Redaelli Stefano

Ombra mai più

Pubblicato il: 12 Agosto 2022

“La follia mette tristezza, più di altre malattie. Anche quando si attesta la remissione dei sintomi. Anche se la coscienza ci rimette ogni peccato”. Queste le rimostranze – per così dire – di Angelantonio Poloni a un editore che ha ignorato i suoi scritti sulla follia. Scrittura che, per questo forse ex folle, rappresenta un’esigenza terapeutica soprattutto adesso che si è ritrovato fuori dalla Casa delle farfalle ed è costretto, dopo il ricovero, ad affrontare, con tutte le sue fragilità il nuovo mondo fragile che lo aspetta: compresa la convivenza con i genitori anziani e la ricerca di una degna occupazione. “Ombra mai più” in effetti è il racconto che segue “Beati gli inquieti”, in cui così viene descritto il disagio psichico: “La follia è inaccessibile, neanche uno psicanalista ci capisce niente. Nel mondo il folle vive nel buio. Agli scrittori direi che la follia è inutile che la descrivano perché è come la luna piena, più la guardi più ti attira più la trovi squallida. È squallida, ti fa emarginare dalla società. Ti fa vedere il mondo diverso da come lo vedono gli altri. È squallida perché si è soli. Si è mondi isolati. Si è tante isole”. Descrizione di un buio che ritroviamo nelle parole di Angelantonio, che dice molto del titolo del romanzo; e soprattutto del disagio di un ex ricoverato nell’affrontare un ambiente che lo guarda con sospetto e lo deride: “Le radici sono la parte nascosta, profonda, bella. L’ombra è il buio che esce dalle cose, dalle persone. E si proietta su quello che le circonda, le oscura. L’ombra è brutta, inquieta” (pp.75).

Redaelli volendo restituire dignità ai cosiddetti folli, ripropone, sempre con l’eleganza e il garbo che abbiamo già conosciuto, il suo racconto sulla fragilità psichica; che tra l’altro è di tutti noi. Soltanto che in “Ombra mai più”, adesso che le visite di Angelantonio ai suoi ex compagni di ricovero – a cominciare da Marta, la bellissima donna per la quale prova un confuso sentimento – diventano più sporadiche, questa fragilità dei folli si confronta ancor di più con la fragilità dei “sani di mente”. Pensiamo alle preoccupazioni sulla salute dei genitori; oppure alle fragilità legate all’integrazione sociale di Rami, ragazzino egiziano conosciuto per caso, col quale si crea un rapporto di amicizia, pur tra mille diffidenze e le difficoltà ad intendersi causa il terrificante slang del giovanissimo: “Grosso” – “Chi?” – “Grosso, zì. Si dice così” – “Me lo spieghi una volta cosa vuol dire?” (pp.89).

Fragilità che il nostro Angeloantonio sente profondamente, al punto di tornare dalla psichiatra della Casa delle farfalle per tentare – inutilmente – di essere nuovamente ricoverato. Tentativo per fortuna fallito perché, alla fin fine, si capisce che non tutto è perduto e, grazie al sostegno dei nuovi amici e di qualche persona intelligente e priva di pregiudizio, le cose potranno andare decisamente meglio.

Peraltro alle vicende di Angelantonio che, malgrado la distanza, continua a misurarsi con le ombre e i pensieri bizzarri di Carlo, Simone e tutti gli amici ancora ricoverati, si intrecciano intelligenti riflessioni, anche poetiche, sul significato del nostro agire in una prospettiva spirituale, non soltanto psicologica. Riflessioni che, per bocca del protagonista alle prese con i suoi tentativi di trovare un’occupazione gratificante come letterato, investono anche il problema dell’editoria – quindi presentato come un problema sociale – alle prese con autopubblicazioni e comportamenti non propriamente professionali: “Non sono dei grandi lettori, questo no; mezzo romanzo se sei raccomandato, diversamente devi accontentarti di un’occhiata. Una volta gli editori leggevano (oltre ad essere persone oneste) […] Tra l’altro, ho appena appurato che il mio non è un libro ma un ‘progetto interessante’; forse devo ancora scriverlo il libro. L’amarezza dell’offeso?” (pp.121).

Come intuibile il linguaggio di Redaelli, ricco di riferimenti alla religiosità cristiana, appare elegante, semplice, fatto di frasi brevi al limite della paratassi, adattissime ai dialoghi che, accanto all’inevitabile malinconia, arricchiscono il romanzo di una ironia neanche troppo sottile. Ma soprattutto linguaggio che presenta delle suggestive metafore come quelle che sottindendono il titolo “Ombra mai più” e il platano del giovane Angelantonio: “Tagliare la chioma non è grave come tagliare le radici” (pp.204) perché, in fin dei conti, pur tra mille tristezze, grazie alle radici l’albero può comunque riprendere vita.

Edizione esaminata e brevi note

Stefano Redaelli, è professore di Letteratura Italiana presso la Facoltà di “Artes Liberales” dell’Università di Varsavia. Addottorato in Fisica e Letteratura, s’interessa dei rapporti tra scienza, follia, spiritualità e letteratura. È autore delle monografie Nel varco tra le due culture. Letteratura e scienza in Italia (Bulzoni, 2016), Le due culture. Due approcci oltre la dicotomia (con Klaus Colanero, Aracne, 2016), Circoscrivere la follia: Mario Tobino, Alda Merini, Carmelo Samonà (Sublupa, 2013) e di numerosi articoli scientifici. Ha pubblicato la raccolta di racconti Spirabole (Città Nuova, 2008) e il romanzo Chilometrotrenta (San Paolo, 2011).
Con Neo Edizioni ha pubblicato il romanzo Beati gli inquieti, Selezione Ufficiale Premio Campiello, Premio Napoli e Premio Flaiano 2021.

Stefano Redaelli, “Ombra mai più”, Neo edizioni (collana “Iena”), Castel di Sangro 2022, pp. 209.

Luca Menichetti. Lankenauta, agosto 2022