Spano Francesca

Il libretto viola e altri scritti

Pubblicato il: 12 Gennaio 2011

“Il libretto viola” è un bel libro e non nell’accezione più semplice e ovvia del termine, è un bel libro non solo per il suo contenuto interessante, ma per la sua componente estetica che va dal formato alla copertina di Maurizio Ceccato, dall’aspetto generale fino al dettagliatissimo colophon che recita “Qui finisce il libro… Ma non finisce qui” e una miriade di notizie precise ci illuminano sui materiali che hanno consentito la realizzazione del libro, nel rispetto dell’ambiente.

La piccola casa editrice Jacobelli si distingue per stile e cura del dettaglio. L’auspicio finale ,piccola chicca, dice: “abbiamo lavorato con passione e cura per realizzare questo libro. Possa avere vita lunga e alla fine del suo ciclo tornare alla natura”.

Poste queste indispensabili premesse, veniamo al contenuto del breve e intenso testo.

Il libretto viola” raccoglie alcuni scritti di Francesca Spano, trovati nel suo pc dopo la sua morte improvvisa.

Si tratta in buona parte dell’embrione di quello che avrebbe dovuto essere un ‘’lungo racconto autobiografico, che l’Autrice non ebbe il tempo di completare. Il brano più lungo e articolato è “A flowery stream of Memories”, una riflessione che prende spunto dal giardino che Francesca aveva iniziato a coltivare dopo essersi trasferita a Torre Pellice, presso i valdesi di Piemonte.

Prima di riflettere sui testi è necessario delineare rapidamente l’originale figura di Francesca Spano, una donna che recava in sé mondi diversi.

Nata a Cagliari nel 1950, terza figlia di genitori militanti nel PCI – la madre era deputata – crebbe in un’atmosfera impregnata d’impegno politico, tra federazioni del Partito e battaglie sindacali. Le sue radici erano composite: la madre aveva origini ebraiche, il padre era ateo.

Nel 1953 la famiglia si trasferisce a Roma per gli impegni politici dei genitori. A quattordici anni Francesca rimane orfana del padre, in seguito frequenta il liceo scientifico e vive già il suo impegno politico, che culmina con l’ultimo anno di scuola, il 1968.

Nel frattempo Francesca compie un’altra sua personale ricerca, quella religiosa, che la porta ad avvicinarsi fin da ragazza alla comunità valdese e a frequentare il Centro Ecumenico di Agape, dapprima come ospite e poi come residente e organizzatrice. Francesca comunque non si battezzò mai, per fedeltà all’origine ebraica di sua madre e all’ateismo di famiglia.

Laureatasi nel 1974 con una tesi di storia, si trasferisce a Pinerolo e poi ad Agape, svolge la professione d’insegnante di Lettere e s’impegna molto sia nella comunità valdese che nell’attività sindacale e poi nel femminismo.

Nel 1998 si sposa con Vincenzo, suo compagno, professore pinerolese e studioso di Sociologia, ex militante di Lotta Continua.

Nel frattempo Francesca aveva intrapreso anche una terapia analitica.

A livello politico, dopo la divisione del PCI nella cosiddetta “svolta” della Bolognina, Francesca si iscrive a Rifondazione Comunista e viene eletta al Consiglio Comunale. Dal 1988 al 1995 dirige “Gioventù Evangelica”, rivista della Federazione Gioventù Evangelica Italiana e scrive saggi, discorsi, articoli, relazioni.

Nel 2003 va a vivere a Torre Pellice, in una grande casa che fa parte di una villa e comprende anche un giardino. In breve tempo Francesca si appassiona al giardinaggio e all’orto e proprio da quest’esperienza scaturisce la prima prosa: “A flowery stream of memories”.

Prendendo spunto dal suo trasloco da Pinerolo a Torre Pellice, Francesca ricorda vari momenti della sua vita, gli amici, la sua famiglia, i distacchi e i lutti, l’aiuto ricevuto dalla psicoanalisi.

L’immagine è quella di una donna complessa, con molti interessi, profonda, a volte sofferente per le vicissitudini della vita (la perdita di una bambina, nata troppo presto e l’impossibilità di averne altre, la morte improvvisa di amici e di un compagno, oltre a quella del padre, quand’era ragazzina).

