Némirovsky Irene

David Golder

Pubblicato il: 12 Novembre 2007

David Golder è un uomo d’affari ebreo d’origini russe, residente in Francia, ricchissimo e potente, spietato e senza scrupoli tanto da causare il suicidio del suo socio Marcus, col quale il sodalizio durava da ventisei anni.

Il suo stesso cognome sembra essere un omen: Golder- gold- oro.

Durante la sua vita ha pensato solo al denaro e agli affari “divinità terribile” e ha dovuto ricominciare più volte.

David Golder ha anche una moglie, Gloria, e una figlia Joyce: donne frivole e avide, interessate ad usarlo per rifornirsi di soldi, ossessione di tutti i personaggi.

Il vile, sporco denaro è il vero leit-motiv del romanzo, ogni movimento ruota attorno a questo polo fisso: come procurarselo, come conservarlo, investirlo, come perderlo e recuperarlo, a chi lasciarlo dal momento che non è possibile portarselo in tomba.

Ha qualcosa di torbido e affascinante la facilità e la rapidità con cui i patrimoni si perdono e si riconquistano in questo libro. Forte è l’insistenza sul tema della ricchezza e il sottile disprezzo che l’Autrice lascia trasparire per una società inchiodata a un vuoto morale, a un’assenza di valori, a un materialismo che tritura sentimenti e affetti in una lotta senza esclusione di colpi.

Némirovsky stessa affermò di aver voluto riferirsi nel romanzo, non tanto agli ebrei francesi stabilitisi nel paese da generazioni, quanto piuttosto agli ebrei cosmopoliti nei quali la passione per il denaro sovrasta ogni altro sentimento.

Rimane il fatto che depositari della ricchezza e protagonisti sono proprio gli uomini d’affari ebrei, Golder per primo, ritratto nella sua vecchiaia:

Era un uomo di più di sessant’anni, enorme, con le membra grasse e flaccide, gli occhi color dell’acqua, vivacissimi e opalescenti; folti capelli bianchi gli incorniciavano il viso devastato, duro, come plasmato da una mano rozza e pesante”. (p.15)

È cinico, freddo, temuto e odiato nel mondo dell’alta finanza per la sua implacabilità, vive rapporti umani basati sul solo interesse e fino alla morte penserà solo e soltanto agli affari.

Il ritratto che ne offre L’Autrice è legato a tipici stereotipi negativi, non privi di diffusi pregiudizi sugli ebrei. Ecco il ritratto di Golder in convalescenza (è infatti gravemente cardiopatico):

“Avviluppato in una palandrana grigia, consunta, con una sciarpa di lana attorno al collo e in testa un logoro cappello nero, assomigliava singolarmente a un vecchio rigattiere ebreo di un villaggio ucraino”. (p.94)

Non c’è alcuna forma di pietà per lui, anzi un’insistenza ripetuta sulla sua bruttezza, meschinità – esteriore e interiore – sulla sua progressiva e inesorabile decadenza.

Golder morente ritornerà addirittura alle origini: avrà per unica compagnia un ragazzotto che gli ricorda sé stesso giovane emigrante povero e parlerà in yiddish, la lingua della sua infanzia. Per quanto arricchito è rimasto sempre l’ebreo russo di provincia, meschino, abituato alla miseria e allo squallore.

Neppure vengono risparmiati i colleghi di Golder, altri ebrei dall’aspetto ripugnante come Fischl:

“Stava ritto sulla soglia, un piccolo ebreo grasso, con i capelli rossi e la carnagione rosata, l’aspetto comico, ignobile, un po’sinistro, gli occhi sfavillanti d’intelligenza dietro gli occhiali sottili con le stanghette dorate, l’ampio ventre, le gambette gracili, corte e arcuate, le mani da assassino che reggevano tranquillamente una scatola di porcellana contenente caviale fresco, stringendosela al petto”. (p.44)

I toni sono addirittura caricaturali e fanno uso di tutti gli stereotipi comuni sugli ebrei, tanto da far pensare a un antisemitismo dell’Autrice, che però sarebbe una contraddizione in termini poiché ella stessa era ebrea.

