Wharton Edith

La seconda occasione

Pubblicato il: 15 Novembre 2020

All’interno di “La seconda occasione” sono raccolti tre racconti (“Autre temps“, “Anime in ritardo” e “Pienezza di vita“) che la scrittrice americana Edith Wharton ha scritto tra il 1898 e il 1910. Stilisticamente parlando l’età di queste tre piccole opere è più che evidente. Lo si evince da una scrittura raffinata e lussureggiante, da quell’uso ancora tutto ottocentesco di lasciar tracimare le parole per descrivere, in maniera più che dettagliata, ogni movimento, ogni stato d’animo, ogni antefatto. Un profluvio, anche un po’ verboso, di eventi e circostanze da cui i personaggi stessi, spesso, sembrano essere immersi e soffocati. Chi legge ha poco da immaginare e chi, come me, ama la prosa secca e spigolosa, fatta da frasi brevi e minimali, non può che ritrovarsi disorientato e vagamente affaticato al cospetto di ondate così cospicue di parole.

Ciò che ho amato di più delle tre storie è lo spirito che le anima, un misto tra critica e frustrazione che, si può facilmente immaginare, molte donne, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, devono aver provato sulla loro stessa pelle. È lapalissiano l’attacco che l’autrice conduce nei confronti delle convenzioni che la società di cui lei stessa fa parte, la cosiddetta “buona società”, impone alle donne. Una strana e collosa ragnatela fatta di cura maniacale delle apparenze, buona educazione, rispetto del proprio ruolo, chiacchiere maligne e blocchi mentali che costringono le donne ad essere relegate entro i limiti ingessati di stereotipi che, spesso, fanno fatica a riconoscere e poi disconoscere.

Tutte e tre le protagoniste dei racconti fanno i conti con lo “scandalo” (e quindi la vergogna) di aver rotto uno schema sociale, ben preconfezionato per loro, che le vede e le impone come brave mogli e brave madri. In “Autre temps” assistiamo al ritorno della signora Lidcote negli Stati Uniti. Si sente chiamata in causa dal potenziale clamore che potrebbe travolgere sua figlia la quale, proprio come lei diversi anni prima, ha deciso di divorziare. Il “fallimento” di Leila sembra in tutto e per tutto identico a quello di sua madre: “e alla signora Lidcote pareva di sentire tutta New York dire all’unisono: «Sì, Leila ha fatto la stessa cosa di sua madre. Con un esempio simile, cos’altro ci si poteva aspettare?»”. Proprio come se il “marchio” della colpa di essere divorziate possa trasmettersi da una generazione all’altra.

Il timore dell’altrui giudizio si trasforma in “Autre temps“, così come in “Anime in ritardo“, in un’autocondanna automatica. Queste donne, seppur fautrici di scelte controcorrente, fanno fatica a non sentirsi parte di meccanismi sociali e mentali nei quali sembrano perennemente incastrate. Il loro coraggio appare vacillare a ogni pettegolezzo, a ogni occhiataccia, a ogni potenziale accusa. Sono consapevoli di aver trasgredito alle regole convenzionali e sanno di dover pagare, anche con lo stigma altrui, la loro trasgressione. Edith Wharton è cresciuta e vissuta all’interno della buona società newyorkese e conosce alla perfezione ogni anfratto del mondo in cui immerge le protagoniste dei suoi racconti. Anche lei, la Wharton, aveva sposato un uomo ricco dal quale, pochi anni dopo le nozze, decise di separarsi. Il suo divorzio dal signor Edward Robbins Wharton fu formalizzato solo nel 1913, ma sono certa che tra queste pagine c’è un bel pezzo dell’esperienza personale, emotiva e relazionale della scrittrice.

L’ultimo racconto, “Pienezza di vita“, cronologicamente è stato scritto prima degli altri ed è quello che, personalmente, ho trovato più piacevole e innovativo. Forse perché più pungente e amaro degli altri. Una storia in cui il senso stesso dell’essere donna, il legame con il proprio stereotipo di moglie, seppur detestabile, si trascina in uno strano aldilà nel quale, nonostante il realizzarsi di una giusta rivalsa sentimentale, la protagonista decide comunque di rimanere ciò che è sempre stata. Come se per le donne non ci fosse che il sacrificio di sé per via di una natura, quasi masochistica, che non lascia scampo né soluzioni.

Edizione esaminata e brevi note

Edith Wharton (1862-1937), una grande penna della letteratura americana, ha dovuto attendere a lungo il riconoscimento che la sua opera indubbiamente merita, e soltanto, forse, con la riduzione cinematografica de L’età dell’innocenza il suo nome si è imposto anche ai non specialisti. Da ricordare i romanzi L’usanza del paese e La casa della gioia, il racconto lungo Etham Frome, e una lunga serie di racconti, alcuni di fantasmi, altri di ambientazione italiana, altri invece – come quelli qui presentati – dedicati alla spietata analisi delle convenzioni sociali della società nordamericana. Di Edith Wharton Paginauno ha pubblicato Triangoli imperfetti (2018).

Edith Wharton, “La seconda occasione“, Edizioni Paginauno, Vedano al Lambro (MB), 2020. Cura e postfazione di Sabrina Campolongo. Traduzione di Daniela Magnoni, Rossella Venturi, Sabrina Campolongo.

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