Miller Madeline

La canzone di Achille

Pubblicato il: 15 Giugno 2019

Quando, nel 2013, “La canzone di Achille”, vinse il Women’s Prize for Fiction, noto anche come Orange Prize, prestigioso riconoscimento letterario britannico, nessuno conosceva Madeline Miller. E, soprattutto, nessuno si aspettava che un romanzo d’esordio che narra l’amore tra l’invincibile eroe greco Achille e il suo compagno Patroclo, potesse convincere e suscitare entusiasmo tra i giurati di un premio così importante. Eppure Joanna Trollope, a capo della giuria dell’Orange Prize, è parsa immediatamente elettrizzata tanto da riuscire a dichiarare: “Omero sarebbe stato orgoglioso“. Onestamente non possiamo affermare con certezza se Omero sarebbe stato orgoglioso di un romanzo come “La canzone di Achille”, ma di sicuro molti lettori hanno amato e amano ancora l’opera che segna l’esordio di una scrittrice nata a Boston che studia e ama profondamente la cultura greca classica, i suoi miti, le sue storie, i suoi eroi.

Avendo già letto “Circe“, romanzo più recente e convincente della Miller, posso sicuramente affermare che al suo cospetto “La canzone di Achille” appare più immaturo ed elementare. La scrittura dell’autrice statunitense si dimostra qui meno efficace, persino più scontata e prevedibile. Il romanzo su Achille e Patroclo può essere considerato una rilettura in chiave contemporanea di una storia mitica e celeberrima che, dal punto di vista tematico, non rappresenta nulla di particolarmente innovativo o anticonvenzionale, anzi. Nonostante ciò “La canzone di Achille” è comunque un buon romanzo. Anche se tutti sappiamo cosa è stato già raccontato e scritto in altre mille circostanze, la Miller è riuscita a restituire alle più celebri figure del mito greco una nuova vitalità e un vigore letterario di tutto rispetto.

Madeline Miller ha lavorato dieci anni prima di riuscire a terminare “La canzone di Achille” ed è lei stessa a confermarlo: “La stesura di questo romanzo è stata un’odissea lunga dieci anni, ma sono stata così fortunata da incontrare lungo il cammino molte più divinità benevole che ciclopi furiosi“. Anni di studio, di letture, di cedimenti e di riprese. Oltre a soffermarsi sui grandi testi omerici, infatti, l’autrice si è concentrata soprattutto su “I Mirmidoni“, la tragedia di Eschilo, di cui quasi nulla ci è pervenuto, che racconta in maniera piuttosto esplicita e diretta l’amore omosessuale tra Patroclo e Achille. La tragedia scritta dal famoso drammaturgo greco prende spunto da alcuni passaggi dell’Iliade di Omero ma si concentra soprattutto sul legame fisico e sentimentale tra due uomini in cui Achille svolgeva il ruolo di erastès e Patroclo quello di eromenos.

La Miller, intanto, ha deciso di mutare prospettiva scegliendo di dare a Patroclo il ruolo di voce narrante e primo personaggio del suo romanzo. Un rovesciamento lieve, forse, ma che muta lo sguardo attraverso cui eventi già noti possono essere visti e raccontati anche se, l’espediente di tramutare personaggi minori in protagonisti, è tutt’altro che nuovo. Si inizia, come intuibile, da un Patroclo che ricorda se stesso bambino, una creaturina incerta, debole e inadeguata: “…mi rivelai una delusione: piccolo e sottile. Non ero veloce. Non ero forte. Non sapevo cantare. La cosa migliore che si poteva dire di me era che non ero cagionevole. I malanni e i crampi che affliggevano gli altri bambini non mi sfioravano nemmeno. Questo non faceva altro che insospettire mio padre. Ero forse una creatura non umana? Mi studiava accigliato, mi teneva d’occhio. Quando sentivo il suo sguardo su di me, mi tremavano le mani“. Patroclo, figlio Menezio re greco dell’Oponto, sa di non possedere nulla di ciò che suo padre amerebbe ritrovare in suo figlio. Sa di non poter rispondere a nessuna delle aspettative paterne perché lui è bravo soltanto a lanciare sassi e a farli rimbalzare sulla superficie del mare.

