De Pedrolo Manuel

Atto di violenza

Pubblicato il: 18 Febbraio 2021

“Oggi non hanno lavato le strade e a Dan spiace: è sempre gradevole mettere a bagno le suole di gomma delle scarpe. Più che gradevole, è utile. Un ragazzo gli ha detto…

Attraversa, facendo attenzione ai veicoli che potrebbero arrivare da sopra, perché la strada è a senso unico. Oggi, però, non circola praticamente nessuno. C’è solo una macchina della polizia, ferma all’angolo qualche metro più avanti. Non si vedono neppure pedoni e i negozi non hanno ancora aperto. È troppo presto.

Cambia la cartella di mano e sale sul marciapiede opposto. […]

Poi gira l’angolo, si infila una mano nella tasca del cappotto. Ha di nuovo dimenticato i guanti. Le dita che reggono la cartella, infreddolite, gli si irrigidiscono un po’. È una giornata piatta, senza sole, e dalla parte della montagna soffia un venticello umido che minaccia pioggia.

Scopre che anche l’altra via sembra abbandonata. Ma che fine hanno fatto tutte le persone che incontra ogni mattina?” (pag. 9)

Inizia così Atto di violenza, romanzo dello scrittore catalano Manuel De Pedrolo (1918 – 1990), scritto nel 1961 e pubblicato in Spagna nel 1975 alla morte di Franco, portato nel nostro paese dalla piccola casa editrice PaginaOtto con la traduzione di Beatrice Parisi.

Dan, che capiamo essere un ragazzino, sta andando a scuola a piedi e si rende conto, via per via, che oggi non è un giorno come gli altri.

“Dan cambia di nuovo la cartella di mano, si soffia sulle dita gelate e si distrae un momento guardando il vapore del proprio fiato caldo che perturba l’atmosfera ostile dell’inverno.

Dal carrer de Mun scende un tram a gran velocità, e il rumore familiare riporta il piccolo Dan al suo mondo quotidiano. Ma è solo un attimo, poi tutto torna di nuovo solitario.

Cammina in un mondo vuoto, attraverso una città morta, con le strade non lavate, le case alte e sbarrate.” (pag. 10)

Nel corso di una pagina e mezzo ci troviamo “in un mondo vuoto, attraverso una città morta”. Nel primo capitolo è Dan che ci mostra la città: ne sentiamo il carico di angoscia e solitudine, e paura. Paura che aumenta nonostante l’incontro con Sea, una ragazzina come lui, perché le scuole sono chiuse, le poche persone che si vedono hanno fretta, la polizia è brusca anche con loro, e anche se lei si dice sicura perché suo zio è segretario del capo civile, del Giudice, e che sempre suo zio dice che i “cattivi” non vogliono lavorare, la vista delle squadre d’assalto che picchiano contro saracinesce abbassate e che sparano alle serrature le fa chiedere a Dan di accompagnarla fino a casa, e le mani si stringono forte a ogni colpo. In questo paese, in questa città, c’è un Giudice che evidentemente comanda e le persone non possono che ubbidire, ma qualcosa sta cambiando, è già cambiato.

Cosa è cambiato?

“È molto semplice: restate tutti a casa”. Questa frase, passata di bocca in bocca, scritta sui muri di case in costruzione, nei bagni dei locali, stampata su volantini, ha girato per tutta la capitale e “oggi” è il giorno in cui si è realizzata: sono rimasti tutti a casa. Non proprio tutti, ma la grande maggioranza.

Il romanzo è diviso in tre macrosezioni: Primo giorno; Secondo giorno; Terzo giorno, ognuna delle quali comprende un numero variabile di capitoli in cui De Pedrolo dà vita a tanti personaggi sparsi per le vie della città e nei dintorni. Ogni capitolo ruota infatti intorno a un episodio che si può svolgere per strada, come si è visto, oppure in un bar, in un appartamento, in un teatro, in un ospedale, in una stazione ferroviaria e così via. In ogni episodio le persone cambiano, ma alcune sono ricorrenti, così Dan si ritrova, come comprimario, nel capitolo 19 per una telefonata che fa a sua madre, infermiera in un ospedale dove è anche Oti, giovane protagonista del terzo. Tutti i capitoli e le persone che vi compaiono sono in qualche modo connesse, rivelando vari tipi di relazione e dando vita a contrasti o comunioni d’intenti. C’è il padrone della fabbrica vuota e ferma, quello del negozio, c’è il commesso che è andato a lavoro e che poi si rifiuta, c’è la famiglia chiusa in casa che riceve la visita del vicino che la pensa in maniera opposta, c’è il rapporto tra generazioni, discussioni sul ruolo degli intellettuali, sulla morale “tradizionale”, anche sul turismo e sui turisti, e sulla vita che è stata e che verrà.

