Labbucci Adriano

La salvezza e il pericolo. Spiritualità, politica e profezia ai tempi di papa Francesco

Pubblicato il: 9 Novembre 2015

Per meglio raccontare il libro edito da Donzelli è probabile che sia opportuno soffermarsi sulle parole “politica” e “profezia”, piuttosto che  su “salvezza” e “pericolo”, conseguenze semmai di un modo distorto di intendere impegno politico e  impegno pastorale. Adriano Labbucci, l’autore, già presidente del Consiglio provinciale di Roma, sembrerebbe uomo di buone letture, viste anche le numerose citazioni che ci ha voluto proporre, dalla Bibbia a  Pasolini e a Bauman, passando, tra i tanti, per Nietzsche, Hammarskjöld, Max Weber e George Simmel: in tempi di twittamenti compulsivi, con dietro il nulla, ci è sembrato un modo apprezzabile per testimoniare il proprio impegno politico. E difatti “La salvezza e il pericolo” potrà essere letto non tanto come uno zibaldone di pensieri in libertà, alla stregua di titoli inutili tipo“Tra De Gasperi e gli U2”; semmai come un pamphlet, magari pure scritto con toni “educati”, che intende prendere le distanze da un certo modo di fare politica, che innanzitutto distorce il rapporto con gli elettori spacciando le chiacchiere per modernità ed efficienza. Tutto questo evidenziando il filo rosso esistente tra la crisi delle istituzioni italiane e l’avvento di Bergoglio sul soglio di Pietro. Da questo punto di vista, come Labbucci ha voluto subito precisare, è necessario interpretare correttamente la parola “profezia”, che l’autore affida alle parole di Mario Tronti e del cardinale Ravasi: “Il profeta non vede il futuro, vede il presente […] Il profeta è per eccellenza uomo del presente, coinvolto nella religione e nella politica, nella società e nei drammi del suo tempo” (pag.3). Ed ancora Papa Francesco: “Quando nel popolo di Dio non c’è profezia, il vuoto che lascia quello viene occupato dal clericalismo”. Una visione del profeta meno superficiale, ma che non implica che profezia e politica, pur intrecciate, rappresentino la stessa cosa. Anzi, nella considerazione che tra politica e profezia vi sia un insanabile contrasto, “la parola del profeta è sradicante, antidolatrica, il suo compito è richiamare all’esodo, a muoversi, a fare cose nuove” (pag.9), mentre il politico deve dare certezze. Contrasto tanto più evidente se pensiamo, per usare le parole di Bauman, che “alla base del disorientamento che viviamo c’è il recente divorzio tra potere (possibilità di avere le cose fatte) e politica (la capacità di decidere quali cose dovrebbe essere fatte)” (pag. 28). Un’attenzione al significato più profondo e più vero delle parole che conduce Labbucci ad una nuova citazione, sempre di Mario Tronti, questa volta riguardo la laicità: “è un errore consegnare alla laicità una connotazione antireligiosa. La laicità di cui abbiamo bisogno è più un’interpretazione del sacro che un’assunzione del secolo” (pag.23). Ma “La salvezza e il pericolo” chiaramente non è soltanto un saggio fatto di puntualizzazioni magari un po’ pedanti. Labbucci, dopo un bel po’ di premesse, tocca parecchi nervi scoperti del fare politica in Italia e non, tanto che potremmo interpretare il libro come un prontuario utile a sbugiardare la propaganda e i luoghi comuni che continuano ad ammorbarci l’esistenza. A fronte di un periodo di globale crisi spirituale, ed in particolare di una politica che “è sempre più uguale alla società” e “non svolge più come dovrebbe una funzione dirigente, non è più alla testa, non parla alle intelligenze e alle passioni di chi intende rappresentare, ma si mette alla coda e ne segue gli umori” (pag. 53), ecco che torna ricorrente la frase “io sono un uomo del fare” (pag. 32). Un modo di proporsi che personalmente ci ricorda sia la “discesa in campo” del ’94, sia il più recente culto della velocità e il disprezzo ostentato per i “professoroni”; mentre Labbucci, evidenziando oltretutto come i cosiddetti “tecnici” siano stati invocati più volte per risolvere i nostri problemi, cita Franco Fortini (“sapere, far sapere, saper fare, fare”) e Vaclav Havel, concludendo che abbiamo bisogno semmai di più politica intesa come alternativa di società.

