Sessi Frediano

Il lungo viaggio di Primo Levi

Pubblicato il: 16 Giugno 2013

Resistenza e polemiche sul revisionismo sono un binomio che pare davvero inscindibile, e anche nel 2013 non ci siamo fatti mancare nulla. Questa volta pietra dello scandalo un libro di Sergio Luzzato, “Partigia”: il racconto di una vicenda, fino ad ora poco nota, che vide coinvolto il giovane Primo Levi. La sua attività di partigiano si interruppe presto, precisamente nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1943, quando venne arrestato, in località Amay (Valle d’Aosta), durante un rastrellamento della milizia fascista. Con lui finirono in manette anche Luciana Nissim e Vanda Maestro, Aldo Piacenza e Guido Bachi che, da qualche settimana, avevano dato vita a una banda di ribelli affiliata a Giustizia e Libertà. Da quel momento iniziò il calvario di Primo Levi: deportazione a Auschwitz e tutto quello che abbiamo conosciuto grazie alle testimonianze dello scrittore. Del periodo anteriore a questo arresto, e quindi tutto quello che poteva riguardare la sua pur breve attività di ribelle e partigiano, abbiamo però saputo sempre molto poco. Anzi, Primo Levi non ebbe remore a definirlo”il periodo più opaco” della sua carriera: “ una storia di giovani bene intenzionati ma sprovveduti e sciocchi, e sta bene tra le cose dimenticate”. Il motivo di questo giudizio così netto e senza appello? Una ragione se non “la” ragione dobbiamo rintracciarla nell’esecuzione sommaria di due giovani, Fulvio Oppezzo e Luciano Zabaldano, forse più banditi che autentici partigiani. Le loro azioni furono considerate pericolose per la sicurezza e la vita del gruppo partigiano recentemente costituito. Da qui la sentenza di morte emessa da parte dei capi del gruppo e nel rispetto di una severa disciplina. L’episodio però non rimase senza conseguenze e quel ricordo sembra proprio che pesò profondamente in Primo Levi. Anni dopo non ebbe  remore di scrivere nel “Sistema periodico”: “Adesso eravamo finiti, e lo sapevamo: eravamo in trappola, ognuno nella sua trappola, non c’era uscita se non all’ingiù”. Non abbiamo ancora letto il libro di Sergio Luzzato ma evidentemente l’argomento, la storia della giustizia sommaria, il fatto che si sia raccontato di giovani ribelli che forse avevano confuso le imprese dei banditi con la lotta partigiana, ha creato le polemiche che sappiamo. In realtà proprio in questo 2013 è stato pubblicato un altro libro, “Il lungo viaggio di Primo Levi”, autore Frediano Sessi, che ha affrontato lo stesso tema, ovvero la scelta della Resistenza da parte dello scrittore, la vicenda dell’esecuzione sommaria, il tradimento di un loro compagno, l’arresto, ma senza che ne siano scaturite particolari contestazioni. Forse perché pubblicato a inizio anno un po’ in sordina da parte della Marsilio, forse perché Sessi ha saputo raccontare quelle vicende con particolare equilibrio, con una certa pacatezza e senza un evidente piglio polemico. Ad una prima lettura direi proprio senza intenti “revisionistici” (anche se, come abbiamo scritto più volte, la parola ormai ha assunto un significato distorto mentre lo storico che sia tale è revisionista per definizione. Altro discorso la falsificazione).

