Pincio Tommaso

Un amore dell’altro mondo

Pubblicato il: 1 Agosto 2016

Il passaggio tra la fine degli anni ’80 e i ’90 del secolo scorso corrispondono, più o meno, agli anni della mia adolescenza. Sono gli anni che Pincio richiama e rivive in “Un amore dell’altro mondo”. Sono gli anni di Twin Peacks e della Guerra del Golfo, gli anni in cui l’Aids spaventava il mondo e gli anni in cui un certo Kurt Cobain cominciava a farsi notare. Personalmente di chi abbia ucciso Laura Palmer, nonostante la (s)mania televisiva di molti miei coetanei, non mi è mai fregato granché. La Guerra del Golfo e l’Aids imperversavano a prescindere e Kurt Cobain l’ho conosciuto praticamente nel momento in cui si sparava. Se mettiamo in conto anche il fatto che non ho mai retto le storie di alieni e di invasioni ultracorporee e che certa letteratura americana (perché questo Pincio è molto americano) mi dà la nausea, avrei semplicemente dovuto mettere da parte “Un amore dell’altro mondo” e leggere altro. E invece no. Nonostante dentro questo romanzo ci sia molto di quello che, come lettrice, sopporto poco, non ho avuto alcuna esitazione: libro iniziato, seguito, amato, scavato, ripreso, scrutato, terminato. Ora ne scrivo, persino.

Homer Boda Alienson. Trattasi probabilmente di fisima “pinciana”, ma credo che giocare coi nomi sia suo gran diletto. Homer. Dentro ci si trova “home”: una casa. Alienson. Dentro c’è “alien”: un alieno. E Boda? Boda gli serviva e basta. Dunque Homer Boda Alienson o Homer B. Alienson è il protagonista indiscusso della storia tanto che per diverse pagine mi sono chiesta dove fosse finito il cantante dei Nirvana visto che sulla quarta di copertina mi si annunciava “il libro che ha dato corpo una volta per sempre al fantasma di Kurt Cobain“. Poi ho capito che, in effetti, dentro “Un amore dell’altro mondo”, c’è solo il fantasma di Kurt. Il suo ologramma, il suo alter ego, la sua ombra. Anche perché, a conti fatti, Homer finisce per diventare, a modo suo, una versione di Kurt. Di certo “Un amore dell’altro mondo” non può definirsi una biografia di Cobain. Lo è, forse, solo in maniera sotterranea e sfuggente, solo di riflesso o per proiezione.

Torniamo al nostro “eroe”. Homer ha vissuto un’infanzia accettabile. Almeno fino al momento in cui la sua famiglia è andata in frantumi e i suoi genitori hanno deciso di non voler stare più insieme. Da quel momento Homer ha scelto di smettere di dormire. “Homer B. Alienson smise di dormire […] all’età di nove anni. Era ancora piccolo, ma aveva visto e patito abbastanza per capire che non c’era da fidarsi del mondo degli adulti da cui era costretto a dipendere. Aveva scoperto che i posti in cui ci si sente protetti sono gli stessi in cui si annidano le minacce più insidiose, e aveva bollato gli anni ingannevolmente felici della propria vita come quelli in cui si era preparato il momento giusto per farlo cadere in una botola di tristezza da cui risalì con le ossa del cuore rotte“. Semplicemente Homer, in un certo momento della sua infanzia, scopre che tutti gli altri, compresa sua madre, non sono più quelli che avrebbero dovuto essere. Difficile spiegare perché e percome. “La diversità che diceva lui non consisteva. Consistere implica la possibilità di individuare un fondamento, ma la diversità che vedeva lui era fatta di niente. Era infondata. Era diversità in sé. Diversità nel senso più diverso del termine“.

La spiegazione vera Homer la trova in un film. È il 1967 e Boda bambino capisce. E capisce perché vede, sul piccolo schermo, esattamente quel che lo illumina: “Invasion of the Body Snatchers” (Invasione degli ultracorpi). Un film che dà ad Homer la possibilità di individuare la ragione di quella diversità: il cambiamento avviene durante il sonno perché gli umani vengono “invasi”: “Ci si addormentava per risvegliarsi in qualcosa di diverso“. Quindi per rimanere quel che si è basta non dormire. E infatti Homer comincia a non dormire scegliendo, tra l’altro, di comunicare coi diversi il minimo indispensabile. Si impermeabilizza, proprio come il film suggerisce. Homer non dorme e non lo fa per anni. Lo ritroviamo poco più che ventenne, insonne e di certo anomalo. Di notte vaga per i boschi di Aberdeen, la cittadina grigia e piovosa in cui vive, mentre di giorno si limita a fare ben poco: al massimo si preoccupa di spedire giocattoli spaziali, ricevuti da bambino in quantità seriali ed ancora ben confezionati, ad appassionati disposti a pagare alcune centinaia di dollari per avere un vecchio modellino di un’astronave giocattolo.

