Buzzati Dino

Il segreto del bosco vecchio

Pubblicato il: 24 Luglio 2007

Un grande e antichissimo bosco montano: il Bosco Vecchio, luogo suggestivo e misterioso, popolato da geni, da animali parlanti, visitato da venti con un loro temperamento.

Il secondo romanzo di Buzzati è una favola fascinosa ed evocativa, che lascia spazio all’immaginazione e richiede adesione, lavoro di fantasia, perché solo chi ha mente disponibile e sgombra può riuscire a sentire dentro di sé le musiche straordinarie che il vento Matteo sa trarre dagli alberi del Bosco Vecchio col suo soffio.

Soffiando in mezzo ai boschi, qua più forte, là più adagio, il vento si divertiva a suonare; allora si udivano venir fuori dalla foresta lunghe canzoni, simili alquanto ad inni sacri. Quelle sere, dopo la tempesta, la gente usciva dal paese e si riuniva al limite del bosco, ad ascoltare per ore e ore, sotto il cielo limpido, la voce di Matteo che cantava”. (p.37)

La vicenda si svolge nell’arco di un anno e segue così il ritmo delle stagioni.

Il colonnello Sebastiano Procolo eredita dallo zio Antonio Morro una porzione di tenuta boschiva – il Bosco Vecchio – nella Valle di Fondo e una grande casa un po’ tetra fuori dal paese. Il resto dei possedimenti del Morro va al nipote di Sebastiano, Benvenuto, un ragazzo di dodici anni, ospitato in collegio.

Nella prima parte del racconto l’attenzione di concentra sul colonnello, sul suo rigore, il suo piglio militaresco, l’incapacità d’intenerirsi. Persino la sua ombra a un certo momento deciderà d’abbandonarlo (sulla perdita dell’ombra viene alla mente il racconto di von Chamisso, Storia straordinaria di Peter Schlemihl, ma lì l’ombra viene venduta al diavolo oppure Peter Pan di Barrie).

Avido, rigido, freddo, il Procolo giunge a meditare l’eliminazione fisica di Benvenuto per impossessarsi della sua parte di eredità. È un personaggio negativo dotato però di una sua austera dignità e si integra nell’atmosfera fantastica della storia accettando con naturalezza di parlare col vento, con gli animali, con i geni del Bosco Vecchio, sorta di custodi degli alberi che possono uscire dai tronchi e assumere aspetto umano. Loro portavoce e patriarca è il Bernardi, membro della Commissione Forestale, che ha sempre cercato di tutelare il Bosco e di evitare l’abbattimento degli alberi.

Grande sarà la sua preoccupazione alla notizia che l’affarista Procolo intende procedere ben diversamente pur di guadagnare.

Bernardi non riuscirà ad evitare l’abbattimento di un secolare abete sotto gli sguardi costernati degli altri geni delle piante, creature pacifiche e ciarliere visibili solo dai bimbi, ancora liberi da pregiudizi.

Il colonnello è irrispettoso nei confronti della natura: ucciderà senza riguardo la gazza guardiana che da tanti anni annunciava l’arrivo di visite alla casa del Morro, è un egoista che non prova affetto per nessuno e soltanto alla fine un suo gesto di generosità ne decreterà una morte nobile, di fronte a tutti gli abitanti del Bosco Vecchio e agli spiriti dei suoi vecchi commilitoni.

Vero protagonista è il Bosco Vecchio: luogo misterioso, così ricco di presenze da metter quasi paura, è un’entità a sé stante che esiste da secoli, sfida il tempo, le stagioni, è robusto, talvolta oscuro, è un ambiente nel quale ci si può smarrire e morire.

Il Bosco Vecchio è aspro e affascinante come le crode di Barnabo, è fatto di solenni silenzi e dalle voci dei suoi rami accarezzati dal vento Matteo, “eterna voce della foresta nel suo potente respiro”. (p.119)

Non tutti possono cogliere la poesia e la bellezza del Bosco: in genere gli adulti non ne sono più capaci, solo i bambini ancora innocenti riescono a parlare con le creature che lo popolano.

Il raggiungimento della maturità comporta dunque una perdita, come fa osservare il vento Matteo a Benvenuto:

Tu domani sarai molto più forte, domani comincerà per te una nuova vita, ma non capirai più molte cose: non li capirai più, quando parlano, gli alberi, né gli uccelli, né i fiumi, né i venti. Anche se io rimanessi, non potresti, di quello che dico, intendere più di una parola. Udresti sì, la mia voce, ma ti sembrerebbe un insignificante fruscìo, rideresti anzi di queste cose”. (p.149)

Buzzati narra questa favola a chi non vuole dimenticare il bambino che è in lui.

Racconto molto scorrevole e raffinato stilisticamente, “Il segreto del Bosco Vecchio” contiene alcuni temi buzzatiani tipici come lo scorrere inesorabile del tempo.

“…lasciò passare adagio il tempo, il tempo meraviglioso che s’ingrandisce d’ora in ora, inghiottendo senza pausa la vita, e accumula con pazienza gli anni, diventando sempre più immenso”. (p.126)

Solo il Bosco sembra resistere alla corruzione del tempo e vivere una dimensione d’attesa, legata alla sua storia.

Il Bosco Vecchio fu piantato infatti dall’antico brigante Giacomo, detto Giaco, un personaggio pieno d’iniziativa e con un suo piccolo esercito. Un giorno tornò solo, sconfitto e ferito e volle il Bosco per potersi nascondere in caso di necessità. Attese per ottanta anni la crescita delle piante, poi partì per una nuova impresa e non tornò più, ma il Bosco lo attende ancora e cerca di preservarsi intatto. Giaco potrebbe esser scomparso, ma la foresta gli appartiene. Gli alberi, come i soldati della fortezza de “Il deserto dei Tartari”, aspetteranno per anni.

Magia e bellezza del Bosco Vecchio sono state colte e narrate per immagini da Olmi nell’omonimo film.

articolo apparso su lankelot.eu nel luglio 2007

Edizione esaminata e brevi note

Dino Buzzati (San Pellegrino-Belluno 1906-Milano 1972) scrittore, giornalista, drammaturgo e pittore italiano.

Dino Buzzati , Il segreto del Bosco Vecchio, Milano, Oscar Mondadori 2007.

Introduzione di Claudio Toscani. Prima pubblicazione 1935.