Hesse Hermann

Siddharta

Pubblicato il: 25 Luglio 2006

Siamo nell’India del VI secolo a.C., Siddharta è un giovane principe, figlio di un bramino, è bello, intelligente e beneamato da tutti, nulla gli manca, eppure egli è costantemente alla ricerca di qualcosa, di un Atman (l’Unico, il principio cui attingere una volta per tutte), di un sapere superiore e soprattutto di una via verso la perfezione e la pace.

Insieme al fedele amico Govinda, Siddharta inizia la sua sperimentazione esistenziale. Dapprima divengono samana, asceti girovaghi, estranei ed ostili al mondo.

Morire a se stesso, non essere più lui, trovare la pace del cuore svuotato, nella spersonalizzazione del pensiero rimanere aperto al miracolo, questa era la sua meta. Quando ogni residuo dell’Io fosse superato ed estinto, quando ogni brama e ogni impulso tacesse nel cuore, allora doveva destarsi l’ultimo fondo delle cose, lo strato più profondo dell’essere, quello che non è più Io: il grande mistero”. (p.15-16)

Spersonalizzandosi del tutto Siddharta pensa di sottrarsi al ciclo delle trasformazioni, ma quest’esperienza non lo soddisfa e si reca allora ad incontrare Gotama, un saggio già famoso che vive di elemosine con i suoi seguaci in un boschetto messo loro a disposizione da un mercante.

Gotama è un “ometto semplice, in cotta gialla”, che esprime pace da tutto se stesso, non vi è in lui ricerca o desiderio o aspirazione, è “intriso di verità” e predica la liberazione dal dolore.

A questo punto Govinda e Siddharta si separano, perché Govinda s’unisce ai discepoli di Gotama, mentre Siddharta prosegue la sua ricerca. Per quanto perfetto l’insegnamento del vecchio saggio non lo convince, egli sente di dover trovare la sua strada o morire e non desidera avere maestri o dottrine. Il viaggio di Siddharta si rivela sempre più un itinerario all’interno del proprio io, “smembrare e scortecciare” il proprio Io sembra essere il suo scopo, avventurarsi, cercando di non perdersi, in se stesso.

L’influenza della psicoanalisi – cui Hesse ricorse, in particolare a quella junghiana – innestata al buddismo si fa sentire come un sottofondo nel testo.

Siddharta ha così un’altra trasformazione e passa dal rifiuto del mondo alla scoperta della molteplicità.

Il senso e l’essenza delle cose erano non in qualche cosa oltre e dietro loro, ma nelle cose stesse, in tutto”. (p.37)

Siddharta nasce ora per la prima volta ed è solo, poiché il viaggio verso se stessi si fa in questo modo.

La seconda parte, “Il risvegliato”, si presenta più scorrevole e meno argomentativa della prima. È noto che il testo, iniziato da Hesse nel dicembre 1919 subì un’interruzione all’inizio del ’20, proprio dopo la stesura della prima parte, poiché l’Autore si dichiarò incapace di continuare. L’opera venne conclusa entro il 1922.

Pagine di elevato lirismo descrivono la natura con il nuovo sguardo di Siddharta, non più estraniato dal mondo, ma partecipe, meraviglaito, estasiato, in armonia con l’universo.

Molte sono le esperienze mondane che Siddharta non ha ancora sperimentato, prima tra queste l’amore. Egli s’innamora di una bellissima cortigiana, Kamala, per conquistare la quale deve lasciare le vesti del samana e diventare ordinato, elegante, aver danaro e offrirle regali. Siddharta inizia a lavorare presso un mercante, vive la quotidianità in compagnia degli uomini utilizzando ciò che ha imparato nella sua vita precedente.

Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l’acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, ed egli si lascia cadere.La sua meta lo tira a sé, poiché egli non conserva nulla nell’anima propria, che potrebbe contrastare a questa meta .“ (p.54)

Siddharta è determinato e sa distinguere il suo fine (stare con Kamala e amarla) dai mezzi (lavorare presso il mercante), si è impossessato del discernimento. Le sue capacità emergono, lui è il saggio rispetto a coloro che definisce gli uomini-bambini, tutti presi dalle loro faccende contingenti, dalle loro preoccupazioni, spesso agitati per sciocchezze. Siddharta, al contrario, è sempre calmo, sereno, è aperto agli uomini ma, nello stesso tempo, distaccato, uno spettatore, la vita vera gli scorre accanto senza toccarlo ed egli in realtà non ama nessuna creatura umana.