Ed è proprio durante uno dei suoi giri notturni che, sotto un ponte, Homer incontra Kurt. L’empatia pare immediata ed inequivocabile. Homer capisce Kurt e Kurt capisce Homer: “Semmai poteva avere incontrato un bambino dell’altro mondo, quello era Homer. Fece crocchiare le nocche. Quindi si alzò in piedi, infilò la mano in una tasca dei jeans scoloriti e ne tirò fuori una bustina di glassina dal contenuto che sembrava polvere. La fece oscillare nel buio della notte, appesa a pollice e indice. Il sistema“. Dunque Kurt fornì a Homer il sistema per cercare di risolvere un po’ dei suoi problemi. Ed Homer sceglie di fidarsi di Kurt: il sistema dentro quella bustina poteva dargli il riposo che cercava da almeno diciotto anni. Infatti dopo che Homer si inalò il sistema su per il naso, come Kurt gli aveva spiegato di fare, finalmente, l’intero universo si fuse in qualcosa di accettabile. “Era perfetto. Era rilassato. Era sospeso. Era bianco. Era tutto. Era al sicuro. E capì. Capì. Adesso capiva di avere passato una vita a preoccuparsi e a proteggersi. Capiva di aver sprecato i suoi anni migliori a guardarsi dalla gente, dal mondo, dai diversi. Capiva che non c’era niente di cui preoccuparsi, tutto sommato. Cosa potevano fargli? Chi mai avrebbe potuto fargli qualcosa? Perché si era preoccupato così tanto? Perché era stato così in tensione? Le angosce di una vita gli parvero d’un tratto incomprensibili“. E l’esistenza di Homer Boda Alienson muta per sempre. La sua realtà e le sue percezioni della realtà si offuscano e si sovrappongono senza tregua tanto da indurlo non solo a trasferirsi in una cittadina sperduta nel deserto ma anche a pensare di poter avere un amore arrivato direttamente per lui dall’altro mondo, un mondo di alieni e di pianeti distanti che conosce fin da bambino. E così, mentre Kurt diventa una star, Boda (l’amico immaginario) si perde altrove.

L’idea di raccontare, seppur a sprazzi e con l’irreale illuminazione del romanzo, particelle di vita di Kurt Cobain attraverso la mente e il corpo di un altro personaggio è sicuramente il punto di forza di “Un amore dell’altro mondo”. Sprofondare nei vortici di molte pagine è esattamente come sprofondare nelle voragini della coscienza di Homer Boda: spostamenti contorti e contraddittori, visioni deformi, sensazioni accecanti e illogiche. Ma è così che Boda diviene ed è specchio di Kurt, la sua versione semplificata o informe. Onore a Pincio per l’ispirazione e per l’invenzione. “In principio non avevo la benché minima intenzione di scrivere un romanzo su Kurt Cobain. Volevo soltanto raccontare una storia d’amore […] L’idea era più o meno questa, l’amore impossibile tra un uomo che si crede un fantasma e una donna che forse è un marziano“, spiega l’autore. Chiaramente, poi, è andata a finire come saprà chi avrà la voglia di leggere questo buon libro di Tommaso Pincio.

Edizione esaminata e brevi note

Tommaso Pincio (vero nome Marco Colapietro) è nato a Roma nel 1963. Pincio ha esordito come fumettista ed è arrivato alla scrittura solo più tardi. Il suo primo romanzo “M.” è stato pubblicato nel 1999 da Cronopio. L’anno successivo è arrivato “Lo spazio sfinito” (Fanucci) e nel 2002 “Un amore dell’altro mondo” (Einaudi) in cui viene raccontata la vita di Kurt Cobain, leader dei Nirvana. Negli anni successivi, Tommaso Pincio ha pubblicato “La ragazza che non era lei” (Einaudi), “Gli alieni. Dove si racconta come e perché gli extraterrestri sono giunti fra noi” (Fazi), “Cinacittà. Memorie del mio delitto efferato” (Einaudi), “Hotel a zero stelle. Inferni e paradisi di uno scrittore senza fissa dimora” (Laterza), “Pulp Roma” (Il Saggiatore), “Acque Chete” (Mirror), “Panorama” (NN Editore), “Scrissi d’arte” (L’Orma editore). Tommaso Pincio collabora anche con riviste e quotidiani.

Tommaso Pincio, “Un amore dell’altro mondo”, Einaudi, Torino, 2014.

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