Ghelli Simone

Voi, onesti farabutti

Pubblicato il: 27 Gennaio 2013

Non mi è facile scrivere di questo libro perché è un libro che ho sentito molto vicino, nella lettura, e la vicinanza porta coinvolgimento, e questo non sempre è positivo quando mi metto a scrivere riguardo qualcosa che ho letto, o visto, o ascoltato. Si parte da sensazioni positive: il ritrovarsi in una storia, in un personaggio, in una sorta di sentire comune nonostante le differenze non da poco. Ci sono anche le similitudini non da poco, visto che l’autore è un toscano, come me, degli anni ’70, come me, quindi abbiamo vissuto gli stessi anni avendo più o meno la stessa età. Scendendo nel dettaglio pochi anni e pochi km di distanza significano molto, mentre con uno sguardo panoramico si notano più le somiglianze.

Fatto sta che nel romanzo breve (o racconto lungo: meno di 100 pagine in tutto) di Ghelli ho avvertito una vicinanza per cui mi sento un po’ in difficoltà, a scriverne. Ma pazienza, capita. Date queste premesse, ecco Voi, onesti farabutti, di Simone Ghelli, pubblicato dalla giovane casa editrice Caratteri Mobili, di Bari.

La copertina, innanzi tutto, colpisce. Rossa, con la figura stilizzata di un busto, in nero, e disegni bianchi che ricordano un po’, almeno a me, certe figure messicane, come le calaveras. Le stesse figure si ritrovano all’interno, all’inizio dei vari capitoli. Se però copertina e illustrazioni sono ottime per colpire, lasciare un segno in chi guarda, lo sono meno, a mio avviso, nel legare con il testo.

Si apre il libro, titolo, autore, informazioni editoriali, la dedica “A chi ha resistito e a chi ancora combatte” (e non solo), quindi citazione a tutta pagina, caratteri grandi, di un brano tratto da Piazza d’Italia, l’esordio narrativo di Tabucchi. Incuriosito da ciò, e visto che avevo ed ho quel libro in casa, mi sono deciso a leggerlo prima di cominciare questo. Consiglio di farlo perché è interessante, salutare, e in fondo sono entrambi librini agevoli e veloci alla lettura.

La scrittura di Ghelli, di cui avevo già avuto esperienza con L’ora migliore e altri racconti, è qui diversa, pur simile. Diversa perché l’autore in Voi, onesti farabutti, ricorre ad un toscano “spinto”, maremmano, per me un toscano di chi è di questa regione ma si è trasferito altrove (qui entrano in gioco esperienze personali e il fatto di sapere che Ghelli è un toscano trasferitosi a Roma). Un toscano, insomma, che vuol fare sentire la sua toscanità. Parlo di toscano per comodità, anche se è un toscano diverso da quello che parlo io, o che parla un aretino, e via scorrendo i vari colori delle diverse zone regionali. Le cadenze, oltre le parole.

Fortunatamente (per me) trovo una sorta di conferma nella lettura “Col tempo ho finito per giustificare tutto, persino la perdita della mia lingua; persino la cadenza romana, un po’ sguaiata, che mi s’è attaccata addosso: insieme agli odori lasciati a marcire sotto il sole, tra gli scarti d’un mercato e gli angoli inzaccherati di piscio di gatto; insieme all’anima di una città che gonfia e s’appesantisce, che sprofonda nel suo stesso passato, giù nelle fogne che rigurgitano le interiora al primo acquazzone.” (pag. 59) così che il mio avvertire un recupero “spinto, forte” della lingua nel libro non è idea peregrina. Immagino che per un lettore “straniero” queste siano quasi parole al vento, ma spero di no.

Dicevo di una lingua diversa, e simile. Simile perché anche in questo romanzo la scrittura è in una sorta di dormiveglia, come di visioni ora più ora meno precise. Per certi versi, quasi una autoipnosi cui il narratore si costringe per cercare qualcosa, per cercare di recuperare ciò che sente perduto.

