Leone Sergio

Giù la testa

Pubblicato il: 13 Dicembre 2006

“La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza”. Mao Tze Tung.

“Rivoluzione? Rivoluzione? Per favore non parlarmi di rivoluzione! Io so benissimo cosa sono e come cominciano: c’è qualcuno che non sa leggere i libri che va da quelli che sanno leggere i libri, che poi sono i poveracci, e gli dice: – oh, oh, è venuto il momento di cambiare tutto – Lo so quello che dico, io ci sono cresciuto in mezzo alle rivoluzioni …i più furbi di quelli che leggono i libri si siedono intorno a un tavolo, e parlano, parlano e mangiano! E intanto che fine ha fatto la povera gente? Tutti morti! Ecco la tua rivoluzione! Per favore non parlarmi più di rivoluzione… E porca troia, lo sai che succede dopo? Niente! Tutto torna come prima”. Rod Steiger / Juan Miranda

Con C’era una volta il West doveva chiudersi l’era dei western leoniani: il volto imperscrutabile di Armonica (Charles Bronson), quello incantevole della Cardinale, quello sorpreso e colpito di Henry Fonda dovevano restare nell’immaginario dello spettatore come suggello a un poker straordinario, ad un’epopea irripetibile per il cinema italiano. E non solo italiano. E invece così non fu, o meglio non fu proprio così, perché Giù la testa, western quantomai atipico, oltre alla solita cornice propone temi complessi ed importanti che lo legano più all’ultima, splendida, quanto sfortunata opera del regista italiano – quel C’era una volta in America che è rimasto, probabilmente, come il sigillo più alto della sua intera cinematografia – che ai lungometraggi precedenti.

1917, siamo in Messico, al tempo della rivoluzione dei peones guidati da Pancho Villa e Emiliano Zapata. Non tutti i peones sono rivoluzionari, però. Juan Miranda (Rod Steiger) è un piccolo bandito che vive assaltando diligenze, ha una mezza dozzina di figli – quasi tutti bambini – maschi che lo aiutano nelle sue imprese ed ha un sogno, assaltare la banca di Mesa Verde. Quando sulla sua strada, in circostanze buffe e rocambolesche, incontra il dinamitardo irlandese John (James Coburn), il suo sogno di conquista diventa improvvisamente molto reale. Ma John, in realtà Sean, è un tipo strano e solitario, un cercatore d’argento, un ex rivoluzionario dell’IRA ancora sconvolto da un passato doloroso di idee e fratellanza, per una causa tradita e ora lontana. Dopo un primo rifiuto, l’irlandese si convince solo per un abile ricatto di Miranda il quale, con l’immancabile famiglia al seguito, è adesso pronto, con l’aiuto di John, a dirigersi a Mesa Verde. L’euforia del peone dura poco, allorché John fa perdere ben presto le sue tracce per poi farsi ritrovare, con estrema sorpresa di Juan, proprio a Mesa Verde. Qui l’inganno si rovescia, l’abililtà strategica è tutta di John, il quale riesce a fare di Miranda un piccolo eroe rivoluzionario, ma senza soldi in tasca. Da questo momento in poi Juan, che aveva sempre odiato le rivoluzioni, si trova immerso in una realtà che lo vede protagonista, anche con estremo dolore, fino ad un epilogo sarcastico e malinconico in cui l’utopia collettiva svanisce per lasciar posto alla salvezza individuale, intima ed esistenziale, di un’anima inquieta: quella di John/Sean. Lasciando all’amico una gloria mai cercata, la solitudine, e una domanda che guarda in un futuro imperscrutabile: “ E io?”

