Loewenthal Elena

La lenta nevicata dei giorni

Pubblicato il: 6 Gennaio 2014

Prima di tutto: “La lenta nevicata dei giorni” è un verso di una poesia di Primo Levi ed Elena Loewenthal lo ha eletto a titolo del suo romanzo. La neve, in vari modi e sotto varie spoglie, ricorre costantemente in queste pagine. Spesso è pesante e confusa come i ricordi, a volte è grigia e leggera come cenere di carta, a volte cade in fiocchi larghi e silenziosi e si posa a terra senza lasciare traccia. La neve è la compagna di viaggio di chi è trasportato su carri bestiame da ogni luogo d’Europa fino ai campi di sterminio nazisti. E’ la testimone silente di vite tramutate in fumo. Un fumo grigio che la ispessisce e la trasforma in materia sporca e livida.

André e Fernande sono vivi. Sfuggiti alle persecuzioni nazi-fasciste e vivi. La guerra è finita e loro due, giovani e disorientati, cercano di rintracciare la normalità della propria esistenza. Quella interrotta alcuni anni prima per colpa dei tedeschi e della guerra. Nel frattempo da semplici amanti sono diventati moglie e marito. Di mezzo ci sono stati fughe, paure, sotterfugi, camuffamenti, nascondigli. André e Fernande sono stati più fortunati di tanti altri ebrei. Il loro nascondiglio è stato per quasi due anni una splendida villa sul mare francese, non molto distante da Mentone. Separati dal mondo ma comunque immersi in una sorta di limbo che ha risparmiato loro la ferocia della deportazione e l’abominio delle camere a gas.

La promessa se l’erano fatta proprio durante la fuga: se fossero rimasti vivi, avrebbero vissuto nella casa del Buon Ritorno, sotto il faro, sulla costa meridionale francese. Promessa mantenuta. André consegna a Fernande le chiavi di quel luogo e lei vi si rifugia stagione dopo stagione. Il matrimonio con André è ormai divenuto solo un’amicizia intima e profonda. Anche perché nella vita di Fernande entrano il Poeta prima e Paul poco dopo. Accanto ad André, invece, arriva Simone, una giovane ed affascinante attrice dal passato misterioso. Gli anni cinquanta e sessanta scorrono via. Il Poeta sceglie Fernande come sua musa ispiratrice. E’ un artista: dipinge, scrive e dirige persino film. E’ un personaggio famoso e amato in tutto il mondo. Intanto la narrazione scorre tra piccoli accadimenti quotidiani e il desiderio, assolutamente improbabile, di dimenticare il buio del passato.

Poi la storia si interrompe. Si arriva ai nostri giorni: anno 2011. Fernande è ormai un’anziana signora che si muove grazie all’ausilio di una badante straniera. Torna alla casa del Buon Consiglio, lì dove ha lasciato porzioni di vita ormai scolorite ma pulsanti. E la storia si interrompe ancora. Si ritorna al 1943. E’ l’anno in cui a Torino i fascisti e i nazisti circolavano per la città a caccia di ebrei. Tra i tanti perseguitati c’è anche Lydia, la mamma di Simone. Ed è così che riusciamo a capire qualcosa in più circa le misteriose origini dell’attrice compagna di André. Con lo stesso meccanismo narrativo, con gli stessi improvvisi salti spazio-temporali la Loewenthal ci mette a conoscenza delle vicende di vari personaggi, principali e collaterali, rilevanti o marginali.

La soluzione della scrittrice torinese porta, secondo me allo smarrimento del lettore. Non c’è autentica alternanza, ma lo smembramento di storie che si ricompongono dopo essere state fatte a brandelli. Il filo della storia scompare e riappare in maniera fin troppo discontinua ed intermittente. Ed è tale scelta narrativa che mi ha lasciato perplessa. Ho letto vari libri della Loewenthal eppure questo romanzo mi sembra il meno riuscito e il meno convincente nonostante la tematica sia estremamente interessante. Ho avuto la sensazione che l’autrice abbia voluto trovare a tutti i costi un meccanismo narrativo non comune per non raccontare la Shoah come è già stata raccontata migliaia di volte. Ma la Shoah rimane la Shoah e le capacità letterarie di una scrittrice come la Loewenthal non l’avrebbero mai raccontata in maniera banale o superficiale. Infatti non è stata banale né superficiale neppure ne “La lenta nevicata dei giorni”. Forse sarebbe bastato essere meno contorta nella costruzione delle vicende. Riconosco la scrittura raffinata e preziosa della Loewenthal, ne ho apprezzato la delicatezza e, al contempo, la forza, eppure l’ordito di questo libro rimane eccessivamente macchinoso e poco allettante. Almeno per me.

Edizione esaminata e brevi note

Elena Loewenthal è nata a Torino nel 1960. Si è laureata presso l’Università della sua città natale. Lavora spesso come traduttrice dall’ebraico ma è anche una scrittrice. Collabora con il quotidiano “La Stampa” e per “Tuttolibri”. E’ docente di cultura ebraica presso la facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Ha tradotto, tra le altre, molte opere di Amos Oz, David Grossman, Meir Shalev, Yoran Kaniuk, Aharon Appelfeld, Yaakov Shabtai, Yehoshua Kenaz, Alona Qimhi, Uri Orlev, David Vogel e Zeruya Shalev. Il suo primo romanzo è “Lo strappo dell’anima” (Frassinelli, 2002) grazie al quale ha ottenuto il Premio Grinzane Cavour. A cui hanno fatto seguito “Attese” (Bompiani, 2004), “Dimenticami” (Bompiani, 2006), “Conta le stelle, se puoi” (Einaudi, 2008 – premio selezione Campiello 2009), “Una giornata al Monte dei Pegni” (Einaudi, 2010 – Premio Chiara 2011), “La vita è una prova d’orchestra” (Einaudi, 2011), “La lenta nevicata dei giorni” (Einaudi, 2013). Ha curato e pubblicato anche dei saggi: “Un’aringa in Paradiso. Enciclopedia della risata ebraica” (Baldini e Castoldi, 1997), “L’ebraismo spiegato ai miei figli” (Bompiani, 2002), “Scrivere di sé” (Einaudi, 2007).

Elena Loewenthal, “La lenta nevicata dei giorni”, Einaudi, Torino, 2013.

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