Petroni Giulio

Tepepa

Pubblicato il: 1 Luglio 2007

L’epoca dello spaghetti western è stata non lunghissima ma intensa e prolifica, ha partorito opere che incontrarono il gusto degli italiani e non solo, andando a solleticare l’attenzione di altre cinematografie occidentali e orientando non poco il cinema orientale di genere degli ultimi venti-venticinque anni. Tra le opere da esportazione di maggiore interesse indubbiamente c’è Tepepa, del bravo Giulio Petroni (Non commettere atti impuri, Crescete e moltiplicatevi, Da uomo a uomo, La vita qualche volta è dura, vero Provvidenza?), pellicola uscita nel caldo Sessantotto che intreccia, come farà anche il Sergio Leone di Giù la testa, il tema della rivoluzione a risvolti più intimi ed esistenziali, non volendo, fortunatamente – al pari di Leone –, far pedagogia spicciola a tutti i costi, ma cercando di costruire una storia in linea col fermento politico-sociale ed il turbinio emotivo del tempo che l’avrebbe ospitata.

Il rivoluzionario Tepepa (Tomas Milian), proprio il giorno della condanna a morte, viene salvato da Henry Price (John Steiner), un misterioso medico inglese spacciatosi per seguace degli studi lombrosiani. In realtà lo ha sottratto alla morte per dargliela lui stesso, di sua mano. Tepepa non capisce, ma dopo un improvviso sconcerto, riesce a volgere la situazione a suo favore e fuggire, in circostanze assai rocambolesche. Intanto, il colonnello Cascorro (Orson Welles), colui che aveva imprigionato Tepepa, è già sulle sue tracce. In Messico la rivoluzione era stata vinta, i proprietari terrieri cacciati, le istituzioni democratiche si erano insediate, eppure tutto sembrava esser tornato al tempo precedente la rivoluzione. Tepepa non può credere che il Presidente Madero, democraticamente eletto col consenso di tutti i peones del Messico, abbia tradito lo spirito della rivoluzione: quando si accorge che i suoi timori sono inconfutabile realtà, decide di dar vita ad una nuova rivoluzione che veda ancora una volta i peones in prima linea contro la rinnovata ingiustizia. In sostanza, nulla era realmente mutato. Ma le strade del dottore e del peone più amato del Messico si intrecciano a più riprese, evocando un ricordo doloroso, per il dottore, che muove a vendetta. Eppure Tepepa, abile nel capire la natura umana pur senza aver cultura, quasi convince il dottor Price della sua estraneità a ciò che l’inglese gli imputa. E poi c’è un ragazzino, che ha perso il padre per mano di Tepepa, causa tradimento, che nonostante tutto riesce a dare una grossa mano alla neoanata rivoluzione. Nell’epilogo si risolvono tutti i conti personali, tra Tepepa e il feroce colonnello, ma anche tra il dottore e il rivoluzionario. E non finisce li. C’è un ultimo conto da saldare: la rivoluzione cavalca negli occhi di un impavido ragazzino.

Tepepa, solo lievemente sotto l’opera del maestro Leone, è tra i migliori film di genere partoriti al tempo. E dirò di più, è un film ad ampio respiro che può a giusta ragione abbandonare il recinto di genere per invece esser giudicato opera totale, complessa ma allo stesso tempo scorrevole, ottimamente sceneggiata e diretta da un bravo regista ora dimenticato, forse poco valorizzato anche all’epoca. Il tema della rivoluzione, come accennato in sede di introduzione, è un innesco per parlare dell’attualità politica e del sogno di una generazione in lotta, ma è anche, soprattutto, un viaggio nelle inevitabili contraddizioni e imperfezioni della natura umana: tutti i personaggi, anche il puro d’animo Tepepa, hanno qualcosa da farsi perdonare, qualcosa che può generare istinto di vendetta. Ed in effetti, nel bellissimo finale del film, un grande Tomas Milian quasi si concede, morente ma pieno di speranza, alla vendetta del dottore il quale chiude i conti con l’esistenza più che con il peone, in modo doloroso ma freddo, quasi impassibile, perché l’amore è più forte di tutto, pure della rivoluzione. La dimensione epica dell’opera di Petroni è sicuramente inferiore – restando sul parallelo proposto in apertura – a quella dei film leoniani, ma comunque presente nell’evocare una sensazione di narrazione sospesa e atemporale nel momento in cui il contesto politico-sociale si fa scenario personale, esistenziale, sapientemente amplificato da una colonna sonora – del grande Morricone – comunque mai invadente. Come Leone, Petroni fa ampio uso dei primi piani, non si nega il flashback come intermezzo per digressioni simbolico-narrative, ma è meno maniacale nella ricerca del dettaglio, regalando qualche virtuosismo di macchina in alcuni frangenti della pellicola, in particolar modo nelle riuscite sequenze dell’incipit e nelle suggestive sovrapposizioni di immagini della chiusura: il volto di Tepepa, oramai morto, si erge simbolico sul gruppo di peones a cavallo in marcia per la rivoluzione, guidata da un bambino.

