Mariotti Alessandro

Mircea Eliade

Pubblicato il: 25 Giugno 2008

“Forse mi spingo troppo oltre, ma ho ogni motivo di credere che nel suo inconscio metta i libri al di sopra degli dèi. Più che a questi vota un culto a quelli. In ogni caso, non ho incontrato nessuno che li amasse quanto lui”. Cosi si espresse Emil Cioran, nei suoi Esercizi d’ammirazione, a proposito dell’amico e compatriota Mircea Eliade. Già questa breve e significativa affermazione ci dà la misura del rapporto tra Eliade e la letteratura, il quale trascende la natura meramente fisica per palesarsi al lettore di questa interessantissima biografia come unione metafisica, spirituale. Ogni gesto, ogni azione, la natura stessa dell’uomo e il suo manifestarsi nel mondo, pur desacralizzato e secolarizzato, avrebbero per il letterato rumeno una meta riconducibile ad un elemento sacrale. Anche se non evidente, affatto manifesto – e per ciò stesso più potente che se lo fosse – il sacro secondo Eliade è sempre intorno a noi, lo è dalla notte dei tempi e non cessa di condizionare, pur inconsciamente, l’uomo nelle sue scelte e nelle sue creazioni, pur alle soglie di una civiltà postindustriale. La ricerca del sacro, delle credenze e dei culti religiosi più nascosti e disparati, del mito primordiale e delle sue successive metamorfosi, dell’origine del flusso spirituale nel tempo e nella storia, al di là del tempo e della storia, saranno per Mircea Eliade, sin da giovanissimo, i motivi primi, quasi totalizzanti e ossessionanti, del suo essere nel mondo.

Alessandro Mariotti, trentatreenne fiorentino e docente di storia e filosofia, ci introduce nel mondo dello storico delle religioni e saggista rumeno proprio rivalutando l’aspetto letterario, a noi italiani – e non solo, anche in larga parte d’Europa – totalmente sconosciuto (basti pensare che circola, e da poco, grazie al film omonimo di Francis Ford Coppola, il solo Un’altra giovinezza tra i suoi romanzi nel Bel Paese) per motivi politico-ideologici che andremo tra breve ad affrontare. Questo per affermare, già in sede di introduzione, che Mircea Eliade, come ci svela l’attenta e accurata biografia, era letterato a tutto tondo e non dunque “solo” uno storico delle religioni. L’ossessione per una ricerca del sé trascendente, di una via iniziatica che spiegasse le nefaste contingenze e il dolore, sono temi che emergono chiari nei suoi romanzi fortemente autobiografici. Mariotti traccia la figura di quest’uomo geniale, controverso e straordinario, fin dalla prima giovinezza, tempo nel quale Eliade prova forte disagio nei confronti dell’altro sesso, per una distorta o comunque non sana percezione del proprio fisico, per il suo sentirsi brutto e impacciato, destinato ad esser rifiutato. Nel periodo dell’adolescenza, che amplifica a dismisura le sue paure nei confronti dell’alterità femminile, sente totale vicinanza con l’italiano Giovanni Papini, del quale su consiglio di un amico aveva letto Un uomo finito, appena uscito in traduzione rumena. “Un vero e proprio colpo di fulmine”, lo definirà Eliade nei suoi scritti, la prima vera grande influenza letteraria e spirituale, la prima grande affinità elettiva intellettuale provata dal grande saggista rumeno. Eliade ammirava il coraggio e la sfrontatezza di Papini, il suo essere controcorrente e spiritualmente a lui affine, tanto da ispirargli il suo primo romanzo, Romanzo dell’adolescente miope: “Papini mi ha aiutato ad essere me stesso. Mi ha insegnato a camminare a piede fermo davanti al Mondo e gridare: Ecco, questo sono io. Ormai non mi fanno più paura gli altri (…) Terrò sempre la fronte sollevata e sputerò la risata sulle masse. Quello che prima tramava timidamente dentro di me, ora freme rumorosamente e con impetuosità. (…) Tutti mi appaiono incapaci, meschini, insignificanti. Sul volto di ogni passante non scorgo altro che il riflesso comico e miniaturizzato del mio essere. IO! Solo ora capisco tutto il pregio, tutto l’oro, tutti i doni celesti che si celano dietro il canto d’incanto e di terrore”.