L’analisi dei mali della politica, nella seconda parte del libro, cogliendone il legame con la crisi della spiritualità, si estende alla Chiesa, anch’essa contaminata da autoreferenzialità e rigidità poco comprensibili agli stessi fedeli. Mali che vengono da lontano e che sarà complicato estirpare in poco tempo dal corpo di un’istituzione millenaria.. Diversamente da quanto accade nella politica nostrana, che vola bassissimo in mano a televenditori di poche qualità, Labbucci però prende atto che la Chiesa ha in parte subito e in parte voluto un’autentica scossa, che non è soltanto mediatica e propagandistica: l’elezione di papa Bergoglio. “Scossa” per lo più contestata e negata dai teocon e dagli atei devoti (non a caso il nostro autore cita G. Ferrara), ma anticipata dall’altro grande gesuita, il cardinale Carlo Maria Martini: “Da troppo tempo  l’istituzione ecclesiastica è diventata non più la testimone di Gesù ma il baluardo di quel legalismo che combatteva” (pag.107).

Papa Francesco appare pienamente consapevole dell’autentica funzione della profezia, intellettualmente complesso e, come scrive Labbucci, è un pontefice che “viene da una grande metropoli, Buenos Aires, inserita nel circuito economico e finanziario e che ha vissuto una devastante crisi economica e sociale. Come Wojtyla conosceva dall’interno quel sistema di socialismo reale che dominava nell’Est europeo, così Bergoglio conosce dall’interno quel sistema di globalizzazione capitalistica che oggi domina l’intero pianeta. E’ dentro la modernità, non ne è estraneo” (pag. 82). Questo non vuol dire affatto negare che papa Francesco non sia un ortodosso dal punto di vista dottrinale, oppure distorcere il suo pensiero quale espressione di “un buonismo sentimentale che accontenta tutti” (pag. 81). Più correttamente significa evidenziare come la sua formazione di gesuita lo abbia portato a privilegiare il dialogo e la necessità di interrogarsi sempre e comunque (da qui le sue affermazioni “scandalose” e apparentemente controcorrente come: “se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”); testimoniando semmai una Chiesa che, pur rischiando una sua progressiva omologazione allo spirito del tempo, ha intenzione comunque di aprirsi all’esterno, che non ha da imporre norme e precetti, ma proporre i propri valori: “Non rendiamoci schiavi di una difesa della nostra verità […] la verità è un dono che ci sta largo” (pag. 86). E’ chiara quindi la profonda contrapposizione tra crisi della politica, soprattutto quella che vive di propaganda e luoghi comuni, e la crisi di una Chiesa che però ha trovato un papa che sa cosa vuol dire profezia e sa interpretare il vero significato di radicalità. Da questo punto di vista una delle citazioni più efficaci presenti nel libro di Labbucci è proprio quella di Mino Martinazzoli, un  cattolico impegnato in politica, che ebbe a dire: “La moderazione sta al moderatismo come l’astinenza sta all’impotenza” (pag. 103).

Edizione esaminata e brevi note

Adriano Labbucci, scrittore e politico italiano. E’ stato presidente del Consiglio provinciale di Roma. Per i tipi di Donzelli editore ha pubblicato “Camminare, una rivoluzione” (2011).

Adriano Labbucci,“La salvezza e il pericolo. Spiritualità, politica e profezia ai tempi di papa Francesco”, Donzelli (collana Saggine), Roma 2015, pp. X-118.

Luca Menichetti. Lankelot, marzo 2015