporetto: l’esercito e gli italiani nella svolta del 1917”, con L. Gorgolini e A. Preti (2017).
Fabio Montella, “Se avessi qui Mussolini… Antifascisti, fascisti e spie del regime tra Ginevra e Alta Savoia”, MnM Print, Poggio Rusco 2018, pp.326
Luca Menichetti. Lankenauta, maggio 2018
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