Francesca s’ispira al giardino, alle piante, al compostaggio per sciorinare ricordi e riflessioni mai banali e per recuperare un rapporto con la natura che in anni precedenti non aveva mai avuto, presa com’era da dibattiti politici, discussioni, facce, sentimenti, parole.

Donna d’impegno attivo e di riflessioni interiori, non si era mai occupata di coltivazioni e di lavori manuali come togliere le erbacce, che acquista un valore terapeutico, dà il senso di fare qualcosa di utile, di concreto, di buono.

Con profondità e grazia Francesca si osserva, si analizza e si rivela. Emerge il suo legame con la “valdesia”, che l’ha sempre affascinata per le sue radici profonde, lei che proveniva da una famiglia di classe ambivalente, con la madre d’origine ebraica, figlia di un avvocato e di una farmacista e il padre figlio di un segretario comunale e di una maestra della Sardegna.

Grazie alla valdesia, l’Autrice ha scoperto le donne, non solo nell’amicizia, sempre stata presente, ma a livello “identitario, politico e culturale”.

Ricordi legati ai fiori, percorsi personali, figure amate, esperienze: tutto questo scaturisce dal giardino, un luogo di vita e di memoria, in cui riflettersi.

Colori e profumi non eliminano il caos e la sporcizia del giardino ma ne filtrano l’impatto visivo. L’impressione generale è quella di una grande intensità di vita, di sedimentazione ingarbugliata di esperienze diverse, mai di squallore o di monotonia. Non è ben strutturato il mio giardino e neanche, per certi aspetti, agibile, tanto le erbacce hanno riempito i vialetti che costeggiano gli arbusti e rendono difficile anche solo attraversarlo; eppure è proprio il suo disordine che inspiegabilmente mi affascina”. (p.36)

Le piante acquistano valenza simbolica.

Non c’è struggimento nel mio guardare la piccola pianta, oggetto sostitutivo di un desiderio disperso dalla vita; non c’è struggimento ma riconoscenza, perché forse la rosa trovata sotto la massa contorta della forsizia non mi sta parlando soltanto di quella bimba mai nata; ma anche del lungo lavoro che ho fatto attraverso la mia analisi: potato, curato, preso le distanze, raddrizzato, lenito, innaffiato, fino appunto a integrare un pochino pezzi diversi, aspetti contraddittori di un unico me”. (p.41)

Le erbe aromatiche diventano simbolo “di quella complessità identitaria che mi caratterizza, di cui in fondo vado fiera anche se continua a non darmi pace”. (p.44)

Bellezza, profumi, utilità in cucina si uniscono nell’orto aromatico.

È pieno di poesie il legame che unisce diversi fiori a diversi ricordi ed esperienze ed è pieno di freschezza il rapporto che Francesca instaura con quel mondo naturale che nulla le aveva detto fino a poco tempo prima.

I numerosi aspetti dell’Autrice paiono armonizzarsi nella sintonia con la natura, tutto acquista un maggiore equilibrio, si ricompone in un mosaico, che attinge saggezza e senso proprio dai gesti del giardinaggio e dal fiorire delle piante.

La sofferenza, e anche la morte, e a volte persino la morte violenta e autodistruttiva, possono far nascere relazione, affetto, ricerca comune di vita, quando sono vissute e pensate nella pratica della solidarietà”. (p.58)

Anche quel che è stato perduto potrà avere una nuova vita, invecchiare potrà essere “una bella avventura della mente che indaga, sposta, scopre, e finisce per rigenerare” . (p.58)

Purtroppo Francesca non ha avuto il tempo d’invecchiare, ma certamente il giardino le ha regalato un paio d’anni di serenità.

Lavorare a maglia” è la seconda prosa. L’Autrice prende spunto dal lavorare a maglia – arte che si tramanda tra le donne – per rievocare i suoi viaggi (Russia, Irlanda). Negli anni Settanta il lavoro a ferri era diventato una pratica molto in voga durante le riunioni, anche quelle femministe, la Spano vi è sempre rimasta fedele a prescindere dalle mode, avendo iniziato prima che il fenomeno fosse diffuso e avendo continuato dopo.