“È molto semplice: restate tutti a casa” è la frase che dà inizio alla battaglia silenziosa contro il dittatore-giudice Domina. L’autore ci mostra le conseguenze di queste parole nell’arco di tre giorni e di 21 capitoli con una scrittura diretta, pulita, essenziale, densa. Fa parlare la città e i suoi protagonisti, in dialoghi a volte verbosi ma che non risultano fuori luogo perché strettamente legati al carattere dei personaggi. Anche in questo si nota la bravura di De Pedrolo: nel volgere di poche pagine dà vita a personaggi credibili, con una storia, e spargendo informazioni che li riguardano in più capitoli, sebbene la lettura all’inizio possa risultare difficoltosa (ricordarsi nomi incontrati magari 50 pagine prima e fare mente locale non è immediato), fa sì che si chiariscano meglio le relazioni e si rafforzino, che i personaggi da nomi divengano persone con idee, forza, sentimenti. Un modo di procedere nella narrazione che somiglia alla composizione di un puzzle e che avvolge lentamente chi legge. Atto di violenza, eppure di scene violente ce ne sono pochissime, e in fondo rapide, anche se la violenza fa spesso capolino e si citano episodi, feriti, morti, ma questo “mondo vuoto” vive e è vissuto sotto una cappa di violenza, per tutta la dittatura, e solo col silenzio si è palesato tutto ciò che non andava, tutta l’ipocrisia e le falle di un sistema che concedeva una sopravvivenza spacciandola per vita piena e libera.

Un altro paio di citazioni che mi sembrano significative.

Nel capitolo 4 lo scrittore Rams Gramù, parlando in un bar

“«È incredibile che, dopo tanti anni, si sia riusciti a cristallizzare tutto un modo di pensare con una semplice frase… Cinque o sei partiti clandestini hanno tentato e ritentato di stimolare la popolazione con azioni più o meno dirette, o quantomeno chiaramente indirizzate, ma non ha mai funzionato. Adesso, invece, qualcuno ha trovato uno slogan che è piaciuto, si è diffuso col passaparola, ed ecco il risultato: tutti obbediscono».” (pag. 46)

“«Noi abbiamo seminato. Ma questo non vuol dire che dobbiamo raccogliere».” (pag. 52)

Nel capitolo 19 il dottore Jef Morns con un’infermiera

“«[…] Voglio dire che per anni e anni non abbiamo fatto altro che pensare, dire e ripetere che la nostra gioventù era incapace, che era una gioventù stanca, annoiata, senza stimoli e senza iniziativa…».

Finisce di strofinarsi energicamente le mani e chiude il rubinetto.

«E adesso, oltre venti feriti e tre morti, presto quattro, dimostrano che eravamo pessimisti senza motivo. La gioventù continua a essere quello che è sempre stata: anticonformista, inquieta, disinteressata». (pag. 242)

Si raddrizza, senza smettere di fissare la ragazza ferita. «Ma lei e tutti quelli come lei pensano che l’illusione durerà una vita intera. Ed è ammirevole che questo non impedisca loro di dare quello che hanno, di dare tutto, generosamente». Distratto, pensieroso, tocca le lenzuola. «Ma certo, per dare bisogna possedere qualcosa. E noi, alla nostra età, non abbiamo più niente». La guarda con occhi stanchi e carichi di nostalgia. «Noi ormai possiamo sacrificare solo le nostre disillusioni». (pag. 243)

Edizione esaminata e brevi note

Manuel de Pedrolo (L’Aranyó, Segarra, 1918 – Barcellona, 1990) è uno degli scrittori più illustri della letteratura catalana del XX secolo. Narratore, drammaturgo, saggista, poeta e traduttore, Pedrolo coltiverà tutti generi letterari e collaborerà regolarmente con la maggior parte delle riviste catalane dell’epoca. Come traduttore si concentrerà sugli autori francesi e nordamericani contemporanei e dirigerà la collana di romanzi neri La cua de palla. La sua prolifica produzione oltrepassa il centinaio di opere con romanzi di grande rilievo come, per esempio, Totes las bèsties de càrrega, Milions d’ampolles buides, Joc brut, il ciclo Temps Obert o Mecanoscrit del segon origen, il libro più tradotto della letteratura catalana (tradotto da Patrizio Rigobon e pubblicato in Italia nel 2011 da Atmosphere Libri col titolo Seconda origine). Durante la sua carriera meriterà numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali il Premi d’Honor de les Lletres Catalanes, e manterrà un fermo impegno politico per le libertà sociali e nazionali del suo popolo.

Manuel De Pedrolo, Atto di violenza, traduzione di Beatrice Parisi, postfazione di Alberto Prunetti, Paginaotto edizioni, collana Vocativi, 2020

La collana Vocativi è diretta da Giusi Campisi e Piergiorgio Caserini

Vocativi è la collana per chi vuole trovare la giusta prossimità con le parole, volumi di discorsi e storie che parlano nella lingua della narrativa i termini del saggio e dell’impegno intellettuale, tra il letterario e il dissacrante, la favola e la realtà. I libri di Vocativi richiamano al discorso e al dialogo, tra giovani e meno, in un assembramento di storie e finzioni che si rivolgono al tempo presente. Le opere di narrativa e i saggi di impegno civile, per testimoniare la presa di posizione degli autori che fanno della loro opera uno strumento di lotta.

Sulla pagina del libro nel sito dell’editore si trovano podcast e presentazioni in video.

Una bella recensione apparsa su Il mestiere di leggere – Blog di Pina Bertoli: https://ilmestieredileggereblog.com/2020/12/23/manuel-de-pedrolo-atto-di-violenza/

Una recensione su Carmilla che contiene anche un estratto del libro: https://www.carmillaonline.com/2021/01/11/atto-di-violenza-di-manuel-de-pedrolo/

ab, febbraio 2021