Seguendo la tradizione, la Miller colloca il suo Patroclo in esilio per aver ucciso, per puro impeto di rabbia, il giovine Clitonimo con cui stava giocando ai dadi. Patroclo, per punizione, deve lasciare la terra di suo padre. “Mio padre aveva trascorso tutta la vita a lottare per mantenere il regno e non avrebbe certamente rischiato di perderlo a causa di un figlio come me. Eredi e grembi che li generassero non erano affatto difficili da trovare. Così accettò: sarei andato in esilio e sarei stato cresciuto in un altro regno. In cambio del mio peso in oro, laggiù sarei diventato un uomo. Non avrei avuto genitori né il nome della mia famiglia né alcuna eredità. Ai nostri tempi, la morte era un destino preferibile. Ma mio padre era un uomo pragmatico. Il mio peso in oro sarebbe stato meno dispendioso del mio funerale. Fu così che a dieci anni mi ritrovai orfano. Fu così che giunsi a Ftia“.

È qui che tutto ha inizio. È qui, nella terra di re Peleo, che Patroclo conosce Achille, che di Peleo è figlio. Achille semidivino, partorito dalla nereide Teti e nato per diventare l’eroe più grande di ogni tempo. Achille dai capelli color oro e dal corpo agile e veloce come quello di un puma. Le profezie sono sempre veritiere in questo lontano mondo in cui uomini e dèi si accoppiano, si odiano e si adorano. Il destino di Achille è segnato dal momento in cui è uscito dal ventre di sua madre: sarà l’aristos achaion, il migliore dei greci, ma pagherà con la vita il prezzo di tanta fama. Una consapevolezza che l’eroe porterà sempre dentro di sé e di cui lo stesso Patroclo è costantemente preoccupato. La storia di amicizia e amore tra Achille e Patroclo, per quanto centrale in questo romanzo, sembra costantemente sprofondare in un sentimentalismo un po’ approssimativo e banale: è probabilmente questo il punto debole del romanzo.

La Miller ha voluto concentrarsi su un amore omosessuale leggendario che in molti, ancora oggi, tendono a rinnegare. Alcuni filoni letterari antichi però ne parlano chiaramente e senza alcun pregiudizio, forse in maniera ancora più libera di quanto accada adesso. Oltre alle figure dei due protagonisti, Patroclo e Achille, vale la pena soffermarsi su alcune personalità femminili che ne “La canzone di Achille” trovano una loro interessante dimensione. Mi è piaciuto molto il modo in cui è stata rappresentata Teti, la sua natura materna, il suo dramma intimo ed eterno legato al destino dell’amato figlio Achille. Una dea che tenta, proprio come avverrà per “Circe”, di opporsi a una profezia nefasta pur di allungare la vita di un figlio indistruttibile ma pur sempre umano. Oltre a Teti, le donne di questo romanzo sono inevitabilmente legate ad altre tragedie. Parlo di Ifigenia, attirata con l’inganno da suo padre Agamennone e sacrificata agli dèi per poter consentire al vento di gonfiare le vele delle navi dirette a Troia. Oppure la figura, bellissima e affascinante, di Briseide, usata come bottino di guerra e passata dalle mani di un re all’altro come una “cosa” senza voce e senza anima.

Edizione esaminata e brevi note

Madeline Miller è nata a Boston nel 1978 ma cresciuta a New York e Filadelfia. La Miller ha conseguito un dottorato in lettere classiche alla Brown University e ha insegnato drammaturgia e adattamento teatrale dei testi antichi a Yale. Il suo primo romanzo, alla cui redazione la scrittrice ha lavorato dieci anni, è uscito negli USA nel 2011 e si intitola “La canzone di Achille”. È stato un successo internazionale: ha vinto l’Orange Prize ed è stato tradotto in venticinque lingue. Nel 2013 pubblica “Galatea: A Short Story” e nel 2018 il romanzo “Circe”, uscito in Italia nel 2019. Attualmente Madeline Miller vive a Narberth, in Pennsylvania, con il marito e due figli.

Madeline Miller, “La canzone di Achille“, Sonzogno, Venezia, 2013. Traduzione dall’inglese americano di Matteo Curtoni e Maura Parolini. Titolo originale “The Song of Achilles” (2012).

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