“Il lungo viaggio di Primo Levi”, rimane un testo di divulgazione, opera non accademica, ma nel quale si coglie il lavoro di ricerca tutt’altro che banale condotto da Sessi. Alcuni passaggi in particolare hanno richiamato la nostra attenzione nel darci la misura di come l’argomento Resistenza, chissà per quanto ancora, potrà essere oggetto di controversie. Uni dei punti più interessanti è il riferimento a monsignor Giuseppe Angrisani che, “con le sue sistematiche predicazioni nelle fabbriche casalesi, chiede ai cattolici una condotta improntata a quella fermezza morale che si oppone sia al fascismo e al nazismo ma anche alla propaganda antifascista dell’estrema sinistra di un Acquaviva”. Il quale, nelle parole di Luigi Cappa, viene così ricordato. “Dopo l’8 settembre ci diceva che non avremmo dovuto andare con i partigiani, ma che avremmo dovuto fare la lotta di classe, non la lotta di liberazione” (pag. 39). Elementi di divisione politica, e non solo, che, nei gruppi partigiani della Valle d’Aosta, saranno motivo di innumerevoli contrasti: “a fine novembre la banda è forte della presenza di oltre 100 uomini. Proprio le caratteristiche della sua formazione, che ha spinto in montagna tanti potenziali combattenti con ragioni e scopi diversi, saranno alla base del suo fallimento precoce e una delle cause dell’arresto della piccola banda vicina di Amay-Frumy, tra i quali Primo Levi” (pag. 43). Sostanzialmente una vicenda che riguarda il sorgere delle prime formazioni di resistenza, all’interno della quali “la lotta per l’egemonia politica e del comando appare a tratti lacerante, a fronte di inesistenti controlli su coloro che chiedono di fare ingresso in banda” (pag. 98). Altri elementi che, malgrado l’argomento, non permettono accuse di revisionismo, ovvero di voler infangare la Resistenza per motivi ideologici, sono quei passaggi del libro dedicati al campo di Fossoli. Viene difatti contestata la tesi di De Felice di altri illustri storici per i quali il fascismo in fondo si sarebbe limitato alla persecuzione dei diritti, pur con le durissime leggi razziali del 1938. Invece, secondo Sessi, scavando nelle vicende individuali degli ebrei che furono arrestati e deportati, appare una realtà ben diversa: “Le disposizioni antiebraiche furono prese sempre in stretto accordo con i comandi superiori di Polizia tedeschi. Inoltre l’apporto italiani ai rastrellamenti fu blando […] E se è vero che le prime retate di ebrei e i primi eccidi furono opera dei tedeschi, dal mede di dicembre e nei mesi che seguirono i fermi vennero effettuati direttamente dalle questure della Rsi o dai comandi dei carabinieri, dopo minuziose ricerche domiciliari e burocratiche. Tutti gli apparati statali della Rsi vennero utilizzati ai fine della persecuzione antiebraica” (pag. 118).

Insomma se “Il lungo viaggio di Primo Levi” diventasse causa di contestazioni non ci meraviglieremmo che queste venissero sia da destra che da sinistra. Gli elementi per una polemica bipartisan ci sono tutti.

Edizione esaminata e brevi note

Frediano Sessi vive e lavora a Mantova. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Il ragazzo Celeste (1991), Ritorno a Berlino (1993), L’ultimo giorno (1995), Alba di nebbia (1998), Nome di battaglia: Diavolo (2000), Prigionieri della memoria (2006, due edizioni), Foibe Rosse (2007, due edizioni), Il segreto di Barbiana (2009) e con Carlo Saletti Visitare Auschwitz (2011, due edizioni) tutti editi da Marsilio. Sempre per Marsilio ha curato il saggio di Michel Mazor La città scomparsa (1992). È autore inoltre dei romanzi per ragazzi Ultima fermata: Auschwitz (1996), Sotto il cielo d’Europa (1998) e Il mio nome è Anne Frank (2010), editi da Einaudi, per cui ha curato anche l’edizione italiana definitiva del Diario di Anne Frank (1993) e il Dizionario della Resistenza (2000). Nel 1999 è stato pubblicato il suo saggio La vita quotidiana ad Auschwitz (Rizzoli, tredici edizioni).

Frediano Sessi, “Il lungo viaggio di Primo Levi”, Marsilio (collana “Gli Specchi”), Venezia 2013, pp. 192

Luca Menichetti. Lankelot,  giugno 2013