C’è questo nipote, giovane uomo, che tenta di ricostruire un dialogo con suo nonno, il nonno che ha fatto la resistenza, il nonno comunista, il nonno che non è mai sceso a compromessi. Nel percorso di ricordi che intraprende si trova a confrontare la propria storia con la sua, e l’impressione è quella di una sconfitta a tutto campo, una sconfitta dei propri sogni, e più, una frustrazione della capacità di sognare, quasi che il proprio vissuto sia considerato da poco. Solo pochi mesi fa il Presidente del Governo in carica parlò della generazione fra i 30 e i 40 anni come di una generazione “perduta”, poi fece una sorta di marcia indietro, ed è divertente scorrere qualche articolo di giornale, quando sembrava che una nuova legge elettorale sarebbe stata fatta…divertente anche notare come Monti sia del 1943, e non abbia ovviamente partecipato alla resistenza (come chi l’ha preceduto, immagino).

Il protagonista, il narratore, il nipote, si rivolge al nonno, di cui ha ben presente l’esempio, e che segue nelle sue lotte, pur diverse, anarchiche, rispetto alle comuniste parentali. Attenzione: il nonno non ha “vinto”, è uno sconfitto, per molti versi, ma possiede qualcosa che il nipote non ha. Possiede quella sorta di autorità che viene da un certo tipo di esperienza. Si può non essere d’accordo con lui, ma non si può non ascoltarlo. Anche per questo motivo il giovane lo cerca, perché forse lui, il vecchio, può dire le cose come stanno, ed essere ascoltato.

“Diglielo tu, nonno” sono parole che ricorrono.

Nell’aletta di copertina si legge: “Voi, onesti farabutti è la storia di un dialogo incompiuto fra generazioni: quella che ha fatto la Resistenza e la generazione attuale, precaria, apparentemente condannata a dover assistere al crollo del proprio paese senza poter intervenire”. A me sembra ci sia almeno un altro dialogo, quello tra genitori e figli, che non solo è incompiuto, ma sembra non essere neppure cominciato. Da qui il cercare una figura sentita come più autoritaria rispetto alla propria.

Non lo so, ma si potrebbero forse riportare ad una conversazione familiare quelle parole “Diglielo tu, nonno”, come se il giovane chiedesse al nonno di prendere le sue parti nei confronti del padre. È assente, il padre, in questo romanzo, eppure l’impressione che tutto ciò sia rivolto anche a lui, o meglio, che sia rivolto ai “padri” di quella che è la nostra generazione, è forte. Si racconta al nonno la propria storia perché altri non la vogliono sentire, non davvero, perché cos’è aver studiato, il servizio civile, il trasferimento in un’altra città, cos’è?

“Diglielo tu, nonno”.

“Eppure ho fatto come tanti, nonno: mi sono isolato; anche se ho continuato a guardare, ad ascoltar, con i sensi lacerati da decenni di soprusi. Si può dire che anch’io mi sia dato alla macchia, ma non ho di che sparare, e sento le parole cadere fuori dal bersaglio. Siamo truppe allo sbando, nonno, e ognuno si guarda alle spalle; altro che solidarietà: verrà il giorno che li troverò alla porta, a dirmi che gli dispiace, che non ho più i requisiti. Verrà il tempo che non potrò più adattarmi, a forza di cambiare: che non saprò nemmen più che ci faccio, a questo mondo.

Mi manca questo, nonno, della Maremma che ricordo: che anche sotto assedio mi sentivo a casa, riconoscevo dove camminavo; e quella lingua indurita dalla terra, la lingua senza fronzoli degli anarchici barbuti.” (pag. 82)

Nonostante tutto, però, nonostante non si sia fatta la resistenza, nonostante il ’68 non si sia visto, nonostante tutto questo, siamo qui.

Edizione esaminata e brevi note

Simone Ghelli (1975) è scrittore e critico cinematografico. Nel dicembre del 2008 ha dato vita, insieme ad altri autori, al collettivo «Scrittori precari». Dal 2009 è caporedattore della rivista cinematografica «Close up. Storie della visione». Il suo ultimo libro, “L’ora migliore e altri racconti” (Edizioni Il Foglio, 2011), è stato tra i dodici finalisti del Premio Arturo Loria 2011.

Simone Ghelli, Voi, onesti farabutti, Caratteri Mobili, Bari, 2012. Illustrazione di copertina: Giuseppe Incampo.

Ghelli in Lankelot-Lankenauta: QUI

Sito della casa editrice: QUI

Pagina del libro sul sito di CM: QUI

Il sito di scrittori precari: QUI

ab, gennaio 2013