Le vicende del giovane Eliade si intrecciano, in una affascinante narrazione, con il periodo più ricco di speranze e foriero di cambiamenti per il popolo rumeno, che aveva da poco, in conseguenza degli accordi post bellici, riottenuto gli antichi territori e dunque ridefinito i propri confini. Siamo alla metà degli anni Venti, ed Eliade comincia a farsi conoscere e ad ispirare quella che si autodefinì la Giovane Generazione, un gruppo di giovanissimi intellettuali che guardava oltre e cercava altro rispetto ai padri. La giovinezza assume valore universale e il sacro e lo spirituale diventano l’orizzonte cui tendere. In un simil contesto la figura di Eliade emerge prepotentemente sulla ribalta intellettuale, suscitando l’entusiasmo dell’allora adolescente Cioran, che guardava al grande letterato come a un modello cui ispirarsi. Sono gli anni in cui si fa largo, sulla ribalta politica, un movimento di destra radicale e spirituale denominato Legione dell’Arcangelo e guidato dal carismatico Corneliu Zelea Codreanu. Mutato successivamente il nome in Guardia di Ferro, il movimento di Codreanu ben si sposava con la ricerca di una condizione che trascendesse la mera materialità dei giovani intellettuali rumeni, ma in un primo momento Eliade scelse di mantenere equidistanza rispetto alle contese politiche. Certo Eliade odiava il comunismo, e lo odiava più di ogni altra ideologia, per il suo essere sostanzialmente antagonista a una visione spirituale della vita. Il viaggio in India, che fu fondamentale per la formazione dello storico rumeno, allontanò momentaneamente Eliade dalle controversie politiche della madrepatria e gli fece invece scoprire l’amore per la prima volta. Non solo l’amore, ma anche la consapevolezza d’aver trovato la sua giusta dimensione, una terra in cui la spiritualità è vissuta più intensamente fino a diventare elemento fondante della vita degli individui. Tornato dopo tre anni in Romania, Eliade si avvicina sempre più al movimento guardista, fino a sentirsi coinvolto nel progetto immaginato da Codreanu, appoggiato con sempre più enfasi dalle pagine delle riviste su cui scriveva. Il grande letterato non immagina che proprio quella vicinanza, quelle sue scelte politiche, dal secondo dopoguerra in poi, sarebbero state il grande ingombro, spesso volutamente celato, della sua esistenza; il motivo per il quale, pur più volte proposto e meritevole, non vinse mai l’ambito Nobel per la letteratura. Dopo la morte di Codreanu, ucciso vigliaccamente dalle guardie del Re, Eliade subì anche un periodo di prigionia, cui prima dell’epilogo a lui non favorevole della guerra seguì anche l’esilio, per sfuggire l’imminente dittatura comunista e la inevitabile nuova prigionia. Dal 1942 alla fine dei suoi giorni Mircea Eliade non poté più tornare nella madrepatria.

