Rance Didier

Albania. Hanno voluto uccidere Dio

Pubblicato il: 7 Febbraio 2015

La storia dell’Albania del dopoguerra, come sappiamo, è una lunga via crucis nella miseria umana e materiale imposta per decenni da una folle dittatura comunista; ma, malgrado non tutti ricordino, è anche la parabola sanguinosa di un regime totalitario che si compiaceva del titolo di “primo stato ateo del pianeta”. Il libro del diacono francese Didier Rance, pubblicato la prima volta nel 1995 per i tipi della francese AED (Aide à l’Église en détresse), è appunto il racconto cupissimo di come, grazie ai buoni uffici di Tito, si sia affermata la satrapia rossa di Enver Hoxha e come questi, ormai padrone assoluto e autentico dio in terra di quel disgraziato paese, abbia portato avanti la persecuzione della religione in tutte le sue forme. Persecuzione poi proseguita da Ramiz Alia, malgrado negli anni ’80 del secolo scorso i fedeli interpreti del socialismo reale già sentissero scricchiolare il loro potere a causa di un’economia allo sbando e di una miseria che non poteva più essere sanata con politiche isolazionistiche. Infatti, secondo Didier Rance, alla base di questa repressione, che in Albania raggiunse forme parossistiche, non c’era semplicemente la dottrina marxista e stalinista; piuttosto l’odio personale di  Hoxha soprattutto per la chiesa cattolica, non disgiunto da un’interpretazione distorta ed estremizzata del modello culturale dei Giovani Turchi e di Atatürk: “esso è senza dubbio legato alla questione nazionale, ma in modo opposto a ciò che sosteneva Hoxha […] Il regime voleva costruire un ‘Uomo nuovo’, spoglio di tutte le sue radici. Ma la fede cattolica conferisce all’uomo una dignità che gli impedisce di tacitare la sua coscienza” (pag. 62).

Chiaramente per estirpare senza troppi danni il clero cattolico e la conseguente devozione popolare furono usati diversi pretesti, a cominciare da quelli non religiosi: accuse di collaborazionismo con i fascisti, spionaggio, sabotaggio, cospirazione. Da qui le innumerevoli vicende, alcune al limite del grottesco, quasi tutte raccapriccianti, che hanno visto vittime vescovi, preti e semplici religiosi. La prima parte del libro di Didier Rance è difatti una breve storia dell’Albania comunista vista con gli occhi di coloro che, vuoi in maniera palese, vuoi in maniera occulta, volevano continuare a professare la loro fede religiosa. Da qui il sottotitolo: “La persecuzione contro la chiesa cattolica in Albania (1944-1991). Analisi incentrata soprattutto sulle vicende della chiesa albanese, non soltanto per questioni di bottega, per il fatto che Didier Rance è un diacono, ma perchè la repressione nei confronti del cattolicesimo iniziò subito, ancora con la guerra partigiana in corso: la fede cattolica probabilmente venne considerata più pericolosa rispetto alle altre confessioni, visto che gli ortodossi per tradizione non rappresentavano una controparte agguerrita nei confronti del potere statale, e, in terra albanese, l’islamismo era fortemente diviso tra le correnti di sunniti, i bektashi ed altri. Tra l’altro Rance scrive di un “sacerdote maomettano di Ulqin” (pag. 142), mentre sappiamo che il sacerdozio non è un’istituzione propria dell’Islam: un aspetto da chiarire, a meno che questa espressione non sia frutto di una traduzione disinvolta oppure di una voluta semplificazione da parte dello stesso autore.

La seconda parte del libro rappresenta poi una sorta di martirologio: un lungo elenco di religiosi, oltre centoventi, la loro vita e la loro morte in balìa dell’oppressione comunista, i processi farsa, le esecuzioni sommarie, la segregazione nei campi di lavoro, le torture. Così, tra le tante, la storia di Frano Kiri: “Questo sapiente francescano, matematico e insegnante, è nato nel 1902 a Shkodër […] Resterà diciotto anni in campi e prigioni del regime. Alla sua uscita, racconterà una delle torture più odiose che ebbe a subire: ‘per tre giorni e tre notti, fui legato ad un cadavere in decomposizione…’. Padre Kiri proseguì un apostolato discreto, fino alla sua morte nel 1996” (pag. 205).

Didier Rance però non dimentica il contesto più ampio del regime e del suo peculiare isolazionismo. Non mancano difatti le frecciate all’intellighenzia albanese, quella sempre pronta a servire il dittatore, a solleticare la sua vanità, quando i boia comunisti erano saldamente al potere; e poi disinvolti a giustificarsi e a dimenticare il passato quando il regime si avviava alla dissoluzione: “Come dimenticare che Kadare [Ismail, il celebre scrittore “dal sorriso triste”] è stato per lungo tempo la finestra del regime, membro del partito dal 1972 […] e che ancora nel maggio del 1990 viene considerato da Ramiz Alia un figlio carissimo? Come dimenticare che la sua dissidenza comincia nell’autunno del 1989, quando ormai è chiaro che il comunismo non aveva più futuro in Europa” (pag. 265). Un libro di testimonianze ed anche un tentativo di spiegare il perché di certi comportamenti degli albanesi contemporanei, con alle spalle decenni di un socialismo reale, spietato, che evidentemente ha contribuito a cambiare in profondità la personalità di un popolo. Un passato che però non impedisce a Didier Rance di affidarsi alla seconda virtù teologale: “Per colui che va incontro a questo popolo con simpatia e compassione, molti segni mostrano che non soltanto molti hanno saputo conservare la loro dignità ma che molti altri aspirano a ritrovarla” (pag. 34).

Edizione esaminata e brevi note

Didier Rance, è un diacono francese, redattore capo della rivista “L’Église dans le monde” (La Chiesa nel mondo). E’ autore di numerosi articoli e opere incentrati principalmente sui martiri del nostro tempo, le Chiese dei Paesi dell’Est, i cristiani del Vicino Oriente e sant’Efrem. Nel 2013 ha ricevuto il Grand Prix Catholique de Littérature.

Didier Rance, “Albania. Hanno voluto uccidere Dio”, Avagliano, Roma 2014, pag. 272. Prefazione di padre Ernesto Santucci.

Luca Menichetti. Lankelot, febbraio 2015