Il lavoro a maglia è la mia coperta di Linus, che mi toglie imbarazzo, che mi indica dove mettere le mani, che crea un filtro tra me e gli altri, proteggendomi”. (p.62)

Il titolo del brano è provvisorio (a volte è chiamato “Il settimo viaggio”), Francesca qui motiva l’abbandono della metafora del viaggio, come cornice del libro che voleva scrivere, in favore di quella del lavoro a maglia.

Tra i viaggi, svettano i tre in Russia, il primo a sette anni con la famiglia, a vedere anche le orribili case popolari dove si praticava la coabitazione.

Dai suoi ricordi non sono escluse le assurdità del regime comunista, come la proibizione di visitare la sala delle icone – anzi viene addirittura negata l’esistenza della stessa! – nel monastero di Zagorsk, perché la loro spiegazione avrebbe costituito una forma di propaganda religiosa.

Alla celebrazione battista invece il pastore detta i passi biblici che commenta, perché vi è carestia di Bibbie – non più ristampate – e i fedeli allora si ricostruiscono il libro sacro scrivendo i brani domenicali dopo domenica.

Più che di viaggi in senso stretto Francesca amerebbe parlare nel suo libro di viaggi mentali: politica, psicoanalisi, protestantesimo, femminismo, ebraismo. Forse non sono viaggi, ma maglioni.

“Lavorare a maglia è certo meno affascinante e avventuroso che viaggiare. Più che dalla magia dell’incontro o della scoperta, è una esperienza segnata dalla fatica di un progetto: se sbagli, per portarlo a termine, devi disfare e ricominciare. Fare e disfare. Disfare e rifare. Ci vuole più disciplina che bravura; è necessario essere tenaci più che brillanti. Sì, la metafora del lavoro a maglia mi si addice certo di più”. (pp.72-73)

“Iniziazioni” (altro titolo “Il maglione rosso”) racconta invece dell’iniziazione politica di Francesca. I genitori erano comunisti convinti in anni in cui non era facile esserlo e delle tre sorelle, lei è l’unica a essere rimasta in qualche modo “comunista”, pur non avendo mai amato la politica che costituiva l’essenza esistenziale dei suoi genitori, quella politica di cui ha però assunto, per anni, i meccanismi.

La vita della Spano è stata segnata dalla militanza (anche dei genitori, sempre molto occupati), dalle manifestazioni e infine dalla consapevolezza che una parte di quel mondo e di quell’organizzazione era scomparsa. Rimane viva in Francesca l’ansia di giustizia per i poveri, l’orrore per la guerra, l’amore per la democrazia.

Le vicende della vita privata s’intrecciano con quelle della storia, con le discussioni in famiglia e fuori, con il ’68, le rivolte e infine il riflusso.

Delle grandi passioni come politica, fede e amore Francesca dice che si giocano in realtà non nelle grandi esaltazioni – magari collettive – ma nella quotidianità, nella fatica, nella perseveranza. La diversità dell’Autrice è di esser sempre stata dentro e fuori alla politica come alla fede, esser stata tante cose insieme non sempre in armonia.

La magia di Agape” è un testo contenuto in un volume ai Autori Vari “Il nome Agape. Quarant’anni del centro ecumenico di Agape”, supplemento a “servizio informazioni”, n.5-6, maggio-giugno 1991. Francesca ripercorre qui il suo cammino religioso e la sua frequentazione, fin da ragazza, del centro ecumenico di Agape, dove ha sempre sperimentato una dimensione di accoglienza e dove ha preso coscienza della vocazione che il Signore ha deciso di rivolgerle. L’atmosfera di Agape qui delineata appare assai libera e informale, è un laboratorio di teologia e ricerca evangelica.

Chiudono il libro “Una donna molto intelligente”, presentazione del libro autobiografico della madre Nadia e una poesia per la stessa.

Il titolo deriva dalla copertina di cartoncino viola che Francesca aveva dato al libretto dopo averlo stampato al pc e regalato a numerosi amici nel Natale 2004.

Edizione esaminata e brevi note

Francesca Spano (Cagliari 1950- Torre Pellice? 2007) scrittrice italiana.

Francesca Spano, Il libretto viola e altri scritti, Roma, Jacobelli 2010. Prefazione di Maria Bonafede. Postfazione di Paola e Chiara Spano.

Links:

http://www.alpcub.com/ricordo_francesca.htm

http://www.chiesavaldese.org/

http://it.wikipedia.org/wiki/Valdismo

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/valdesi.htm