Cominciò cosi un periodo di disagio economico e di cambiamenti, che lo portarono ad abitare a Londra, a Lisbona, a Parigi, a Chicago, con frequenti viaggi nell’amata Italia, inizialmente in compagnia della prima moglie e della figlia di lei e successivamente, con la seconda, dopo esser rimasto vedovo. In questi viaggi conosce e stringe amicizia con grandi intellettuali del Novecento, tra cui Carl Gustav Jung, Georges Dumézil, Ernst Junger, Julius Evola, José Ortega Y Gasset, Giuseppe Tucci, Raffaele Pettazzoni e Paul Ricoeur, oltre a coloro che avevano già incrociato la sua strada, i già citati Papini e Cioran, e senza dimenticare i suoi maestri, Nae Ionescu e l’indiano Dasgupta. Saranno gli anni della consacrazione a livello accademico come massimo esponente di storia delle religioni, ma anche della malinconia e del decadimento fisico, delle dure prove del dolore e della consapevolezza che per la sua infinita ricerca non basta una sola vita. L’ultimo trentennio di vita lo vede, con sua sorpresa, protagonista negli Stati Uniti, attraversare con curiosità l’avvento del movimento hippie (portatore, a suo avviso, di un nuovo e interessante modo di viver la spiritualità) e i mutamenti sociali e di costume, mai perdendo però la direzione originaria, la strada che aveva scelto sin da adolescente di intraprendere. Attraverso i suoi testi più famosi, Il mito dell’eterno ritorno, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Tecniche dello yoga, Il sacro e il profano e il Trattato di storia delle religioni, Eliade sviluppa le sue fondamentali speculazioni filosofiche intorno ai concetti di rito, sacrificio, mito, al dualismo sacro-profano e al significato dell’iniziazione nello sviluppo umano. L’idea di partenza è sempre che l’uomo vive una persistente dimensione sacrale, mai offuscata dalla contingenza vissuta: anche il Novecento, tempo del nichilismo assoluto, non cela ai suoi occhi le manifestazioni del sacro, spesso dissimulate o nascoste nell’ingegno umano e nell’arte. L’iniziazione, a suo avviso alla base di tutti i processi spirituali, di creazione o di rinascita, è fondata su “un’unica logica articolata in tre passaggi: separazione dallo stadio ordinario, resurrezione iniziatica e inizio di una nuova condizione umana e personale”. L’iniziazione necessita sempre di una morte mistica, rituale, che innesca un processo di rigenerazione e rinascita. Si muore più volte nella vita, afferma Eliade, tanto che la morte come atto fisico, annullamento delle funzioni corporee, non può e non deve far paura all’essere umano consapevole dell’esistenza della dimensione sacrale e spirituale: “La morte iniziatica, sul piano strettamente mitologico e cosmico, equivale a una cosmogonia: è il passaggio dal Caos all’ordine”. Nelle sue gesta, in effetti, l’uomo, secondo Eliade, imita sempre l’archetipo mitologico; attraverso il rito riesce ad essere contemporaneo ad esso. Di qui, grazie anche alla fondamentale esperienza in India, la concezione che il tempo storico sia l’inganno e che il tempo circolare, emotivo e spirituale, sia quello in cui si manifesti l’imitazione continua dell’archetipo mitologico. E ciò ci aiuta meglio a comprendere l’avversione nei confronti dell’ebraismo e delle religioni storiche, come ci spiega chiaramente Mariotti: “Eliade sembra imputare parte della desacralizzazione del mondo moderno alle religioni storiche. L’Ebraismo, per esempio, essendo una religione che si è manifestata nella Storia, ha fatto sì che la storia fosse per la prima volta l’epifania di Dio. Grazie all’Ebraismo i fatti storici acquistano significati religiosi, divengono manifestazioni dell’opera di Dio. (…) L’ebraismo prima e il Cristianesimo poi hanno valorizzato il ruolo della Storia come manifestazione concreta della divinità, quindi hanno lasciato che il tempo lineare, in cui ogni evento è irripetibile, venisse a sostituire la logica dell’eterno ritorno, in cui il tempo viene rigenerato dalla ripetizione degli archetipi. (…) L’Ebraismo e il Cristianesimo hanno incatenato l’uomo alla Storia”. (pp.196-197). Pertanto, secondo Eliade: “solo l’atto rituale e religioso può determinare un ritorno al passato, una piena ripetizione dell’evento mitico nel presente storico”. (p.119)

