Leggendo il libro di Masha Gessen è possibile che, nonostante la distanza siderale tra la personalità di un celebre scrittore americano e quella di uno stupefacente matematico russo, possano venire alla mente le parole di Francis Scott Fitzgerald, pubblicate nel 1936 in “The Crack-Up”: “Il banco di prova di un’intelligenza di prim’ordine è la capacità di tenere due idee opposte in mente nello stesso tempo e, insieme, di conservare la capacità di funzionare”. Parole spesso citate ma che nel caso di Grigori Perel’man forse si adattano poco e che mettono in luce come genialità e intelligenza non abbiano lo stesso significato. Concetto che in fondo è stato messo nero su bianco, ragionando al contrario, dall’amico Golovanov, interrogato da Masha Gessen: “Griša era tutt’altro che stupido” (pp.80).
La biografia di Griša – Grigori Perel’man (nato a San Pietroburgo nel 1966) peraltro è ben inquadrata nel contesto sociale e scientifico degli ultimi anni dell’Urss, di un ambiente accademico matematico fortemente condizionato dalla discriminazione degli studenti ebrei. Eppure – qui viene subito in evidenza la particolarità di questo personaggio dalla mente colossale e nel contempo paradossale – Perel’man, secondo quanto riferiscono colleghi e suoi docenti “non ha mai creduto all’esistenza di forme di antisemitismo in Unione Sovietica” (pp.80). Va considerato infatti che “le umiliazioni che gli studiosi, specie quelli di origine ebraica, erano costretti a subire per mano sistema sovietico non avevano nulla a che fare con la pratica della matematica e non potevano in alcun modo influire sulla mente di uno scienziato […] Chi, invece, entrava a far parte dell’establishment matematico avrebbe ottenuto un ufficio e uno stipendio, un appartamento assegnato dall’Accademia delle Scienze, e in qualche caso persino la possibilità di viaggiare all’estero – ma in cambio doveva sottostare all’ideologia, alle discriminazioni e alla corruzione. La mente monopolizzante di Perel’man non poteva concepire una simile dicotomia” (pp.125).
Secondo quanto ci racconta Masha Gessen, eccellente giornalista e scrittrice con formazione scientifica, il cervello di Griša Perel’man – una mente matematica che non era né visuale, né numerica, una mente che ragionava per sistemi e procedeva per definizioni – era nato per la topologia [ndr: “la quintessenza della matematica, il regno delle categorie pure e dei sistemi chiari, senza la minima interferenza”]”(pp.50); ma soprattutto “si aspettava che anche il resto del mondo seguisse le sue regole e non si immaginava che gli altri non ne fossero a conoscenza”(pp.105). Sostanzialmente non faceva altro che mettere in pratica, senza alcun cedimento, valori quali l’onestà, intesa come necessità di dire sempre la verità; al punto di “considerare un vero e proprio plagio un sistema di note approssimativo” (pp.105). Oltretutto la sua formazione scolastica ed accademica, in mezzo ad altri genietti, gli “aveva perfino impedito di accorgersi delle tensioni esistenti tra il mondo degli esseri umani e quello della matematica” (pp.76). Un “perfetto rigore” proprio dell’uomo Perel’man che va quindi ben oltre il significato della celebre frase di Poincaré.
Il racconto della vita e della formazione di questo eccentrico personaggio, dedito alla matematica con impegno a dir poco monacale, prosegue per poi approdare al fatidico 2002, l’anno in cui, dopo un decennio di studio, Griša riuscì a dimostrare la congettura di Poincaré, considerata uno dei cosiddetti sette enigmi del secolo, forse il più inaccessibile dei problemi che riguardavano la topologia. Una storia non priva di misteri e tragedie proprio perché “costellata di mentori geniali e strane manie, amici e nemici, successi e delusioni” e che, proprio a seguito di questo strepitoso successo scientifico, ha avuto un epilogo tanto inatteso quanto plausibile se si guarda alla personalità eccentrica di Perel’man, rigida, ipercritica.
Il merito di aver dato una soluzione alla congettura di Poincaré, dopo mesi di approfondimenti in un ambiente scientifico in subbuglio, e dopo qualche maldestro tentativo di plagio da parte di colleghi stranieri, fu finalmente attribuito a Grigori Perel’man; ma a quel punto la delusione del matematico russo per l’ambiente accademico – “inorridiva all’idea di diventare il trofeo di una qualche università” (pp.189) – fu tale da fargli respingere tutti gli onori che gli venivano tributati: “rifiutò il premio Clay da un milione di dollari, nonché prestigiose cattedre universitarie e la medaglia Fields, l’equivalente del Nobel per la matematica”. Per di più Perel’man, rivendicando rabbiosamente la sua coerenza di scienziato, ha lasciato il suo lavoro, pare abbia tagliato i ponti con gli studi matematici – in realtà nessuno sa cosa combini -, negandosi agli amici e alla stampa, ritirandosi in uno squallido appartamento nella periferia di San Pietroburgo”. In assenza allora del vivente ma inafferrabile Grigori Perel’man, la biografa Masha Gessen, autrice peraltro di un bel libro, rigoroso nell’analizzare le personalità spesso disturbate dei geni matematici ed altrettanto spesso in balia di una disturbante società sovietica, ha messo insieme molte delle testimonianze raccolte su Griša, ha valutato il suo comportamento sociale ed affettivo, ed è giunta ad ipotizzare che tra le ragioni profonde del “gran rifiuto” ci possa essere la sindrome di Asperger, una variante dell’autismo – o per meglio dire un “disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento” – i cui effetti collaterali talvolta possono sfociare nella genialità.
E’ anche vero che diventa quasi imbarazzante leggere che Grigori Perel’man, eccentrico finché si vuole, totalmente disinteressato al denaro, dedito, fin da giovanissimo e ad ogni ora del giorno, alla risoluzione di problemi matematici, abbia rivelato la sua pazzia – così alcuni organi di stampa ma certamente non la biografa Masha Gessen – quando poi la sua particolare idea di coerenza, la sua brutale onestà era già nota a colleghi e a tutti coloro che lo avevano conosciuto. Forse anche a causa della sindrome di Asperger, Perel’man era comunque destinato sia a svelare il suo assoluto genio matematico, sia poi ad isolarsi dal mondo: tutto quello che lo ha fatto diventare una sorta di leggenda vivente, suo malgrado.
Edizione esaminata e brevi note
Masha Gessen, è una scrittrice e giornalista, traduttrice e attivista per i diritti LGBT, nata a Mosca nel 1967. Nel 2013, dopo vent’anni di carriera come giornalista scientifica nella sua città natale, si tresferisce a New York, dove entra a far parte della redazione del “New Yorker”. Negli ultimi anni si è distinta per la critica inflessibile del presidente russo,Vladimir Putin, e di quello degli Stati Uniti, Donald Trump. Vincitrice di diversi premi, si è aggiudicata la Guggenheim Fellowship, la Andrew Carnegie Fellowship, la Nieman Fellowship e l’Overseas Press Club Award. Tra i titoli da lei pubblicati e tradotti in Italia si ricordano: “Putin. L’uomo senza volto” (Bompiani, 2012), “I fratelli Tsarnaev. Una moderna tragedia americana” (Carbonio Editore, 2017).
Masha Gessen, “Perfect rigor”, Carbonio Editore (collana “Cielo stellato”), Milano 2018, pp. 250. Traduzione di Olimpio Ellero.
Luca Menichetti. Lankenauta, settembre 2018
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