È evidente che i legami della Némirovsky con la sua cultura d’origine non devono esser stati molto forti, nessuna sensibilità c’è da parte sua verso la spiritualità ebraica dell’Europa orientale ad esempio, lei stessa comunque nel 1935 si dichiarò orgogliosa d’essere ebrea, anche se l’eccessiva consuetudine col denaro, la centralità data a questo strumento dovevano apparirle come qualcosa d’infamante e squallido.

Le figure femminili non riescono ugualmente a riscattarsi. Gloria, la moglie di Golder, è una donna ossessionata dal culto della giovinezza e della bellezza con risultati grotteschi. Il suo aspetto fisico dice molto: se spalle, braccia, seno si sono ben conservati, “il collo rugoso, la carne molle e tremolante del viso, quel belletto rosa scuro, che alla luce prendeva sfumature malva, le conferivano un’aria decrepita, sinistra e comica”.(p.53)

È una donna egoista e avida, incapace di vedere oltre sé stessa, lamentosa di fronte alla malattia del marito, che vede già come un “inutile moribondo”.

Vive anche un sottile gelosia verso la figlia Joyce, carina, ma sciocca, superficiale e viziata, tutta presa dalla contemplazione della propria bellezza.

Il suo interesse per il padre si risveglia quando ha bisogno di denaro, a questo serve infatti il vecchio Golder: è una miniera e più lo assediano, più avaro e spregevole diventa.

Attorno ai personaggi principali ruota tutta una fauna di sfaccendati, nobili decaduti, mantenute: quella società che la Némirovsky frequentò e che conosceva bene.

Un ultimo rapporto rimane da indagare: quello con la malattia – l’odiato imprevisto della vita di Golder. Descritta con precisione nei suoi sintomi, oggetto di riflessione da parte di Gloria – il dilemma è dirlo o meno a Golder, poiché la consapevolezza della sua gravità avrebbe potuto portarlo a smetterla con gli affari, quindi non sarebbe stato più sfruttabile – la malattia suscita dapprima una strana reazione nel protagonista, che non chiede informazioni sul suo stato.

Il dipanarsi della trama rivelerà il duro carattere dell’uomo anche di fronte al male.

Primo romanzo della Némirovsky, scritto tra 1925 e 1929, fu pubblicato da Grasset. L’Autrice aveva inviato il manoscritto per posta, ma senza lasciare nome e indirizzo, bensì solo un numero di casella postale. L’editore fece stampare un annuncio sui giornali per invitare lo scrittore a farsi vivo e con grande sorpresa si vide davanti la Némirovsky, che interrogò a lungo per esser certo che non facesse da prestanome a un autore più famoso. Il romanzo ebbe subito un grande successo.

articolo apparso su lankelot.eu nel novembre 2007

Edizione esaminata e brevi note

Irene Némirovsky, (Kiev 1903-Auschwitz 1942) scrittrice ucraina in lingua francese. Figlia di un ricco ebreo russo di origini francesi, ex commerciante di granaglie e divenuto uno dei più potenti banchieri di tutte le Russie, si appassiona alla letteratura – soprattutto francese – in giovanissima età. Impara il francese dalla sua governante, ma parla anche il polacco, il russo, l’inglese, il basco, il finlandese e capisce lo yiddish.

Nel 1917 a causa della rivoluzione la Némirovsky lascia in fretta San Pietroburgo con la famiglia per rifugiarsi in Francia, dove si sistema definitivamente. Il suo primo romanzo “David Golder” (1929), pubblicato da Grasset, riscuote grande successo. Nel 1926 sposa Michel Epstein, giovane ingegnere, dal quale avrà due figlie. Negli anni successivi a causa dell’antisemitismo si converte al cristianesimo e fa battezzare le figlie, nella speranza di salvarsi dalla furia nazista. Arrestata, morirà ad Auschwitz, il marito avrà la stessa sorte poco tempo dopo.

Opere: “Il ballo” (1930); “Come le mosche d’autunno”(1931); “L’Affaire Courilof” (1933); “Le vin de solitude” (1935); “Suite francese “ (postumo nel 2004, pubblicato dopo il ritrovamento del manoscritto).

Irene Némirovsky, David Golder, Milano, Adelphi 2006. Traduzione di Margherita Belardetti.

Links: Sito ufficiale dell’autrice:

http://pagesperso-orange.fr/guillaumedelaby/in_index.htm

http://www.zam.it/home.php?id_autore=2684