La vita prosegue, passano anni, Siddharta è ormai un uomo quando si prepara una nuova trasformazione.

Poco a poco Siddharta si fa prendere dal demone del gioco ai dadi, diviene avido e sempre più simile a coloro che disprezza. Lungo l’arco della sua vita prova così le più differenti ed opposte condizioni umane, non rifiuta nulla, riesce a passare da un estremo all’altro e sempre cerca, toccando il fondo e poi risalendo.

La nausea esistenziale ha a questo punto il sopravvento, Siddharta ha circa quarant’anni, è sazio di vivere e sta per compiere il gesto estremo quando il ricordo dell’Om, della perfezione, lo ferma. Vive una conversione. Azzardiamo l’ipotesi che in queste pagine risuonino, tra le altre suggestioni, quelle degli studi teologici cui Hesse era stato avviato dalla sua famiglia di missionari pietisti in India.

Siddharta non muore, ma cade in un profondissimo sonno. Può essere quest’ultimo metafora della morte e preannuncio della rinascita a nuova e diversa vita. Al suo risveglio vede tutto con sguardo meravigliato e luminoso, come se fosse la prima volta. Siddharta scopre la gioia del ricominciare, egli doveva vivere tutte le esperienze precedenti per poi rinascere ed amare di nuovo.

Entra in gioco qui un importante personaggio, appena intravisto all’inizio: Vasudeva, il barcaiolo, un uomo saggio, che parla poco e ascolta molto e diviene ben presto un punto di riferimento per Siddharta.

Vasudeva adombra le caratteristiche di uno psicoanalista.

Senza ch’egli avesse detto una parola, Siddharta parlando sentiva come Vasudeva accogliesse in sé le sue parole, tranquillo, aperto, tutto in attesa, e non ne perdesse una, non ne aspettasse una con impazienza, non vi annettesse nè lode né biasimo: semplicemente, ascoltava”.(p.89)

Siddharta – ed Hesse con lui – ha il coraggio di accettare le trasformazioni, ricominciare e scavare sempre più in profondità nel proprio Io.

Vasudeva gli insegna a ricevere gli insegnamenti principali proprio dal fiume,quell’elemento acqueo, primordiale, mortale poco a poco si trasforma da ostacolo e strumento di morte in maestro.

Lui sa tutto, il fiume, tutto si può imparare da lui. Vedi, anche questo tu l’hai già imparato dall’acqua, che è bene discendere, tendere verso il basso, cercare il profondo”. (p.90)

Con Vasudeva, Siddharta impara che “Nulla fu, nulla sarà: tutto è, tutto ha realtà e presenza”(p.92)

Nel finale troviamo un Siddharta invecchiato che trae alcune conclusioni sulla sua ricerca: si sente più vicino agli uomini-bambini che un tempo disprezzava e intravede una forma di saggezza.

Non era nient’altro che una disposizione dell’anima, una capacità, un’arte segreta di pensare in qualunque istante, nel bel mezzo della vita, il pensiero dell’unità, sentire l’unità e per così dire respirarla”.(p.110)

La meta è la docilità agli eventi e al divenire, anche a quello doloroso.

Siddharta sente, come un tempo, di non poter abbracciare nessuna dottrina, nessun maestro, la saggezza non è fatta di parole e non si può comunicare, la si vive.

Siddharta ha avuto molte esperienze e le ha amate tutte, ciascuna a suo modo e ognuna ha il suo valore, verità definitiva o unilaterale non esiste, così come nessun uomo è interamente santo o interamente peccatore.

Il mondo non è impegnato in una via verso la perfezione, è perfetto in ogni istante, così come esso è, e così va vissuto, va lasciato fluire: le suggestioni del buddismo rivisitato da Hesse rivelano qui affinità col pessimismo di Schopenhauer.

L’uomo saggio è docile al divenire, ama il mondo e si apre a tutte le conoscenze in libertà, senza resistervi.

Articolo apparso su lankelot.eu nel luglio 2006

Edizione esaminata e brevi note

Hermann Hesse (Calw, Württenberg 1877- Montagnola Ticinese, Lugano 1962), scrittore tedesco.

Hermann Hesse, Siddharta, La Biblioteca di Repubblica, Roma 2002. traduzione di Massimo Mila.