Manzini Antonio

Orfani bianchi

Pubblicato il: 5 Aprile 2020

Non è sbagliato affermare che “Orfani bianchi” è, tutto sommato, una storia comune. Una storia che correva il rischio di sprofondare nella banalità del già-letto, già-sentito, già-visto. Invece, con estremo tatto ed estrema sensibilità narrativa, Antonio Manzini (noto soprattutto per aver dato vita al poco canonico vicequestore Rocco Schiavone) è riuscito a dare vita a un romanzo affascinante, delicato e sentito. Affrontare con intelligenza e realismo, e quindi senza farsi abbindolare dai comodi fumi del sentimentalismo, il tema dei cosiddetti “orfani bianchi” non deve essere stata un’impresa facile. Il suo scrivere, attento e lineare, rende “Orfani bianchi” una lettura interessante, mai stucchevole, sicuramente valida. Inoltrarsi nell’esistenza di una giovane badante moldava, immaginarne la storia, le origini, le sofferenze, i sacrifici e le speranze è ciò che Antonio Manzini è riuscito a compiere finemente in questo romanzo.

Mirta Mitea, la protagonista di “Orfani bianchi”, potrebbe essere una delle tante donne dell’est che, ogni giorno, vediamo muoversi nelle nostre città accanto ai nostri anziani. Quelli che solitamente i figli non hanno tempo, né possibilità, né voglia di accudire e che vengono affidati a donne che si prendono cura di loro: li nutrono, li lavano, li vestono, li portano a passeggio, li medicano, li accudiscono quotidianamente, spesso fino alla morte. Mirta è una di loro. Viene dalla Moldavia, che in troppi confondono con la Romania, e da anni fa da badante a persone anziane con figli troppo assenti, troppo occupati o solo troppo inadeguati. Poi l’anziano muore e Mirta è costretta a trovarsi un altro lavoro. La sua vita è precaria e complicata. I suoi unici affetti, una vecchia madre e un figlio, Ilie, di 12 anni, sono rimasti a casa, a Logofteni in Moldavia.

Mirta vive di mancanze feroci e di convulsi sensi di colpa: vorrebbe avere più soldi da inviare a casa, vorrebbe vivere una vita migliore, vorrebbe essere accanto a Ilie. “Un’amica, ecco la mancanza più dolorosa, dopo quella del figlio, che spesso la notte la faceva lacrimare. Qualcuna con cui guardarsi negli occhi, magari ricordare i posti familiari, le sciocchezze fatte assieme, gli uomini che osservavano sussurrandosi parole ridicole nelle orecchie“. Mirta scrive messaggi e-mail a suo figlio che non le risponde mai, scrive e-mail al parroco di Logofteni che può leggerle a sua madre, scrive e-mail alla sua migliore amica Nina che vive a Milano. La solitudine di Mirta non ha riparo. Roma, la città in cui vive, sembra fagocitarla ogni volta che esce dalla misera stanza che le tocca condividere con altre straniere come lei dopo la morte dell’ultima anziana che ha accudito. È una Roma è ingombrante e sporca, confusa e maleodorante, volgare e squallida quella che Manzini racconta, una città stremata e perfida, soprattutto quando viene vista e vissuta attraverso le percezioni di una badante che sopravvive a malapena lavando le scale di grandi condomini.

Una disgrazia improvvisa precipita Mirta in un incubo ancor peggiore di quello che già vive. Una disgrazia che la costringe a portare suo figlio Ilie in un internat, un orfanotrofio. Lì dove vengono accolti gli “orfani bianchi” del titolo, bambini e ragazzi che sono orfani senza esserlo davvero. Lasciati soli negli internat dei paesi d’origine da genitori che non hanno la possibilità di fare diversamente. Orfanotrofi che di certo non possono offrire condizioni di vita ottimali. La sofferenza di Mirta per essere costretta a quel destino per suo figlio la devasta. “Lo stava strappando da quel villaggio dove viveva da sempre. Dall’unico amico che aveva, Andrea, dalla sua scuola, per portarlo a vivere in un posto freddo, anonimo, sconosciuto, senza calore e senza sole. Mirta li conosceva gli internat, c’erano dai tempi della Russia, era la minaccia che i genitori usavano in casa quando i bimbi non obbedivano. «Piantala! O ti porto all’internat!» Qualche sua amica all’internat ci era finita dopo la caduta del muro, quando il paese era spezzato e c’erano solo fame e morte“.

Mirta rientra in Italia e torna alla sua condizione di disperata. Però il destino, incarnato dall’amico Pavel, sembra offrirle finalmente un’opportunità. Dovrà farsi furba e persino ladra ma, in nome di suo figlio, sceglie di mentire e cerca di approfittare di un’occasione di lavoro imperdibile, quella che potrebbe cambiare finalmente il corso della sua vita. Le leggi della sopravvivenza metropolitana le impongono scarti di coscienza che nessun lettore potrebbe condannare. Mirta si ritrova a fare i conti con gesti e pensieri che, per natura, non avrebbe mai immaginato le appartenessero. Dovrà sopportare offese più o meno velate, dovrà accettare di essere guardata e trattata come fosse un essere inferiore, cercherà di reggere l’urto con tutti gli stereotipi balordi che gli italiani, e non solo, appioppano a gente come lei. “Orfani bianchi” diventa così uno specchio e una denuncia, un romanzo che con il susseguirsi limpido di fatti quotidiani ci pone di fronte alle profonde voragini della nostra società che, nonostante si consideri evoluta, non ha più tempo e non ha più voglia di accudire i suoi vecchi. Per questo li affida a donne che arrivano da lontano alle quali, però, non si sente di accordare né stima, né rispetto, né gratitudine. Donne che vengono semplicemente allontanate e cancellate quando non c’è più bisogno di loro.

Edizione esaminata e brevi note

Antonio Manzini ha lavorato come attore in teatro, al cinema e in televisione, e ha curato la sceneggiatura dei film Il siero della vanità (regia di Alex Infascelli del 2004) e Come Dio comanda (regia di Gabriele Salvatores del 2008). Con Sellerio ha pubblicato racconti e romanzi gialli con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone, poliziotto fuori dagli schemi, poco attento al potere e alle forme: Pista nera (2013), La costola di Adamo (2014), Non è stagione (2015), Era di maggio (2015) e il recente 7.7.2007 (2016), per settimane in testa alle classifiche dei libri più venduti. Sempre con Sellerio ha pubblicato il racconto satirico Sull’orlo del precipizio (2015) e l’antologia Cinque indagini romane per Rocco Schiavone (2016). Altri suoi romanzi pubblicati con Sellerio sono: 7-7-2007 (2016), Pulvis et umbra (2017), La giostra dei criceti (2017), L’anello mancante. Cinque indagini di Rocco Schiavone (2018), Fate il vostro gioco (2018), Rien ne va plus (2019) e Ogni riferimento è puramente casuale (2019). Suoi racconti sono presenti nelle antologie poliziesche Turisti in giallo, Il calcio in giallo, Capodanno in giallo, Ferragosto in giallo, Regalo di Natale, Carnevale in giallo e La crisi in giallo, tutte pubblicate da Sellerio.

Antonio Manzini, “Orfani bianchi“, Chiarelettere, Milano, 2016.

Pagine Internet su Antonio Manzini: Wikipedia / Scheda Sellerio / MyMovies