Ciò che valorizza ulteriormente la pellicola di Petroni è l’azzeccato cast, in cui splende la stella di un Tomas Milian davvero in parte, forse alla più grande prova della carriera, mi spingerei ad affermare. Non è certo questo il contesto più adatto, ma è giusto spendere due parole per questo ottimo attore di genere e caratterista il quale, cubano, proveniente dal prestigioso Actor’s Studio di New York, trovò in Italia la sua seconda patria e partecipò, spesso da protagonista, ad un numero infinito di pellicole nostrane, tra la fine dei Cinquanta e la metà degli Ottanta. E poi c’è Welles, signori, al suo primo film italiano, il quale non ha bisogno di gigioneggiare nemmeno troppo, tanto il volto e il fisico corpulento gli permettono di incarnare un appesantito e quanto mai feroce censore della rivoluzione: è magnetico, come al solito, e nel breve incontro con Milian dà vita ad una delle sequenze più riuscite della pellicola. John Steiner è invece quasi sempre silente, vagamente inespressivo; misurato come richiesto dal personaggio affidatogli: concederà – vado a memoria – solo un sorriso, curiosamente e inconsapevolmente, prima della morte.

Il tema politico che evoca l’opera di Petroni è forte, forse consueto per l’epoca ma quanto mai scomodo se riproiettato sulla nostra attualità. In sostanza è il tema principe del secolo che da pochi anni ci ha lasciato, il Novecento: che differenza c’è tra una dittatura e una democrazia se i privilegi restano sempre agli stessi? E Petroni è impietoso ed inequivocabile nel giudizio di fondo, che sempre emerge dalla vicenda personale dei protagonisti: è una grossa presa per il culo, tutto cambia per non cambiare. Il tradimento di Madero è, in effetti, per l’intrepido Tepepa, molto più grave della ferocia di chi tiranno – o servo del tiranno: l’esercito – lo è sempre, oserei dire coerentemente, stato. Ecco che il tema proposto nel Sessantotto da Petroni non è poi cosi sbagliato riproporlo oggi, tempo in cui le democrazie sono sempre “serve” dei poteri forti, delle lobbies, che sono tragicamente le stesse, solo riaggiornate per l’epoca, dominanti con fare tirannico le sorti dell’umanità, volendo proporsi – ed è questo il tema e il parallelo con la critica proposta da Petroni –, al contrario, come protettrici del bene comune, investite dal popolo e legittimate dal sistema democratico, quanto mai perverso nel suo svilire in sé ogni istinto di rivolta.

Per tutti i motivi su elencati, e considerando la recente reperibilità in DVD (davvero un bel DVD, molto curato, pieno di extra e non massacrato dai tagli che al tempo l’opera subì), Tepepa è un film che vi invito decisamente a riscoprire, avendo chiaro che il tempo non ha minimamente intaccato il valore di una tra le migliori pellicole partorite in epoca sessantottina, degnamente apparentata col grande cinema di Sergio Leone, volendovi segnalare il meglio che lo spaghetti western ci ha regalato.

Federico Magi, luglio 2007.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Giulio Petroni. Soggetto e sceneggiatura: Ivan Della Mea, Franco Solinas. Direttore della fotografia: Francisco Marìn. Scenografia: Guido Josia. Costumi: Gaia Romanini. Montaggio: Eraldo Da Roma. Interpreti principali: Tomas Milian, Orson Welles, John Steiner, Luciano Casamonica, Angel Ortiz, Annamaria Lanciaprima, José Torres, Palma Cela, George Wang, Giancarlo Badessi. Musica originale: Ennio Morricone. Produzione: Alfredo Cuomo e Nicolò Pomilia per Filmamerica, S.I.A.P. (Roma),P.E.F.S.A. (Madrid) Titolo originale: “Tepepa… viva la revolucion”. Origine: Italia / Spagna, 1968. Durata: 136 minuti.