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Come si accennava in apertura, Giù la testa non solo è un western diverso dai pur rimarchevoli e comunque classici lungometraggi precedenti, ma è un’opera totale che affronta il discorso rivoluzionario attraverso i temi dell’amicizia, della fratellanza, della speranza, del tradimento e della morte delle illusioni. Tra humour, azione e melodramma, lasciando libertà totale al suo estro creativo, Leone ci regala la sua opera più empatica e frastornante, costruita sulla superba interpretazione di Steiger e Coburn, ma non soltanto. L’uso del flashback, sempre caro al Nostro, ha qui importanza decisiva per la riuscita della pellicola: i fantasmi del passato di Sean sono evocati attraverso uno dei temi musicali più intensi della storia del cinema, la notissima “Sean, Sean” (in realtà porta l’identico titolo della pellicola), che resta una delle perle indiscusse del maestro Ennio Morricone. La macchina da presa spazia spesso in ricerca dei dettagli, privilegiando i tratti espressivi dei volti, esplorando l’anima dei personaggi come pochi altri hanno saputo fare. E Leone, in questo senso, è stato padre ispiratore del cinema di registi di talento quali Argento (che collaborò alla sceneggiatura di C’era una volta il West, e che molto fu influenzato dall’ossessione per il dettaglio), Scorsese, Tarantino, facendo dichiarare allo stesso Kubrick che senza Per un pugno di dollari non avrebbe mai potuto immaginare un film come Arancia Meccanica. Ma al di là della tecnica cinematografica, degli attori ispirati, di una colonna sonora tra le più belle che si possano ricordare, il cinema di Leone, e questo film in particolare, trova la sua esplicazione più immediata nella fluidità narrativa, frutto di una indubbia capacità del regista nel saper raccontare e – soprattutto – amare le sue storie.

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Il tema è forte, il periodo è caldo, le parole estratte dal “Libretto rosso” sono inequivocabili quanto possibilmente fraintendibili a una lettura di superficie. In effetti, al di là dell’intrattenimento e del pathos che la storia restituisce, Giù la testa è un film che può dividere se si vuole a tutti i costi collocarlo politicamente, come a volte è avvenuto. Vederlo con “occhi ideologici” è un errore madornale, perché Leone ha usato la rivoluzione come immagine emblematica e pretesto per parlare di morte delle illusioni e d’amicizia, di dolore e di speranza. Tra le scene da ricordare c’è senza alcun dubbio la lunga sequenza iniziale che esaspera il dettaglio sullo sguaiato masticare dei benpensanti di fronte al peone trasandato, in cui Leone evidenzia senza mezze misure il conflitto di classe in atto. Successivamente, nel cuore della pellicola, il regfista romano ci regala una suggestiva panoramica sui cadaveri dei peones, tra i quali tutti i figli Juan, che dà l’innesco al mutamento emotivo di un personaggio che fino ad allora aveva quasi elusivamente gigioneggiato. Un monumentale Rod Steiger, certamente nella migliore performance – insieme al De Niro di C’era una volta in America – che si ricordi in un film del cineasta romano. Più in generale, grazie alla misurata prova di Coburn, il duo Steiger-Coburn non può non stamparsi nella memoria dello spettatore amante il quale, proprio con Giù la testa, trova il feedback più spontaneo e immediato rispetto a qualsiasi altra opera di Sergio Leone.

Senza esagerare, e soprattutto considerando il genere, pur contaminato, siamo dalle parti del capolavoro. Meno amato di altre sue opere, più dalla critica che dal pubblico, Giù la testa fu per Leone un importante punto di svolta artistica che preludeva, sia pur a quindici anni di distanza, al grande e doloroso affresco C’era una volta in America. Due film che erano semi per un cinema a venire, che sarebbe stato bello poter ammirare se egli non ci avesse lasciato prematuramente. Resta questa perla, a parere di chi vi parla in cima a tutte le sue opere, peraltro notevoli. Per gli amanti della settima arte e non solo.

Curiosità: In realtà Sergio Leone non voleva dirigere il film, bensì solo produrlo, ma viste le insistenze dei due attori protagonisti, che senza la sua presenza dietro la macchina da presa avrebbero declinato l’offerta, fu costretto a cedere. E meno male che è andata così, mi viene da aggiungere.

Federico Magi, dicembre 2006.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Sergio Leone. Soggetto: Sergio Leone, Sergio Donati. Sceneggiatura: Sergio Leone, Sergio Donati, Luciano Vincenzoni. Direttore della fotografia: Giuseppe Ruzzolini. Scenografia: Dario Micheli. Montaggio: Nino Baragli. Interpreti principali: Rod Steiger, James Coburn, Romolo Valli, Maria Monti, Rik Battaglia, Franco Graziosi, Antonio Domingo, Memé Perlini. Musica originale: Ennio Morricone. Origine: Italia, 1971. Durata: 158 minuti.