Ultima notazione fondamentale per tratteggiare a grandi linee il pensiero dello storico e letterato rumeno, è l’introduzione nel Trattato del termine ierofania (dal greco, ieros: sacro). Figura centrale della sua teoria, lo ierofante è colui che manifesta (e incarna) il sacro nel mondo: un oggetto diviene una ierofania quando esprime “una cosa diversa da sé”: “La ierofania presuppone un scelta, un distacco netto dell’oggetto ierofanico rispetto al resto circostante”. Cessa pertanto di essere un semplice oggetto profano per acquisire una nuova dimensione sacrale. Con questo termine, poi ripreso da molti studiosi e storici delle religioni, Eliade vuol trovare una chiave di lettura alle manifestazioni del sacro nel mondo, vuol dar loro un nome riconoscibile e valido in ogni tempo. Le ierofanie sono pertanto riconoscibili e di natura duale, secondo Eliade, essendo esse compartecipi dell’eterno e del finito, del sacro e del profano.

Davvero un grande lavoro, documentato e necessario, quello che ci propone Alessandro Mariotti nel voler portare alla giusta evidenza una figura abbastanza ostracizzata, soprattutto alle nostre latitudini e dopo gli anni Settanta, come quella di Mircea Eliade, senza alcun dubbio, unitamente a Dumézil e Guénon, il più grande storico delle religioni del Novecento. Ma Eliade, come detto, non fu solo storico e saggista, bensì anche prolifico romanziere. Le sue opere di narrativa ebbero grande successo in patria, prima dell’avvento del comunismo, e avrebbero potuto avere vasta distribuzione in occidente se Eliade non avesse subito la stessa sorte dei tanti “intellettuali sconfitti” dopo il secondo conflitto mondiale. Il regime di Ceausescu, oltre a tenerlo per sempre lontano dalla Romania, fece tabula rasa dei suoi romanzi, evitando ogni qual volta ne ebbe l’occasione, nonostante la notorietà raggiunta dal grande letterato, di favorire il finanziamento delle sue notevoli opere di ricerca. Eliade ebbe problemi anche per le sue frequentazioni politiche, nel dopoguerra sempre celate (denotando non troppo coraggio, a dire il vero), per l’antisemitismo conclamato degli anni della giovinezza rumena, per la vicinanza con il movimento legionario di Codreanu e per le simpatie per Salazar e il Nazionalsocialismo. Per questo non vinse il Nobel, come già accennato, e sempre per questo è un nome non noto come meriterebbe oltre una cerchia intellettuale lontana dai suoi campi d’indagine. Ha lasciato comunque eredi affascinati dalla sua importante ricerca, veri e propri discepoli o anche solo studenti che lo hanno amato e venerato. Nonostante lui tentasse sempre di minimizzare i suoi meriti, ai loro occhi: non era un mistico, e a conti fatti nemmeno un religioso, come ci conferma l’amico Cioran, che in adolescenza l’aveva definito il mito della Giovane Generazione: “Eliade l’ho conosciuto quando ero studente. Una cosa è essere religiosi, un’altra è appassionarsi a tutti gli dèi, a tutte le religioni. Se sei religioso non vai a fare il giro del mondo per vedere quello che credono in Asia. Se si è religiosi, un dio basta, o al massimo due. A Eliade interessano tutti. Ha voluto parlare di tutti gli dèi. Il che non è contrassegno dell’uomo religioso”. (p.114).

Federico Magi, giugno 2008.

Edizione esaminata e brevi note

Alessandro Mariotti (Firenze 1974) si è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Da sempre studioso di Mircea Eliade, insegna Filosofia e Storia ed è autore del saggio Il riscatto del presente. Ernesto de Martino e Mircea Eliade.
Alessandro Mariotti, Mircea Eliade, Castelvecchi Editore, Roma, 2007.
Mircea Eliade (Bucarest, 13 marzo 1907 – Chicago, 22 aprile 1986) è stato storico, scrittore e antropologo rumeno. Uomo di cultura vastissima e di straordinaria erudizione, grande viaggiatore, parlava correttamente otto lingue: rumeno, francese, tedesco, italiano, inglese, ebraico, persiano e sanscrito.